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Breve storia delle martiri S. Rufina e S. Seconda

Le due sorelle romane Rufina e Seconda erano le figlie del nobile Asterio e della matrona Aurelia. Giovanissime, vengono promesse spose ai giovani nobili Armentario e Verino, i quali, benché pagani, accettano di sposarle secondo il rito cristiano e con la promessa che poi anche loro si sarebbero convertiti alla religione cristiana. Però, quando inizia la persecuzione dei Cristiani da parte dell’imperatore Publio Licinio Valeriano, i fidanzati, impauriti, cercano di convincerle a diventare pagane.

Le giovani sorelle, però, piuttosto che rinnegare la fede cristiana, decidono di lasciare Roma e partono, in lettiga, per la villa di famiglia in Etruria (odierna Toscana). I fidanzati, dopo aver saputo che sono partite da Roma, le denunciano al giudice Archisilao, il quale le fa inseguire da alcuni soldati a cavallo, che le raggiungono al 14° miglio della Via Flaminia, presso il bivio per Sacrofano, le arrestano e le riportano a Roma, consegnandole al Prefetto dell’Urbe Gaio Giunio Donato, che ha avuto dall’Imperatore ampia libertà di azione contro i Cristiani.

Nel Martirologio di Adone, che racconta la loro “passione”, è scritto che il Prefetto fa condurre davanti a sé le due giovani sorelle e cerca di far loro rinnegare la fede cristiana. Dato che rifiutano di abiurare, subiscono una prima tortura: sono rinchiuse in una cella buia nella quale è immesso un denso ed acre fumo di sterco secco: però il fumo diventa un dolce profumo e la cella è illuminata da una splendida luce. Avendo continuato a rifiutare di rinnegare la fede cristiana, subiscono una seconda tortura: sono rinchiuse in un calidarium (un ambiente riscaldato), in modo da farle morire asfissiate dai vapori bollenti, ma le due giovani non riportano alcun danno. Avendo persistito nel rifiuto dell’abiura del Cristianesimo, subiscono una terza tortura: sono gettate nel Tevere, in un punto profondo, con una pietra al collo, ma le due giovani tornarono a galla salve e con le vesti asciutte. Allora il Prefetto ordina di portarle dal giudice Archisilao, che decide di farle sopprimere. Così, presumibilmente il 10 luglio 2757, le due sorelle sono condotte al 10° miglio della via Cornelia (attuale Via Boccea), nella località denominata Sylva Nigra (Selva Nera) per la presenza di una folta boscaglia, in una Tenuta agricola appartenente alla matrona romana Plautilla. Qui, il carnefice uccide a bastonate Seconda e decapita Rufina.

La leggenda del loro martirio narra che la matrona Plautilla ha in sogno la visione delle due sorelle che le dicono di dar loro sepoltura e di diventare cristiana. Così, Plautilla va alla ricerca dei corpi delle due fanciulle e li trova in balia dei corvi e di altri animali. Li raccoglie pietosamente e li fa seppellire, costruendo sopra la loro tomba una cappella, che diventa ben presto un luogo di venerazione. Da allora la località Sylva Nigra cambia il nome in Sylva Candida, in onore delle due martiri, alla memoria delle quali nel IV secolo il Papa Giulio I fa costruire una Basilica, che diventa nel 501 la sede della importante Diocesi di Lorium (località sulla Via Aurelia, vicino dell’odierno borgo agricolo di Castel Di Guido). In seguito la Diocesi è denominata prima Selva Candida e poi S. Rufina (la maggiore delle due sorelle, così chiamata per il colore rosso dei capelli) e nel 1120 è unita dal Papa Callisto II con quella di Porto (attuale Fiumicino), diventando Diocesi di Porto e S. Rufina.

Vicino alla Basilica dedicata alle due martiri sorge nel tempo un borgo, che è saccheggiato e distrutto, con la chiesa, durante le invasioni saracene nel X° secolo. La basilica è più ristrutturata dai Papi Adriano ILeone IVSergio III.

Le reliquie delle due sorelle martiri vengono trovate dal Cardinale romano Corrado della Suburra, che, diventato Papa con il nome di Anastasio IV, le fa trasferire nel Battistero di S. Giovanni in Laterano, in un’ala del portico trasformata in cappella. L’altare dedicato alle martiri è adornato con un mosaico e successivamente, nel XVII sec., da una “pala” (grade dipinto su tela, erroneamente attribuita al Caravaggio), che rappresenta il Salvatore nell’atto di porre la corona del martirio sul capo delle due giovani sorelle.

Recentemente parte delle reliquie delle martiri, per donazione del Vescovo diocesano Mons. A. Buoncristiani, sono custodite nell’urna bronzea posta sotto l’altare della cripta, ad esse dedicata, nella chiesa di Santa Gemma (dedicata alla beata Gemma Galgani), sede della Parrocchia delle Sante Rufina e Seconda, in Piazza del Castello di Porcareccia, inaugurata il 10 luglio 1954.

Le Sante Rufina e Seconda, insieme ai Santi Mario e Marta (nobili persiani, cristiani, venuti a Roma per pregare sulla tomba di S. Pietro e martirizzati il 20 gennaio 270 con i loro figli Audiface ed Abacuc al XII miglio della Via Cornelia, attuale Via Boccea) ed a S. Basilide (soldato romano, convertitosi al Cristianesimo e martirizzato sulla Via Aurelia vicino a Lorium), sono i Patroni della Diocesi “suburbicaria” di Porto e S. Rufina.

 

Giorgio Giannini


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