Cento anni dalla nascita di Giuseppe (Beppe) Fenoglio (1922-1963)
Sicuramente tutti noi abbiamo letto un suo libro e se ancora non l’avete fatto questo 2022 è l’anno giusto per cominciare a farlo perché questo è l’anno in cui si ricordano i cento anni dalla nascita di Giuseppe (Beppe) Fenoglio (1922-1963).
Scrittore, Fenoglio, che definirei particolare per la sua ricerca continua della verità, senza retorica e abbellimenti. Scrittore molto amato da alcuni ma anche molto criticato da altri, proprio per questa sua schiettezza nello scrivere e nel raccontare le cose della Resistenza che aveva visto e vissuto da Partigiano combattente e poi raccontato da romanziere.
Volete due esempi? Eccoli:
Sui Partigiani: “I partigiani erano per lo più bravi ragazzi e che come tali avevano dei brutti difetti.”. Sui Partigiani ad Alba: “Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944.”
A 21 anni Beppe Fenoglio entra nella Resistenza (i due Professori del Liceo a cui deve la sua formazione, Leonardo Cocito e Pietro Chiodi, sono stati il primo fucilato dai tedeschi, il secondo deportato in Germania). È il gennaio 1944, prima fa parte di una Banda comunista, poi, a marzo, di una badogliana, non essendo lui un comunista, anzi mostrando un’aperta repulsione ideologica verso il comunismo. E dunque passa nelle Formazioni Autonome, quelle comandate da Enrico Martini Mauri.
E questo passaggio non gli fu perdonato. Così quando uscirono i suoi romanzi: I 23 giorni della città di Alba (1952), nella Collana “I Gettoni” della Einaudi, diretta da Elio Vittorini, Una questione privata (1963), e Il Partigiano Johnny (1968) – specialmente il primo, i comunisti, in particolare – Davide Lajolo, dalle colonne dell’Unità di cui era allora il Direttore, stroncherà il Romanzo perché – dirà Lajolo – dissacrava la Resistenza. Un attacco duro che mai, però, disconoscerà la sua attività partigiana. (*)
Un giudizio che poi, col tempo, verrà modificato, ma che derivava dal fatto che Fenoglio aveva raccontato la Resistenza, che – lo ripeto – aveva vissuto in prima persona, con lucidità, asciuttezza, senza retorica e, a volte, con spietatezza, mettendo a nudo la parte problematica di quel grande Movimento di Popolo, ma facendo anche scoprire la forza e i sacrifici di chi si era – come lui – trovato a fare una scelta appunto di resistenza ai nazifascisti, negli anni 1943-1945. Si era fatto trovare pronto e, con tutti i propri limiti, che aveva provato – come Fenoglio – fa dire al Partigiano Johnny, che sta partendo per la montagna: “a piegare, erculei, il vento e la terra”. Dunque, antiretorica e asciuttezza, ma anche un grande amore per la Resistenza e per chi l’aveva fatta.
Questa passione, questo amore per la Resistenza gli verrà riconosciuto anche da Italo Calvino che, riguardo al suo Una questione privata scriverà, nella Prefazione a Il Sentiero dei Nidi di Ragno: “il romanzo che volevamo scrivere ora l’abbiamo. Una questione privata è costruito con la geometrica tensione di un romanzo di follia amorosa e di cavallereschi inseguimenti come L’Orlando Furioso, e nello stesso tempo c’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente nella memoria fedele, con tutti i suoi valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive ed è un libro di parole precise e vere. Ed è un libro assurdo e misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro e quest’altro per inseguire altro ancora e non si arriva a un vero perché.”
Dunque, Fenoglio è tra i primi – a guerra finita e liberazione avvenuta – a raccontare (1952) la Resistenza. Prima di lui lo faranno Elio Vittorini con Uomini e No e Giorgio Bocca con Partigiani della Montagna, che escono già nel 1945, poi toccherà a Italo Calvino con Il Sentiero dei Nidi di Ragno (1947) e a Renata Viganò con L’Agnese va a morire (1950); mentre per avere la prima opera storica sulla Resistenza si dovrà attendere il 1953 anno in cui lo Storico Roberto Battaglia, anche lui ex Partigiano, scrive la sua Storia della Resistenza Italiana, per i tipi della Einaudi. D’altronde, la Storia si fa sulle carte, le carte partigiane e, per studiarle, ci vuole tempo. II tempo, ad esempio, in cui la Rete degli Istituti Storici della Resistenza (che nasce sul finire degli anni ’40 del ‘900) le raccolga e le sistematizzi.
Calvino e Fenoglio, entrambi Partigiani, si conosceranno dopo la guerra, quando Fenoglio, per vivere procuratore di una ditta di vini, manda il suo Curriculum Vitae a Calvino (nome di battaglia Santiago, in onore delle sue origini cubane) che lavorava alla Einaudi, Casa Editrice che aveva deciso di pubblicare i racconti dello scrittore piemontese. Calvino resta affascinato dalla scrittura di quell’uomo, duro, scontroso, riservato e ombroso, come lo definirà dopo averlo conosciuto.
Beppe Fenoglio muore il 18 febbraio 1963, a Torino, due mesi prima che venga pubblicato il suo primo Romanzo, Una questione privata, il Romanzo sulla e della Resistenza che – come avete letto sopra – Italo Calvino aveva definito il Romanzo che tutti i Partigiani avrebbero voluto scrivere e il Romanzo che uno di loro aveva scritto.
Dunque, il consiglio è quello di leggerlo o ri-leggerlo, per onorare, anche noi, il centenario della nascita di un uomo, forse duro e scontroso, ma sicuramente sempre schierato dalla parte giusta della Storia.
NOTA (*) Appare quanto meno singolare che a criticare duramente Fenoglio (che fascista non lo era mai stato) per la sua visione della Resistenza sia stato proprio Davide Lajolo (autore del famoso I Voltagabbana) che, invece, era stato, fascista e Vice Federale di Ancona, fino al 25 Luglio del 1943, per poi passare nelle fila del partigianato garibaldino combattente, con il nome di battaglia di Ulisse. Diversi anni dopo quella stroncatura Lajolo in un’intervista, fa diciamo così autocritica riconoscendo a Fenoglio l’amore per la Resistenza e la libertà e l’avere descritto la Resistenza e i Partigiani così come in effetti erano (con le virtù, ma anche con i vizi di ognuno di noi) e come Fenoglio li aveva visti combattere e morire. A parere della Professoressa Chiara Colombini, Storica e Ricercatrice presso l’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e delle Società Contemporanea, le critiche dure di Lajolo a Fenoglio avevano maggiormente la funzione di lavare dalla coscienza di Lajolo stesso la macchia rappresentata dal suo passato fascista.
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