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Chiamami col mio nome

La seconda storia di “Penna Rossa”: quando a fare qualcosa è “una donna”

“In Italia non c’è un problema”, è questo che i più dicono a chi evidenzia una sottile violenza di genere che, ogni giorno, sminuisce il lavoro delle donne del nostro paese.

Sono quella di cui leggi sui giornali, “una donna” qualsiasi, nelle testate giornalistiche non appare mai il mio nome ma sono quella lì: ogni tanto vado nello spazio, a tratti sono senatrice, qualche volta dirigo un’azienda. Ma il mio nome non lo leggi mai, sono una donna a caso. Studio, studio tanto, e mentre il mio collega a 25 anni viene chiamato “esperto”, io a 50 sono ancora una “giovane” ricercatrice, giornalista o assessora.

Le parole sono importanti e dobbiamo prestarci attenzione. I problemi delle donne sono ben altri? Può essere, ma anche questo è un problema enorme! La parola va usata bene e al momento giusto e le cose, le donne, il lavoro che svolgono vanno “chiamati col loro nome”. Al femminile. Ministra, biologa, chirurga, politica, filosofa, non si può sentire? Certo, perché il tuo orecchio non è abituato e non è abituato perché ci sono stanze che sono state chiuse a chiave per il genere femminile. E ora, che queste porte si stanno aprendo, dobbiamo cambiare il linguaggio, forzarlo se necessario, perché una cosa senza nome, non può essere chiamata. Se io non ho un nome, non posso identificarmi.

La realtà influisce e plasma la lingua, quando nella realtà ci sono delle modifiche che portano a concetti nuovi, è naturale (dalla notte dei tempi) per l’essere umano nominare ciò che ha davanti. Prima non c’erano le sindache, le rettrici, le fisiche e quindi non avevamo bisogno di nomi per chiamarle. La rivendicazione dell’uso dei femminili professionali non è una questione poco rilevante, ma è qualcosa che può aiutare a rendere più normale la presenza di donne in ambienti o posizioni apicali, precluse prima di oggi alle donne.

Ogni volta che si apre questa questione, c’è chi si lamenta, chi accusa di esagerazione, “si sta violentando la lingua italiana!”. Di questo ne parla benissimo la sociolinguista e autrice italiana, collaboratrice dell’Accademia della Crusca, Vera Gheno che ha scritto il libro “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole.”

Solo qualche settimana fa leggevamo “Una donna è stata eletta rettore a La Sapienza”. Ma una donna chi? Come si chiama? Chi è? Per quanto assurdo, anche questa è violenza. Dobbiamo variare il nostro linguaggio e il nostro modo di porci alle donne, perché lì fuori ci sono bambine che aspettano di sedersi alla Camera di Commercio, operare in sala operatoria e ci sono bambine che vorranno essere chiamate con il loro nome.

Perché è un loro diritto.

 

Alice Sola

Qui la prima storia

https://abitarearoma.it/no-la-vergogna-non-e-la-mia/


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