Guerra e libri a Natale

Mai come in questo Natale di guerra alle porte dell’Europa, occorrerebbe meglio riflettere sulle cose del mondo e magari accrescere la nostra dose di indignazione

“Guerra: l’avventura più crudele e ridicola che l’uomo possa intraprendere quando è guidato dalla follia.” (Siegfried Lenz, 1951).

Il termine “azione” deriva dal verbo “agire” che a sua volta viene dal verbo latino “agere”: “andare, venire, spingere innanzi, fare, operare”. Molti sono i significati che si attribuiscono a questo verbo. Alcuni Dizionari lo indicano come utile a connotare il “trascorrere del tempo”, il “passare della vita”. Il Dizionario della lingua Italiana G.Devoto-G.C.Oli lo definisce come il quid che permette di “determinare il proprio effetto”; “esercitare la propria azione”: in ultima analisi: vivere. Parafrasando un vecchio slogan della mia gioventù scrivo: “Indignarsi è giusto!”. Indignarsi, verbo riflessivo, viene dal termine “indignazione” che a sua volta arriva dal latino “non dignus”. Ci si indigna, infatti, per qualcosa di “non degno”, qualcosa che offende i nostri sentimenti e il suo opposto, la nostra dignità di persone. L’uso del verbo, così come quello del termine da cui deriva, è oggi desueto, ovvero non è più molto usato, poiché stentiamo ad indignarci per le cose non degne a cui questo mondo ci costringe ad assistere, con cadenza quotidiana.

Il frontespizio della prima edizione inglese del Canto di Natale del 1843

Generalmente, si pensa che il Natale laico sia stato inventato dallo scrittore inglese Charles Dickens con il suo celeberrimo “Canto di Natale”, Racconto che ebbe all’uscita, ed ha ancora oggi, un grande successo di pubblico. L’idea è errata come dimostra lo stesso Racconto nel quale si scrive (e descrive) appunto del e il Natale come Festa familiare e popolare, come oggi la conosciamo e dunque questa Festa laica era già in auge al tempo in cui Dickens scrisse il suo “Canto di Natale” (19 Dicembre 1843), noto anche come “Canto dei Fantasmi”. Il Racconto però – se riletto oggi (azione fortemente consigliata) – stimola la nostra indignazione per le condizioni di vita descritte da Dickens nella terza delle cinque Strofe che compongono il Racconto, riferite ai tempi del Regno della Regina Vittoria.

Oggi, quel tempo non è più, ma non sono morti, con esso, i motivi per dare corpo alla nostra indignazione. Ne cito alcuni: i migranti, bambini e adulti, che spesso – più spesso di quanto vorremmo – terminano la loro travagliata esistenza nel mare di fronte a casa nostra e quando sopravvivono, “vivono” una vita che li disprezza come esseri umani, alla quale spesso li condanna la nostra indifferenza; le donne maltrattate o vittime di femminicidio; le vittime della guerra d’invasione scatenata dalla Russia in Ucraina; la repressione violenta e assassina degli aytollah iraniani con il popolo di quel Paese che chiede – rischiando la vita – la libertà di decidere del proprio destino, grido spesso inascoltato; la condizione delle donne afgane alle quali, da ultimo, è stato negato finanche il diritto a frequentare l’Università, solo perché donne, e infine – ma solo in termini di collocazione nel testo – la condizione di vita di centinaia di migliaia di “ultimi” nelle nostre città, ovvero ad un passo da noi.

Un breve ma significativo campionario degli orrori di questo nostro mondo a cui si potrebbe aggiungere molto altro. Ce n’è di che riflettere e magari indignarsi e passare dall’indignazione all’azione per modificare – certamente in meglio – “lo stato di cose presente”…. o almeno provarci.

Due libri e due film

Auguro a tutti / tutte voi, un buon Natale di indign-azione e cito due libri e due film per non dimenticare che la guerra è sempre una follia.

Il primo libro che vi propongo è “Il Disertore” di Siegfried Lenz, Neri Pozza, 2017. E’ un libro autobiografico in cui l’Autore – durante l’ultima guerra mondiale soldato nella Wermacht, l’Esercito germanico – racconta il percorso personale che lo ha portato prima all’accettazione incondizionata degli ordini dei suoi superiori, qualunque essi fossero; poi alla scoperta, quotidiana e dolorosa, della inutile crudeltà della guerra e infine alla decisione di disertare, passando a combattere dalla parte giusta della Storia, così iniziando un altro percorso che si concluderà con l’ennesima cocente disillusione.

Quel libro racconta una storia, ma ha – a sua volta – una storia tutta sua da raccontare, che la dice lunga su come – alla fine di quel sanguinoso conflitto mondiale – quella Storia e la guerra che l’aveva generata, siano state vissute da chi ne era uscito vivo (parlo qui non solo delle persone, ma anche degli Stati). Lenz, infatti, il suo libro lo scrive nel 1951, ovvero a pochi anni dalla fine di quella guerra. Ma, sebbene avesse inviato il manoscritto a ben 15 diverse Case Editrici, con quindici diverse motivazioni la pubblicazione venne rifiutata e si dovettero attendere ben 64 anni prima che, nel 2015, un anno dopo la morte dell’Autore, il libro fosse pubblicato. Ma non solo questo. In vita, Siegfried Lenz venne accusato di tradimento della Patria e disprezzato per quella sua scelta giovanile, che certo non fu indolore. Come non fu indolore, per il soldato Lenz, il passaggio dalla parte delle truppe sovietiche.

Ed eccoci al film che dal libro è stato tratto. Anche qui, dalla pubblicazione del libro alla sua trasposizione cinematografica per la TV, passano cinque anni. Solo nel 2020, infatti, il regista e sceneggiatore tedesco Florian Gallemberg ne trae un film televisivo (da noi li chiamavano sceneggiati) dall’omonimo titolo. Il Film – che è possibile vedere integralmente su Rai Play – ha anch’esso una particolarità: la sua durata reale è di 172 minuti, mentre nella versione trasmessa in TV in Italia, per la prima volta il 21 Gennaio 2021 su Rai Tre, la durata è stata accorciata di ben 33 minuti; “taglio” che non permette – come potrete capire leggendo le righe di trama di cui sotto – al telespettatore di capire la fine reale di quella storia.

Qualche riga di trama: Il film narra la storia di un giovane soldato tedesco, Walter Proska, che, nel 1944, parte per il fronte polacco in una guerra già percepita come persa. Su un treno incontra brevemente una partigiana polacca che incontrerà poi periodicamente nel corso della sua guerra. Episodi di violenza gratuita da parte dei camerati, in particolare del suo sergente, lo spingono a disertare e passare dalla parte degli avanzanti russi. Mentre lavora per i russi e per la costruzione di una “Nuova Germania”, continua a cercare la partigiana polacca. Gli dicono che è viva e si trova in un Campo di rieducazione e lui, per rivederla, tradisce il suo vecchio sergente, un aguzzino, consegnandolo ai russi. Avendo cercato di salvare il sergente è braccato dai russi e dai tedeschi che per loro lavorano. Dunque fugge nella parte della Germania controllata dagli alleati, insieme alla segretaria del suo Ufficio di lui innamorata. Con un salto temporale, siamo ora nel 1956 nella Germania Federale e Walter ha sposato la ragazza con cui era fuggito in Occidente e ha due bambini. Una sera – mentre con degli amici guardano la TV – sullo schermo appare la partigiana polacca, diventata una famosa cantante. A questo punto dello sceneggiato la storia finisce, mentre nei 33 minuti tagliati succede che – senza nulla spiegare – Walter abbandona la moglie e i figli per andare ad incontrare la partigiana diventata cantante; l’unica donna che abbia mai veramente amato.

 

Il secondo libro che vi propongo – insieme al film omonimo – s’intitola Il Ponte (Die Brucke), lo ha scritto, nel 1958, con lo pseudonimo di Manfred Gregor, Gregor Dorfmeister giornalista e scrittore tedesco, e lo ha pubblicato la Casa Editrice Garzanti, nel 1960. Anche questo libro racconta una storia vera e in parte autobiografica. E’ la storia di sette ragazzi, sette ragazzini, che, negli ultimi giorni di guerra, sono arruolarti nella Wolkssturm, la milizia popolare, formata da vecchi e da ragazzini della Hitlerjugend, senza nessuna esperienza militare e di combattimento. Nei filmati che spesso vediamo in TV su quegli ultimi giorni, c’è quello in cui si vede Hitler che passa in rassegna un Reparto della Wolkssturm e accarezza proprio uno di quei bambini in uniforme. Sarà l’ultima uscita pubblica del Fuhrer, prima del suicidio nel Bunker sotterraneo della Cancelleria.

I sette ragazzini, che hanno da poco lasciato i banchi della Scuola, al comando di un sergente, vengono messi a guardia di un Ponte. Il Ponte non ha alcun significato strategico ed è già deciso che sarà fatto saltare, non appena vi saranno passate le truppe tedesche in ritirata. Mentre attendono l’arrivo degli americani i ragazzi – restati soli e senza ordini perché il loro sergente, che era andato in Paese per procurare del cibo, è scambiato per un disertore e fucilato dalle SS – vedono passare le truppe tedesche in rovinosa rotta e decidono comunque di difendere il Ponte, anche se un vecchio li incita a lasciar perdere e tornare a casa.

Durante il combattimento che poco dopo ha inizio, nel quale sarà ucciso anche il vecchio che loro avevano insolentito, i ragazzi distruggono un carro armato americano, ma vengono tutti uccisi tranne due e allora per vendetta – mentre il paese è distrutto – uccidono, a freddo, un marine che cerca di farli arrendere. Quando arrivano i genieri tedeschi che devono minare e far saltare il Ponte, i due ragazzi superstiti ingaggiano con loro un furioso combattimento, durante il quale uno dei due sedicenni resta ucciso. A questo punto l’unico sopravvissuto a quell’Inutile carneficina si aggira smarrito per quei luoghi, devastati, forse riflettendo sul motivo per il quale lui e i suoi compagni, morti inutilmente, sono stati trascinati in quella storiaccia. (*)

Come Siegfried Lenz, anche Dorfmeister/Gregor racconta una storia di cui è stato protagonista, essendo stato anche lui, a  sedici anni, dalla Hitlerjugend arruolato nella Wolkssturm e avendo anche lui combattuto nella inutile difesa di ben due Ponti, negli ultimi momenti della guerra, insieme ad altri sette suoi commilitoni, come lui sedicenni, sei dei quali moriranno nei combattimenti. Ancora, come era accaduto a Lenz, anche Gregor ebbe qualche problema in patria da parte di chi riteneva che quella parte della storia tedesca non doveva essere ricordata. Ma, a differenza dell’Autore de Il Disertore, in generale quel Romanzo ebbe, in Germania, una buona accoglienza poiché comunque raccontava della difesa “eroica” del suolo patrio, anche se quella non era affatto l’intenzione con la quale Gregor aveva scritto il Romanzo. Quando, nel 1959, dal suo Racconto e con la sua sceneggiatura, il regista tedesco Bernhard Wicki trasse il film omonimo, questo ebbe un discreto successo di pubblico e diversi riconoscimenti importanti.

Dunque, due storie quasi simili che qualcuno, al tempo, non avrebbe voluto che fossero raccontate per la paura che il lettore/spettatore potesse trarne il giudizio, inappellabile, sull’inutilità, ancorché sanguinosa, della guerra. Due libri e due film che noi, per fortuna, possiamo ancora oggi leggere e vedere, oggi che la guerra tra la Russia e l’Ucraina ci riguarda e ci coinvolge, anche se non direttamente.

(*) Uno di quei sette ragazzini-soldato, Albert Mutz, è interpretato dall’attore tedesco Fritz Wepper. Quelli della mia età, e forse anche quelli con qualche annetto di meno sulle spalle, lo ricorderanno nelle vesti dell’Ispettore Harry Klein nella fortunata Serie poliziesca dell’”Ispettore Derrick”, trasmessa alla nostra TV negli anni dal 1974 al 1998 (19 Stagioni per un totale di 281 Episodi).


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