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I campi di rieducazione per i soldati italiani “redenti”

Allo scoppio della Grande Guerra i sudditi dell’Impero asburgico di lingua e cultura italiana residenti nel Trentino, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia (Regioni considerate “terre irredente” dal Governo italiano) sono chiamati alle armi nell’Esercito austroungarico. Però i Comandi austriaci, temendo che molti militari italiani disertino e vadano a combattere nelle file dell’Esercito italiano, li mandano sul Fronte Orientale, soprattutto in Galizia, a combattere contro i Russi. Circa 30.000 sono catturati ed inviati nei Campi di concentramento in Ucraina.

Nel 1916 il Governo zarista propone ai soldati di origine italiana di ottenere la libertà se scelgono di combattere contro l’Austria nell’Esercito italiano. Solo circa 2.500 (meno del 10%) accettano la proposta. Questo fatto è stato considerato da molti storici la dimostrazione che la maggioranza dei sudditi dell’Impero asburgico di lingua italiana non avevano una “coscienza patriottica nazionale italiana”.

La condizione di questi prigionieri nei Campi di concentramento in Ucraina peggiora dopo la Rivoluzione bolscevica dato che il nuovo Governo deve provvedere in via prioritaria al mantenimento della popolazione russa. Pertanto molti prigionieri muoiono per la fame e per il freddo, nel rigido inverno ucraino.

Dopo la fine della guerra i soldati che hanno combattuto nell’Esercito imperiale austroungarico e che provengono dai “territori redenti” (liberati) del Trentino, della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia, diventano sudditi del Regno d’Italia. Pertanto i militari austriaci di origine italiana, prigionieri in Ucraina, vengono consegnati a rappresentanti del nostro Esercito, che organizzano il loro trasferimento in Italia. Però, quando sono rimpatriati, i nostri Comandi militari, in accordo con il Governo, invece di mandarli ai loro paesi di origine, decidono di internarli in appositi Campi di rieducazione per “italiani redenti”, allestiti in Campi già utilizzati per la prigionia dei soldati austriaci. Alcuni sono inviati anche in Sardegna, nell’isola dell’Asinara.

Il trattamento degli “italiani redenti” dipende molto spesso dal Comandante del Campo. In alcuni Campi sono trattati come i nostri soldati e ricevono il rancio previsto per le nostre truppe. Si concede però un trattamento di favore agli Ufficiali, che possono alloggiare in stanze private, affittate nel paese vicino al Campo.

Invece in altri Campi gli “italiani redenti” sono trattati quasi come prigionieri, ad esempio stabilendo il piantonamento delle baracche in cui alloggiano e proibendo agli Ufficiali di uscire da soli. Possono farlo solo in gruppo e devono essere scortati da un Ufficiale italiano, addetto alla loro sorveglianza. Inoltre non possono frequentare caffè ed altri pubblici esercizi e devono rientrare al Campo prima del tramonto. Naturalmente, spesso gli Ufficiali “redenti” protestano per queste restrizioni e spesso il Comandante del Campo, per reazione, adotta provvedimenti ancora più restrittivi, come la sorveglianza con sentinelle delle baracche in cui alloggiano.

Nel 1920, lentamente, gli “italiani redenti”, che hanno combattuto per l’Impero asburgico lasciano i Campi di rieducazione e tornano alle loro case.


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