

Il cittadino romano normale – quello che misura la politica sulla base delle cose che vede e che verifica sulla sua persona – giudica la giunta Raggi poco meno che un disastro. E non il cittadino che non l’ha votata, circa uno su tre, ma anche buona parte di quelli che o in prima battuta o al ballottaggio le hanno dato il loro consenso. La sindaca, occorre dirlo, fin dal primo momento non ha goduto di buona stampa. C’è stato nei suoi confronti una sorta di accanimento, in particolare, da parte dei grandi giornali nazionali. Per motivi diversi. “Il Messaggero” di Caltagirone e “Il Tempo” degli Angelucci l’hanno sempre avuta in “gran dispitto” in ossequio agli interessi dei loro proprietari.
Nel giornalismo progressista “La Repubblica” l’ha subito assalita, considerandola un’incompetente grillina usurpatrice, che rendeva il quotidiano di Largo Fochetti vedovo della sinistra imborghesita e salottiera, colta e moderna, emancipatasi dalle borgate e accasatasi ai Parioli. Idem, su per giù, per il moderato “Corriere della sera”. Da costoro non le è stato risparmiato nulla del molto che veniva sottaciuto e perdonato alle precedenti amministrazioni “progressiste”. Pure “spelacchio”, lo spoglio albero di Natale a piazza Venezia, le fu addebitato come emblema di malgoverno. Idem dalla destra, dai sostenitori dell’invereconda giunta Alemanno.
Ma il “jacque bonhomme” romano, e romanesco nello spirito, più che a questi mostri sacri della stampa guarda ai fatti. E i fatti sono stati impietosi con Virginia. Nessuno, fra i cittadini non impazienti, pensava che dopo anni di disastri la sindaca avesse la bacchetta magica per risolvere d’emblée gli incancreniti problemi sociali, urbanistici e morali dell’urbe sprofondata in “mafia capitale” e ridiventata “capitale corrotta” di una “Nazione infetta”. Ma speravano, almeno, in qualche percepibile miglioramento. Invece, la delusione è stata cocente e il rigetto oggi è assai diffuso.
I problemi con cui ogni giorno il povero diavolo del cittadino di Roma ha a che fare, sono almeno cinque: rifiuti, trasporti, viabilità, verde, macchina comunale. E’ possibile dire che su tutti questi veri e propri fronti di guerra ci sia stato un miglioramento? No, non è possibile. Non è qui il caso di infierire descrivendo il peggioramento delle cose negli ambiti citati anche perché esso è conosciuto e denunciato, con qualche enfatizzazione di troppo, ogni giorno sulle cronache cittadine.
Del resto i pentastellati capitolini, con Virginia in testa, non del tutto inconsapevoli della loro parabola declinante, si sono difesi invocando la pesante eredità delle giunte precedenti. Ancora pochi giorni fa Raggi ricordava: “I debiti che abbiamo trovato, le strade non asfaltate, le opere incompiute, gli autobus più vecchi d’Europa per i trasporti pubblici sono soltanto l’effetto di quel sistema corrotto. Tutto ha un costo. E lo stiamo pagando noi cittadini”. Una giustificazione che se agli inizi aveva un senso, col passare degli anni è diventata una musica stridente e stonata. Dimenticano, inoltre, che questa pesante eredità loro l’avevano sottovalutata un bel po’, promettendone lo smaltimento più o meno rapido una volta al governo capitolino. Il lockdown da coronavirus ha come sospeso tutte le magagne cittadine, ma esse tornano già a evidenziarsi con la ripresa della circolazione umana.
Naturalmente il governo capitolino pentastellato e la sindaca hanno fatto anche cose buone, ma l’anno venturo i romani andranno alle urne con l’animo di dare un giudizio complessivo. Un giudizio già consolidato che difficilmente in 12 mesi potrà rovesciarsi, a meno di un qualche miracolo. Tra le azioni positive fatte dalla Raggi, soprattutto in questi ultimi tempi, c’è senz’altro quella antifascista, antixenofoba (Casapound, Casal dei Pazzi ecc.) e di duro contrasto al potere illegale (clan Casamonica) e, da ultimo ma non per ultimo, l’onestà che ha contrassegnato la gestione del potere. Ma non è questo, purtroppo, che farà ribaltare il giudizio dell’elettorato.
Bisogna anche aggiungere che nei gangli della macchina capitolina, in quella delle Municipalizzate e nelle partecipate, la sindaca e la sua amministrazione hanno dovuto sicuramente subire molte resistenze, boicottaggi (gare di appalto andate a vuoto per difetti di stesura o deserte per resistenze di cartello) perfino sabotaggi (incendi di cassonetti, strutture e mezzi dell’Ama e dell’Atac ecc.), ma tutto questo, in mancanza di una reazione politica organizzata, ha acuito nella città, a volte anche ingenerosamente, la percezione di incapacità e incompetenza amministrativa dei grillini.
Per l’opinione pubblica più politicizzata, il segno più evidente di una sindacatura non positiva è stato l’andare e venire di assessori (ben 13) nella giunta e amministratori nelle municipalizzate che ha fatto del Campidoglio una specie di grand Hotel dalle porte girevoli. Poi, per i palati più fini, ci sarebbero anche le politiche urbanistiche che, partite al grido di “zero consumo di suolo”, sono sprofondate nel buio o nella miseria delle solite varianti al Prg, come quella per dare una grande cubatura commerciale e direzionale a Parnasi e Pallotta in una zona problematica con il pretesto dello stadio alla “Roma”.
La sindaca Raggi esorcizza questo suo impaludamento dicendo che la città è cambiata in meglio, ma rischia il ridicolo. Si percepisce come una che ora è più padrona della macchina capitolina e che si è fatta le ossa al timone dell’amministrazione. Il che la dice lunga sull’impreparazione politica e amministrativa con cui è giunta a ricoprire il ruolo di prima cittadina i cui effetti si sono visti subito (caso Marra). La preparazione l’avrebbe dovuta acquisire prima, quando faceva la consigliera comunale.
Molti fra i suoi colleghi del M5s e anche fra i suoi sostenitori (Travaglio) la pensano come lei, tanto da spacciare per grandi vittorie (il preteso taglio delle cubature nel progetto dello Stadio) capitolazioni vergognose. Al tempo stesso, però, anche molti del suo campo, meno ciechi, sono piuttosto insoddisfatti; solo che non lo dicono per carità di patria, preferendo trincerarsi dietro la regola dei due mandati, la quale risolverebbe loro l’imbarazzo della scelta politica.
Visto l’animus dell’elettorato di Roma, è desolante che il Movimento pentastellato sia tanto lontano dal sentire comune e non si renda conto che il ripresentare la candidature di Virginia sia per esso catastrofica. Il che dimostra che c’è stata un’ossificazione rapida fra i grillini romani che non li rende più “portavoce” della gente, come quando erano opposizione nella quale in tanti, esasperati dagli altri politici, di destra e di sinistra, che passava il convento, vedevano il nuovo. Un nuovo che solo per questo era in grado di coagulare consensi trasversali.
Poi, messi alla prova del governo di una grande città e del paese, quel trasversalismo elettorale è venuto meno in pochi mesi, facendo emergere sottotraccia nel M5s la logica dello scontro correntizio inquinato dai personalismi già conosciuti negli altri partiti. Sono apparsi alla luce i limiti di fondo di un fenomeno ampio che è stato essenzialmente di opinione e di protesta, senza radici organizzate e consolidate nella società e con una visione ideale assai debole e perfino evanescente. L’aspirazione pentastellata, un po’ tronfia, di rappresentare il superamento di destra e sinistra, nel senso dei disvalori e dei valori immanenti nella società, si è subito liquefatta.
I grillini hanno approfittato del discredito e delle inanità delle rappresentanze politiche (a sinistra il renzismo e a destra il berlusconismo) per incorporare al loro interno quei disvalori (destra) e valori (sinistra) pensando di poterli amalgamare. Tutto ciò è durato lo spazio di una mattino. Il risultato è che sopra il ponte del trasversalismo pentastellato è passata trionfalmente la destra più becera, xenofoba, sovranista e nazionalista di Salvini e Meloni. Solo con il provvidenziale suicidio di Salvini, la musica è cambiata, ma pensare di tornare alle origini (Di Battista) è stare fuori della realtà. Grillo, per fortuna, sembra averlo capito subito.
A Roma il rinsecchimento grillino sarebbe certamente grave ma non irrimediabile se nel campo del centrosinistra, in particolare del Pd, ci fosse stato in questi anni di opposizione un qualche rinnovamento percepibile. Invece, anche qui, hanno finora prevalso tutti i vecchi mali che hanno portato al disastro la sinistra romana e all’affossamento del sindaco Marino. Il disegno cui il Pd romano sembra affidarsi è quello della caduta della pera matura nel grembo dei soliti noti. Sperano nella legge del pendolo. E’ un disegno immobilista, gretto e pericoloso che non fa i conti con una destra romana che vuole riconquistare la città sull’onda del malcontento sociale, magari reso più aspro e populista dalla pandemia.
Ci vorrebbe una scossa rinnovatrice profonda in uomini/donne e programmi sia nel campo grillino che in quello del centrosinistra. Bisognerebbe aprire porte e finestre all’associazionismo progressista e ambientalista presente nei quartieri, a cominciare dalle periferie, e nella società civile. Occorrerebbe mettere alla testa di questo movimento di rifondazione della sinistra e del campo progressista, un candidato sindaco e una squadra di politici e amministratori competenti, moralmente specchiati e credibili, provenienti dalla società civile, adeguati ai problemi dell’urbe. Insomma c’è bisogno subito di creare un fatto nuovo a sinistra che induca il M5s a predisporsi per convergere contro la destra nazionalista e sovranista.
Per ora tutto l’establishment del vecchio e polveroso centrosinistra sta fermo sulle gambe, aspetta sulla riva del fiume che passi il cadavere della Raggi.
Ma la salma trascinata dalle acque del Tevere potrebbe non essere solo quella di Virginia.
Aldo Pirone
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