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Il generale fucilatore

Durante la ritirata di Caporetto
Andrea Graziani

Il 2 novembre 1917, durante la “ritirata di Caporetto”, il Generale Andrea Graziani, Comandante dal marzo 1917 della 33a Divisione, dislocata nella zona del Carso, alle dipendenze della III Armata, comandata dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia (meglio noto come Duca d’Aosta, cugino del Re Vittorio Emanuele III), e decorato con tre Medaglie d’Argento al Valore Militare, è nominato dal Comandante Supremo Luigi Cadorna, Ispettore Generale del Movimento di sgombero delle truppe in ritirata verso il Piave.

In questa veste Graziani girava in auto, tra i Reparti in ritirata, con alcuni Ufficiali ed un Plotone di Carabinieri, ai quali ordinava di procedere alla fucilazione (anche collettiva) di soldati considerati disertori o che avevano commesso i gravi reati di saccheggio delle case (probabilmente per  prendere qualcosa da mangiare, essendo sbandati). Al riguardo Graziani ha fatto fucilare, il 13 ed il 16 novembre 1917, 32 militari e tre civili (anche essi accusati di saccheggio). La prova di questa sua feroce attività di repressione è nei numerosi Bandi che emanò come Ispettore Generale per il Movimento di Sgombero e nei manifesti che fece affiggere in grande quantità, soprattutto nella zona di Treviso e di Padova (dove era stata trasferita il 27 ottobre 1917 da Udine la sede del Comando Supremo), nei quali si riportavano i nomi delle persone fucilate allo scopo di incutere terrore nei soldati sbandati.

Il 10 e 13 agosto 1919 l’Avanti! pubblicò la copia dei Bandi firmati da Graziani sulle fucilazioni collettive del 13 del 16 novembre 1917 a Treviso ed a Padova. Infatti la mattina del 13 novembre 1917 Graziani ordinò la fucilazione a S. Maria della Rovere (Treviso)  di 13 militari: 7 soldati per aver usato “violenza entro le case abitate” (i Caporali Augusto Pieralli e Salvatore Trigliaro ed i soldati Oreste Bigi,  Adolfo Gigli, Giuseppe Pintapoli, Vincenzo Scudella e Bruno Vancalli); 5 soldati per “saccheggio” (i soldati Felice Cremaschi, Carlo Giavotto, Battista Monti, Pietro Pastorino e Carlo Paveri); il Caporale Lidio Benzi per “ribellione e minaccia amano armata ai Carabinieri”. Il manifesto informativo di questa fucilazione fu pubblicato su l’Avanti! del 13 agosto 1919,  che titolò l’intera prima pagina con questa frase: “Caporetto vergogna del militarismo”.

L’episodio è riportato dal Colonnello Angelo Gatti,  Dirigente dell’Ufficio Storico del Comando Supremo,  nel suo libro ”Caporetto. Diario di guerra (maggio-dicembre 1917), dal Vescovo di Treviso, Mons. Andrea Giacinto Longhin, nella lettera inviata il  14 novembre a Mons. Giuseppe Furlan, prevosto di Montebelluna, ed anche da Giovanni Comisso nel suo  libro “Giorni di guerra”.

Il 16 novembre 1917 Graziani ordinò la fucilazione nella schiena di 21 persone: 18 militari e di tre civili. Al riguardo, l’Avanti! il 10 agosto 1919, pubblicò un manifesto, datato 16 novembre, ma senza indicazione del luogo di stampa, che informava della  fucilazione di 12 soldati per violenza in case abitate; di 5 soldati per saccheggio e scassinamento; di 1 soldato per saccheggio e uso di della divisa da Ufficiale, con abuso del grado; di tre civili per saccheggio.

Il 13 agosto 1919 l’Avanti! pubblicò un altro manifesto, datato  “Padova 16 novembre 1917”, nel quale si riferiva della fucilazione di 22 persone. Alcuni studiosi hanno ritenuto che si tratti delle stesse fucilazioni annunciate con il precedente manifesto pubblicato il 10 agosto e che erano state pubblicizzate in due distinti manifesti per aggiornare il numero delle vittime (passate da 21 a 22). Altri, invece, ritengono che  potrebbe essere due distinte esecuzioni di massa perché alcuni capi di imputazione sono diversi. Infatti nel primo manifesto, pubblicato il 10 agosto, si menzionano 5 soldati fucilati per saccheggio e scassinamento. Invece, nel secondo, pubblicato il 13 agosto, si menzionano 3 soldati fucilati per saccheggio e violenza personale su donne e 2 soldati fucilati per saccheggio e scassinamento ed uso di abiti civili.

Il Vescovo di Treviso, Mons. Andrea Giacinto Longhin fu talmente colpito da questa nuova fucilazione collettiva che il 16 novembre 1917 inviò una nuova lettera a Mons. Giuseppe Furlan, prevosto di Montebelluna, scrivendo: «Qui sui fucila senza pietà; preghiamo, preghiamo».

Artigliere Alessandro Ruffini

In alcuni casi Graziani ordinò la fucilazione anche per lievi mancanze disciplinari, come nel caso del soldato Alessandro Ruffini, di 23 anni, originario di Castelfidardo (Ancona) in servizio nella 10a Batteria del 1° Reggimento di Artiglieria da Montagna, che fu fucilato per non aver tolto il sigaro di bocca mentre passava davanti al Generale il pomeriggio del 3 novembre 1917 nella Piazza di Noventa Padovana.

L’episodio è stato così descritto nell’articolo intitolato “Il militarismo <caporettista> di Luigi Cadorna”, pubblicato sul quotidiano socialista Avanti! il 28 luglio 1919: «Noventa di Padova 3.11.1917.Ore 16,30 circa. Il generale Graziani vede sfilare  una colonna di artiglieri  di montagna. Un soldato, certo Ruffini di Castelfidardo, lo saluta tenendo la pipa in bocca. Il generale lo redarguisce e riscaldandosi inveisce  e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi borghesi (civili) sono presenti. Un borghese interviene ed osserva al generale che quello non è il modo di  trattare i nostri soldati. Il generale, infuriato, risponde: <<Dei soldati io faccio quello che mi piace>> e per provarlo fa buttare  contro un muricciolo il Ruffini e lo fa fucilare immediatamente tra le urla delle povere donne inorridite. Poi ordina al Tenente Colonnello Folazzani ( del 28° Reggimento Artiglieria campale) di  farlo sotterrare. È un  uomo morto di asfissia- dice- e salito sull’automobile riparte. Il T. colonnello non ha voluto nel rapporto porre la causa della morte. Tutti gli ufficiali del 28° Artiglieria campale possono testimoniare il fatto».

La cronaca dell’accaduto è così descritta, nel Liber Chronicus della Parrocchia di Noventa Padovana, dal Parroco Don Carlo Celotto, che benedisse con gli Oli sacri la salma di Ruffini e l’accompagnò al cimitero della cittadina padovana. «Novembre. La ritirata. Caporetto. La II Armata passa per le vie del nostro paese. I soldati presentano un aspetto compassionevole. Senz’armi,vestiti male, affamati. Ufficiali e soldati domandano ricovero e pane. Lì 3 novembre il Generale Graziani comandante le retrovie fa fucilare  presso la casa Miari, abitata dal Comm. Suppiei, il soldato Ruffini Alessandro da Castelfidardo. Sembra che il Ruffini abbia tenuto un contegno provocante davanti il generale. Il Comm. Suppiei cercò di difenderlo e  salvarlo, ma nulla fece: fra la costernazione dei presenti e lo spavento dei soldati l’esecuzione ebbe seguito».

Il caso Ruffini fu sollevato dal quotidiano socialista Avanti! il 28 luglio 1919  durante la campagna di stampa sulle esecuzioni sommarie, durata due mesi, intrapresa mentre si stava discutendo alla Camera la Relazione della Commissione di inchiesta su Caporetto, sia per dimostrare che la “disfatta di Caporetto” del 24 ottobre 1917 era stata causata dall’impreparazione dei Vertici Militari e non dal disfattismo dei Socialisti, come invece affermava il Comandante Supremo, il Gen. Luigi Cadorna (che fu rimosso il 7 novembre e sostituito dal Gen. Arnando Diaz), sia per dimostrare che le esecuzioni sommarie ordinate da vari Comandanti, soprattutto durante la “ritirata” erano la conseguenza dell’applicazione rigida ed ottusa delle molte Circolari per l’applicazione della Giustizia sommaria, emanate da Cadorna dal novembre 1916.

In seguito all’articolo pubblicato il 28 luglio 1919 su l’Avanti! intervennero i principali organi di stampa, raccontando altri aspetti della fucilazione di Ruffini ed in maggioranza si espressero contro l’operato di Graziani.

Alla Camera alcuni  Deputati socialisti presentarono interrogazioni che emisero in difficoltà il Governo di Francesco Nitti, tanto che il 31 luglio 1919 il Presidente del Consiglio dei Ministri si avvalse della facoltà di non rispondere, rinviando la risposta in occasione del dibattito sulla Relazione della Commissione di inchiesta su Caporetto. Nitti concluse il suo breve intervento dicendo: «Io auguro, e voglio sperare per il buon nome dell’Italia, che il fatto non risulti vero».

La posizione di Graziani si aggravò in seguito alla sua lunga lettera di autodifesa , pubblicata il 6 agosto 1919 dall’Avanti! (in prima pagina) e da Il Resto del Carlino di Bologna (a pagina tre), nella quale rivendicò la legittimità di quella “terribile decisione”. Parlò dello sbandamento delle truppe e di ”inenarrabili delitti  o sevizie”, commesse dai soldati sbandati “in danno delle popolazioni” che avrebbero invocato ai Comandi “energiche esemplari  misure a tutela della vita e della proprietà dei cittadini”. Pertanto, per questi motivi “occorreva imporsi con mezzi straordinari, con qualunque mezzo” perché “era in giuoco la salvezza dell’Italia”.

Il 6 agosto 1919 il Ministro della Guerra, Gen. Albricci, annunciò alla Camera che aveva denunciato Graziani, che fu denunciato anche dal padre di Ruffini.

Il 9 agosto 1919, l’Avanti!  informò che il Ministro della Guerra aveva risposto alle interrogazioni, deplorando la lettera di autodifesa di Graziani.

Il 13 agosto 1919 l’Avanti! pubblicò la lettera di Guglielmo Papini, intitolata “Ruffini ed i suoi compagni non erano sbandati. Il generale Graziani ha mentito”, che  riportava il testo della Relazione intitolata “Notizie relative alla condotta tenuta dalle Artiglierie dipendenti”, inviata l’8 novembre 1917 dal Gen. Pasqualino, Comandante dell’Artiglieria della 36a Divisione, da cui dipendeva il Reparto di Ruffini, al Comandante Generale dell’Arma di Artiglieria e per conoscenza al Comandante dell’Artiglieria del XII Corpo d’Armata, nella quale si affermava che il reparto di Ruffini non era sbandato e quindi Graziani aveva mentito, per giustificare la fucilazione dell’artigliere.

Nel cimitero di Noventa Padovana non è stato possibile rintracciare la tomba di Ruffini. Però in occasione del centenario il Comune ha posto una lapide con la seguente scritta: “A ricordo- di- Alessandro Ruffini- N. 29.1.1893 – M.3.11.1917”. Accanto alla lapide ci sono 5 fori, segni dei proiettili della fucilazione.

Le fucilazioni sommarie ordinate con leggerezza da Graziani nel novembre 1917 sono state oggetto di una nota intestata “Maggior Generale GRAZIANI”, inviata il 22 novembre 1917 dal Gen. Paolo Ruggeri Laderchi, Comandante del IX Corpo di Armata, alla IV Armata, da cui dipendeva,” nella quale scrisse: «…mi risulta che il generale Graziani vada facendo ingiustificate imposizioni agli abitanti, faccia affiggere manifesti, a sua firma, pubblicando i nomi di persone da lui fatte fucilare e che egli consegni agli Ufficiali che incontra il foglietto, che qui unisco in copia (con l’elenco delle persone fatte fucilare sommariamente) firmato da lui quale Ispettore generale degli sgomberi e che per se stesso appare un documento assai grave, dicendo: “Ecco la mia carta da visita”».

I ricercatori Marco Pluviano ed Irene Guerrini nel loro libro “Le fucilazioni sommarie nella Prima Guerra Mondiale” frutto di una lunga ricerca negli archivi militari, nella stampa dell’epoca e nella memorialistica, hanno documentato circa 50 fucilazioni sommarie ordinate dal Gen. Graziani non solo quelle ordinate durante la “ritirata di Caporetto”, nel novembre 1917, ma anche in precedenza, in particolare durante la Strafexpedition (Spedizione punitiva) austriaca nel maggio 1916, ed anche nel giugno 1918, ai danni di 8 disertori della Divisione Cecoslovacca, da lui costituita con prigionieri cecoslovacchi. Le esecuzioni però sono state senz’altro di più, ma purtroppo di numerosi casi, riportati sia dagli organi di stampa, sia dalla memorialistica, non sono stati trovati riscontri documentali.

Per l’elevato numero di fucilazioni ordinate, Graziani è stato chiamato il “Generale  fucilatore”.

Nel gennaio 1919 Graziani fu collocato a riposo d’ufficio.

Aderì al fascismo e il 18 agosto 1923 e divenne Luogotenente Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (grado equivalente a Generale di Divisione dell’Esercito), per le Provincie di Trento, Verona, Vicenza e Belluno, ricoprendo la carica fino alla morte, in circostanze non chiarite, nella notte tra il 26 ed il 27 febbraio 1931, mentre si trovava sul treno Roma-Verona, nei pressi di Prato.

 

BIBLIOGRAFIA

Marco Pluviano – Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella Prima Guerra Mondiale, Prefazione di Giorgio Rochat, Gaspari Editore, Udine 2004.


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