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Il mio ricordo del comandante partigiano Mario Fiorentini

Nella notte di martedì 9 agosto 2022 è mancato, a quasi 104 anni (era nato a Roma il 7 novembre 1918) Mario Fiorentini, il partigiano più decorato d’Italia. Ha infatti ricevuto: tre Medaglie d’Argento al Valore militare (per l’attacco fatto da solo alle SS. al carcere romano di Regina Coeli, il 28 dicembre 1943; per l’attacco, insieme ad altri gappisti, al reparto “Onore e Combattimento” della Repubblica Sociale Italiana in via Tomacelli il 10 marzo 1944; per la partecipazione alle Missioni degli Alleati nel Nord Italia dall’autunno 1944 all’aprile 1945); tre Croci di Guerra; due medaglie dai Servizi segreti militari degli Alleati (la Medaglia W. Donovan dell’Office of Strategic Service-OSS americano e la Medaglia  della Number One-Speciale Force inglese).

Mario è stato il comandante del GAP (Gruppo di Azione Patriottica) romano Antonio Gramsci, uno dei quattro GAP Centrali (cosiddetti perché operanti nel centro storico di Roma con le tecniche della guerriglia urbana) con il “nome di battaglia” di Giovanni (i nomi di molti gappisti erano tratti dal Vangelo, su proposta del Prof. Gioacchino Gesmundo, capo redattore del giornale comunista L’Unità, trucidato dai nazisti alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944).

LUCIA E MARIO Fiorentini

Ho conosciuto Mario nel 1997 quando lavoravo al Museo storico della Liberazione di Roma, che ha sede in via Tasso 145, nell’ex carcere nazista dove operava il Tenente Colonnello SS Herbert Kappler, l’esecutore dell’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944, in rappresaglia dell’attacco gappista del giorno precedente in Via Rasella, e l’artefice del “rastrellamento” del Quartiere romano del Quadraro il 17 aprile 1944, che portò alla deportazione in Germania di oltre 750 abitanti, accusati di proteggere i partigiani locali. Ho subito fatto amicizia con Mario, che ogni volta che veniva al Museo mi raccontava episodi della sua attività partigiana e portava per la Biblioteca libri e video cassette sulla Resistenza, romana e italiana, e stampe varie.

Nel corso degli anni abbiamo fatto conferenze insieme, soprattutto in Sabina (dove Mario aveva operato, insieme alla compagna, di lotta e di vita, Lucia Ottobrini nella primavera 1944) e  l’amicizia è cresciuta tanto che ho frequentato la sua famiglia. Mia moglie Rita è diventata amica di sua figlia Claudia.

Non voglio raccontare qui le cose che ha fatto Mario, come partigiano e come Professore universitario a Ferrara di Geometria Superiore, che si possono conoscere nella sterminata documentazione su di lui che si trova nella rete. Desidero ricordare un paio di episodi, poco conosciuti ma molto significativi perché indicativi della personalità di Mario, da me citati nella sua biografia, da me curata, dal titolo Le mie tre vite. La vita avventurosa del comandante partigiano romano Mario Fiorentini, che ha avuto il Premio Speciale della Giuria al Premio letterario “Città di Castello” nel 2020 e che è stato pubblicato nel 2021 dalle Edizioni LuoghInteriori di Città di Castello (Perugia). Il libro è il risultato di molte ore di colloqui con Mario e pertanto è scritto in prima persona, come se fosse lui a raccontare la sua vita avventurosa.

Il titolo del libro deriva da quanto Mario amava raccontare durante le conferenze,  non solo sulla Resistenza, ma anche sulla Matematica, e cioè che Lui ha vissuto tre vite: la prima, dagli anni trenta fino all’occupazione nazista di Roma (il 10 settembre 1943), come “uomo di cultura”, appassionato di tutte le arti, dalla musica (andava da piccolo con il padre Pacifico a sentire i concerti) alla pittura ed al teatro; la seconda, da “comandante partigiano”, che ha combattuto contro i nazifascisti durante la Resistenza romana e nelle Missioni con gli Alleati nel Nord Italia); la terza vita, da  “matematico”, che è stata la sua vera passione, tanto che si è diplomato e laureato nel dopoguerra con immensi sacrifici e forza di volontà, fino a diventare prima docente di Matematica nelle Scuole Medie e Superiori e poi, dal 1971, di Geometria Superiore all’Università di Ferrara.  Senz’altro la seconda vita, da partigiano, anche se è stata la più breve (20 mesi, dal settembre 1943 all’aprile 1945)  è stata la più avventurosa, ma non ha mai dimenticato le altre due.

Gli episodi che desidero raccontare sono i seguenti.

Dopo l’emanazione delle Leggi Razziali nell’autunno 1938, che rafforzano la sua avversione al fascismo, dato che è colpito negli affetti familiari (il padre Pacifico è di religione ebraica, ma è anche un laico ed un “libero pensatore”, come si considera anche Mario) decide di diventare ebreo, per condividere le “discriminazioni” verso gli ebrei. Si presenta quindi al Rabbino Capo di Roma e gli chiede di diventare ebreo. Il Rabbino gli dice che deve essere “circonciso” (Mario non lo è perché il padre, ebreo, e la madre Maria, cattolica, hanno deciso di non battezzarlo e di non farlo circoncidere in modo che fosse lui a decidere, da grande, quale religione professare). Lo invita quindi a pensarci. Dopo un po di tempo Mario ritorna dal Rabbino, che riesce a farlo desistere dal suo proposito. In questo modo, Mario, non essendo schedato come ebreo perché non è iscritto alla Comunità ebraica, si è salvato dalla deportazione. Invece i suoi genitori sono catturati  il 16 ottobre 1943 (il giorno della “razzia” degli ebrei romani), ma si salvano perché la madre riesce a corrompere una guardia nazista del Collegio Militare di via della Lungara (vicino al carcere di Regina Coeli), dove le persone catturate erano state portate.

L’altro episodio è molto importane a livello storico perché, se il progetto fosse stato realizzato, Mussolini, catturato il 27 aprile  1945 a Dongo, sul lago di Como, non sarebbe stato ucciso il giorno dopo a Giulino di Mezzegra, in esecuzione di un ordine del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia) da due comandanti partigiani comunisti (secondo la versione ufficiale).  Infatti, il 27 aprile Mario riceve dall’OSS (il servizio segreto militare americano) l’incarico di accompagnare gli agenti di origine italiana, il Capitano Emilio Daddario ed il Tenente Aldo Icardi, a Dongo per prendere in custodia Mussolini, che sarebbe stato poi processato secondo l’art. 29 dell’Armistizio. Purtroppo Mario non riesce ad incontrare Icardi nel luogo stabilito e quindi il piano americano non si realizza. Alla domanda, che molti gli facevano quando raccontava questo episodio, su come si sarebbe comportato con Mussolini, Mario ha sempre risposto che lui non l’avrebbe ammazzato. Questa affermazione dimostra la grande umanità di Mario, che pur avendo compiuto tante azione armate, anche da solo, contro i nazifascisti, non era capace di uccidere a sangue freddo nessun nemico “inerme”, anche se molto odiato.

Dopo aver raccontato queste cose, mi stringo intorno ai familiari di Mario, soprattutto  alla figlia Claudia ed al nipote Suriel, unitamente a mia moglie ed ai cari amici Carla Guidi e Mirko Bettozzi, che hanno conosciuto Mario ed hanno scritto su di lui.


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Un commento su “Il mio ricordo del comandante partigiano Mario Fiorentini

  1. Onore alla sua memoria, immortale per il suo generoso, istintivo, responsabile impegno nella sua dignità di italiano, ostile a dittature e occupazioni militaresche nemiche. Di esempio a noi che lo commemoriamo e ai giovani a cui dovrebbe essere di insegnamento nelle scuole.

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