Intervista a Pierluigi Lops, atleta della A.S.D. Villa de Sanctis di Roma

L’argomento lo abbiamo già trattato con i fratelli Migneco, Angelo e Gianni. Chi ha fatto sport da bambino ne conserva tutti i benefici negli anni a venire.

Anche Pierluigi Lops ha fatto sport sin da piccolo, iniziando a 5 anni nel nuoto, poi ha praticato judo ed infine tanto calcio: campione regionale “giovanissimi” nel Savio Calcio, vice campione italiano “allievi nazionali” nella A.S. Roma.

Matteo Simone, un paio di anni fa, gli ha posto la domanda: cosa spinge a fare sport e Pierluigi ha cosi risposto:

“La pazzia. Lo sport è gioco e divertimento, ogni bambino o adulto ha dentro di sé la voglia di divertirsi e giocare fino a 80 anni. Lo sport, ma soprattutto la corsa, ti permette di scoprire ogni cellula del tuo corpo. La sensazione, mentre corri, è proprio quella di analizzare le sensazioni mentali e confrontarle con il tuo corpo con ogni movimento degli arti, con ogni contrazione muscolare e con ogni respiro”.

Atleta nato, ma se ci fosse bisogno della conferma, è arrivata: è la maratona di Roma nel 2011, poi altre 25 tra maratone e ultramaratone. Con dentro la Firenze Marathon e il primato di 3h10″ e la 100 km del Passatore.

Per non menzionare anche lo sci.

Nel 2017 per la maratona di Roma, Annalisa Minetti ha scritto: “Ho dei ricordi stupendi legati alla maratona di Roma del 2017, corsa insieme agli amici del Villa De Sanctis ed in particolare ricordo con affetto e saluto il mio amico Pierluigi Lops. Ricordi davvero fantastici con gli amici che io chiamavo gli “Angeli di iride”. Ricordo con entusiasmo il tifo della gente, via Condotti, le urla, le persone che incitavano. Quella fu una maratona preparata veramente bene, con criterio. Le gambe giravano ed al 30 km ricordo che iniziai ad andare ancora più veloce, sotto i 4’ al chilometro! Mi ricordo che qualcuno disse “fermate la Minetti”. E’ stata l’impresa della mia vita! Quando finì la Maratona con Pierluigi e con tutti gli amici, mi ricordo, che ero felicissima, ero su un altro pianeta e non sentivo la fatica. Poi mi fermo, mi siedo un secondo e lì arriva tutta la stanchezza. Addio ginocchia! Non mi alzavo più!”.

“Pacer”, anche qui c’è Pierluigi Lops.

Essere Pacer è considerato un onore ed un punto di arrivo tra i maratoneti che svolgono con orgoglio e passione questo ruolo.

Un modo differente di vivere la maratona, il mettersi a disposizione degli altri, sacrificare la propria gara e le proprie ambizioni per scortare al traguardo quanti più maratoneti possibili con il tempo prefissato. “indossare” i palloncini colorati  sulle strade, si regala e si riceve emozioni.

Pacer che sono a disposizione di migliaia di maratoneti provenienti da tutto il mondo, che dettano il ritmo corretto di gara in base al tempo cronometrico finale prefissato, ma anche dispensare consigli, supportare ed incitare il gruppo che sarà al loro seguito, chilometro dopo chilometro.

Intervista a Pierluigi Lops

Pierluigi, gli amici cosa dicono di te?

Nell’ambito sportivo porto avanti delle iniziative nei confronti delle persone meno fortunate. Ho la sensazione che i miei amici mi vedano come un esempio.

Spiegaci o definisci l’allenamento

Partiamo dall’obiettivo da perseguire: voglio raggiungere un certo tempo o voglio dimagrire. L’allenamento è il mezzo per raggiungere l’obietttivo, deve essere costante e continuo, portato avanti con abnegazione e sacrificio.

Cos’è l’infortunio nello sport

L’infortunio purtroppo è sempre dietro l’angolo. Il podista sfrutta al massimo il proprio corpo ed il rischio è reale e presente. Bisognerebbe tutelarsi, specialmente quando si comincia ad andare avanti con l’età.

Pierluigi, hai corso la 100 km del Passatore, raccontaci la tua esperienza da ultramaratoneta

L’ultramaratona è un viaggio con se stessi. Il runner sogna e realizza correndo la gara piu prestigiosa: la 100 km del Passatore. E’ un turbinio di sensazioni ed emozioni, miste a stanchezza, che è difficile spiegare. L’arrivo a Faenza concentra tutto ciò che l’essere runner racchiude.

Abbiamo letto interviste della Minetti sulla maratona di Roma del 2017. Ci concedi le tue riflessioni su una esperienza non comune a tutti i maratoneti?

Fare la guida ad atleti non vendenti vuol dire essere gli occhi della persona che si ha accanto.

La responsabilità è grande, si sta “legati” con un cordino, che è un laccio che unisce indissolubilmente guida ed atleta non vedente. Con Annalisa si è creata da subito un’empatia incredibile, come se avessimo corso da sempre insieme. Lei è un atleta fortissima. Riuscire a correre in 3 ore e 45 minuti la maratona di Roma con tutte le difficoltà di sanpietrini, buche e tombini è un’impresa titanica che solo grandi atleti possono compiere.

Puoi raccontarci qualche aneddoto sui tuoi compagno di viaggio quando hai fatto il Pacer?

Fare il Pacer per una maratona non è un impresa facile, hai la responsabilità del ritmo che devi tenere dall’inizio alla fine. Gli atleti si affidano completamente a te e la precisione deve essere al secondo in ogni km. Poi c’è la parte finale della maratona da Pacer, spesso ti trovi a correre da solo. C’è il runner “che ne ha”, ti lascia e va più forte; c’è il runner “che non ne ha più” e ti abbandona; ti trovi a cercare di trascinare e spronare altri runners lungo il percorso, stimolarli con parole o ,come ci è capitato con l’amico Matteo Simone alla maratona di Latina, di prendere letteralmente per mano una ragazza in lacrime e portarla fino al traguardo.


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