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La Santa sulla Scopa, al Labaro

L'eterno femminino raccontato con la prospettiva di Luigi Magni

Al Parco Marta Russo di viale Gemona del Friuli al Labaro, nell’ambito della Festa dell’Unità, sabato 5 e domenica 6 settembre alle 21 è andato in scena La Santa sulla Scopa di Luigi Magni, con Valentina Conti, Gioia Montanari e la partecipazione di Martina Smalone e Chiara Ucci, con musiche originali di Giovanni Bocci e la regia di Andrea Pergolari.

Due donne, due mondi agli antipodi, due interpretazioni delle pulsioni umane e dei desideri, tra carnalità e sublimazione, in uno straordinario duello in romanesco.
Scritta nel 1986 da Luigi Magni, una favola popolare beffarda, tenera e sanguigna, nel più puro stile del grande autore romano.

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Durante la controriforma, nella notte di San Giovanni, mentre tutti sono intenti a festeggiare e a rispettare la tradizione con una cena a base di lumache, una presunta strega, condannata al rogo, incontra una santa. Silvestra è una fattucchiera che, dopo atroci torture, attende di essere arsa viva in piazza. Ad assisterla c’è Sorella Apollonia.
Ha inizio un confronto tra le due donne e, l’iniziale diffidenza, tra battibecchi e inganni, si trasformerà in un’inaspettata solidarietà.

Luigi Magni presentò al pubblico teatrale la sua Santa sulla scopa nel 1986, subito dopo la biografia di San Filippo Neri con Johnny Dorelli, State buoni se potete, e prima del Secondo Ponzio Pilato con Nino Manfredi.
Era un periodo in cui rifletteva sul senso del sacro, sui modi in cui il popolo si rapportava allo spirito religioso, con tutto il bagaglio di paure, contraddizioni, superstizioni, dilemmi etici che si portava appresso. Lo faceva con il suo tipico stile semplice e profondo, rotondo ed ironico, baciato dalla grazia del melodramma e della comicità, con i modi naif di chi sta sempre sul limite tra storia, leggenda e fiaba.

La santa sulla scopa è solo apparentemente uno spettacolo intimo e “minore”, rispetto ai classici teatrali Rugantino e I sette re di Roma.
È il ritratto divertito ed appassionato sul duplice volto dell’Eterno Femminino, alle prese con le pulsioni, le repressioni e le passioni sessuali: la donna/amante e la donna/Madre, scisse nei due personaggi di una Strega e di una Santa nella Roma piranesiana della Controriforma, delle inquisizioni e della simonia.
Un gran ballo musicale, una scatenata farsa sotto l’egida della follia e della Morte. Con quella capacità di far scaturire il lirismo dalla risata che solo Magni aveva tra i grandi autori del Novecento italiano.

L’idea dello spettacolo nasce da una duplice esigenza: la necessità fondamentale di continuare a portare sulle scene teatrali la testimonianza artistica di Magni, che è stato uno degli interpreti più lucidi della cultura italiana del Novecento, il creatore di un vero e proprio sistema di racconto, che aderisce ai segni della Storia per raccontare il presente. Dall’altra parte, ed è una diretta conseguenza, c’è l’esigenza di rapportarsi metaforicamente al presente, prendendone le distanze per osservarne meglio i meccanismi sociali e culturali.

La santa sulla scopa riflette sull’identità femminile (la donna come madre e la donna come amante) e lo fa proiettando il passato sul presente e viceversa: gli orrori dell’inquisizione, le distorsioni di una società incompleta si fondono con la futura emancipazione civile della donna: e così le due protagoniste riescono a parlare alla contemporaneità utilizzando figure di un immaginario arcaico: medievale, mitico e leggendario, e nello stesso tempo politico.

È un lavoro sulla memoria individuale e collettiva, sul tempo e sulla storia (sulla fine del tempo e della storia), sulla morte e sull’amore che si esprimono attraverso la parola: la forza di Magni è nel suo linguaggio, un romanesco popolare e colto, pieno di riferimenti al Belli (e quindi al suo studio mimetico sulla lingua popolare), contaminato e reso accessibile dalla mediazione borghese di Trillussa e Pascarella, e quindi dalla coloritura cinematografica, perché il romanesco al cinema è il linguaggio tipico della commedia: del distacco, del disincanto, del sarcasmo, che ha l’imperativo di nascondere il pudore delle emozioni e non il cinismo, come universalmente si crede.

L’approccio metodologico della regia al testo di Magni è frutto di una lunga ricerca suila cifra del teatro di varietà e di rivista, all’origine del testo: questa versione della Santa sulla scopa ricerca strenuamente la bidimensionalità visiva dell’avanspettacolo, l’utilizzo frontale degli attori e dello spazio del proscenio; e, dal punto di vista drammaturgico, il ribaltamento comico, lo spiazzamento ironico, il guizzo farsesco che si inserisca e mini l’impianto drammatico, orientando il crescendo allucinatorio del testo in senso naïf.

Magni inseguiva l’utopia di un linguaggio autenticamente popolare, praticava melodramma e comico, che sono i generi culturali di maggior consumo collettivo, e questa edizione della Santa sulla scopa si inserisce su questa scia. Uno spettacolo divertente e coinvolgente che ha veramente molto da dire e che andrebbe riproposto anche in altre rassegne ed in teatro.


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