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“L’Armata Sagapò” storia di un Film mai girato

Ma anche di una vergogna dell'Italia non solo fascista, ma anche democristiana

«Affermai cinque anni fa: spezzeremo le reni al Negus. Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia in due o dodici mesi poco importa, la guerra è appena cominciata!» (Benito Mussolini,18 Novembre 1940, Roma, Palazzo Venezia, Aula del Gran Consiglio del Fascismo)

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L’antefatto

Sagapò” è parola che in greco vuol dire “Ti amo”. È così che – prima gli inglesi e poi i greci – soprannominarono i soldati italiani che il 28 Ottobre 1940 – 18° Anniversario della cosiddetta Marcia su Roma  Mussolini aveva mandato ad invadere la Grecia, Paese peraltro neutrale, accusato di spalleggiare i “perfidi figli di Albione”, ovvero gli inglesi di cui sopra.

In realtà però quell’azzardata operazione militare voluta dal duce, come è noto risoltasi in un disastro e lanciata senza avvertire minimamente l’alleato germanico, ebbe più il sapore di uno “sfogo” della frustrazione provocata a Mussolini dalla sua costante esclusione dalle operazioni militari portate a termine dai tedeschi, che da effettive esigenze militari di carattere tattico e/o strategico: decisa l’invasione della Grecia il duce esclamò, infatti. “stavolta Hitler lo verrà a sapere dai giornali”.

L’Italia fascista aveva invaso il Paese convinta di fare una passeggiata e presto quella convinzione, assai errata, si era infranta contro la resistenza greca, guidata dal dittatore Joannis Metaxas che, in quanto a fascismo, non aveva niente da invidiare a Mussolini, che fino a quel 28 Ottobre del 1940 era stato un suo idolo.

La Campagna di Grecia fu, per gli italiani, una quasi sconfitta che sarebbe diventata una sconfitta totale se non fosse stato per l’intervento dei tedeschi – a cominciare dai “Diavoli Verdi”, i paracadutisti del Generale Kurt Student, che avevano dato il via all’“Operazione Marita” che permise agli italiani di dichiararsi vittoriosi, pur avendo di fatto perso, e di occupare – con l’alleato nazista e con l’apporto anche dei bulgari – il Paese mediterraneo. Era il 23 Aprile del 1941. Da quel momento i greci scopriranno che  gli italiani erano, dei provetti “tombeurs de femmes”, ma la loro bravura amatoria non si traduceva – come i soldati greci avevano capito prima dell’intervento tedesco – in forza militare sul campo di battaglia.

Nota: l’invasione della Grecia era stata caldeggiata presso il duce dal genero, Galeazzo Ciano, allora al Ministero degli Esteri, ma aveva destato molte perplessità, ad esempio, all’interno dell’apparato di Intelligence italiano, il SIM (Servizio Informazioni Militari) allora guidato – dopo l’era Roatta – dal Generale Giacomo Carboni. Ma Mussolini non  tenne affatto conto  di tali perplessità, che pure gli erano state rappresentate, avviandosi così verso una delle sue numerose cocenti delusioni politiche e militari.

Quel salvataggio in extremis non insegnò nulla agli italiani che anzi, nel periodo dell’occupazione militare del Paese – condivisa con i tedeschi e i bulgari – tennero un atteggiamento durissimo verso la popolazione. In più la crisi agricola dovuta alla guerra, unita al rigido controllo delle risorse alimentari operato dagli occupanti, produssero una pesantissima carestia che uccise circa 300mila greci. Ma non ci fu solo la carestia. Infatti, a dispetto del mito del “bravo italiano”, contrapposto a quello del “cattivo tedesco”, durante l’occupazione i militari italiani adottarono la strategia di colpire i civili per fare “terra bruciata” intorno ai partigiani greci.

Sono molti gli episodi di violenza efferata che si registreranno. Tra di essi, la strage del 16 Febbraio 1943 nel Villaggio di Domenikon, un piccolo paese della Tessaglia che si trova poco più di 400 chilometri a nord di Atene, dove, dopo un attacco partigiano che aveva causato nove vittime tra i soldati italiani – 16 partigiani greci verranno catturati e fucilati e subito dopo lo saranno oltre 140 civili. A compiere il massacro, con l’incendio del paese, saranno, in realtà, i fascisti della “Legione Aquila”, della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, insieme a Reparti della Divisione Pinerolo, del Regio Esercito, tutti comandati dal Generale Cesare Camillo Benelli che, al termine dell’operazione, parlando con i suoi Ufficiali definì quella spietata rappresaglia, “una lezione salutare”. (*)

Nota: con la firma dell’Armistizio cosiddetto “corto” reso noto, via radiomessaggio di Badoglio dagli Studi EIAR, di Via Asiago in Roma, l’8 Settembre del 1943  ha termine l’occupazione italiana della Grecia. I soldati italiani lì presenti verranno catturati dai tedeschi e deportati nei Campi di concentramento di Germania e Polonia.

Questo – in estrema sintesi – l’antefatto della storia che ora conoscerete. Prima di entrare nei suoi particolari, però, occorre mettere nero su bianco ancora qualche riga di precisazione.

È nota l’espressione “italiani, brava gente”, messa spesso a confronto con quella del “tedesco cattivo” che – a partire dal dopoguerra – aveva preso piede da noi divenendo l’architrave della narrazione democristiana del nostro comportamento in quella Seconda guerra mondiale. Narrazione ripetuta per ogni nostra azione doccupazione di un Paese straniero, considerato nemico; sia che fosse la Grecia, la Russia, la Francia o la Jugoslavia.  E ogni volta pareva (o meglio doveva parere) che i soldati italiani fossero andati in quei Paesi a portare non la morte sulle canne dei loro fucili, bensì la loro gioviale predilezione per il gioco del pallone e per le donne. In questa narrazione all’acqua di rose si distinguerà la cosiddetta “Settima Arte”, ovvero il Cinema.

Nota: a questa narrazione, edulcorata e non veritiera, si atteranno anche, ”Mediterraneo”,  film del 1991 di Gabriele Salvatores, Premio Oscar 1992, e “Il Mandolino del Capitano Corelli”, film del 2001, diretto dal regista inglese John Madden. (**)

La storia di un Film mai girato

Ma andiamo alla nostra storia. Nel Febbraio del 1953 (a quasi dieci anni dalla data dell’Armistizio), la Rivista “Cinema Nuovo” pubblica un articolo del critico cinematografico Renzo Renzi che contiene l’idea per un film sull’occupazione italiana in Grecia. L’articolo s’intitola “L’Armata Sagapò”. Renzi – che era stato un Ufficiale in Grecia e dunque testimone diretto dell’occupazione italiana –  propose, in effetti, un film antimilitarista e soprattutto voleva raccontare le storie legate all’occupazione italiana, di cui non si era più parlato dopo la fine della guerra descrivendole, a cominciare dalla prostituzione dilagante che aveva visto le donne greche concedersi agli occupanti italiani per un tozzo di pane.

La proposta gli costò una denuncia per “vilipendio delle Forze Armate” che colpì anche Guido Aristarco, che della Rivista “Cinema Nuovo” era il direttore. Aristarco, che era stato anche lui come Renzi Ufficiale in Grecia durante l’occupazione italiana. Sebbene fossero entrambi dei civili i due, dopo l’arresto e un mese di galera, verranno processati, da una Corte Penale militare, ché così, stabiliva la Legge allora in vigore, valida anche per i militari in congedo.

Durante il Processo, sebbene il loro Avvocato difensore avesse sollevato un’eccezione di incostituzionalità della norma, l’obiezione non venne presa in considerazione dalla Corte militare e il Processo si concluse, per entrambi, con una condanna a sette mesi di reclusione per Renzi (con rimozione dal grado) e sei mesi per Aristarco, ma seguì la loro immediata scarcerazione, per i benefici di Legge.

L’accusa di vilipendio delle Forze Armate si reggeva, secondo la Procura Militare di Milano, sul fatto che ci fosse una sostanziale continuità tra le Forze Armate italiane che il fascismo ed il re savoiardo Vittorio Emanuele III avevano mandato ad occupare la Grecia, e quelle del dopoguerra, che avrebbero dovuto essere, invece, democratiche ed antifasciste.

Questo è l’humus di quegli anni che vedono molti dei quadri militari impegnati nella Seconda guerra mondiale essere ancora in servizio. Quelli sono anche gli anni in cui l’allora 28enne Onorevole Giulio Andreotti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo, ammoniva i cineasti italiani ricordando loro che: “i panni sporchi si lavano in famiglia”.

In quel 1953 la guerra era finita da pochi anni e ne era subito cominciata un’altra, definita “fredda”. La Germania era diventata un alleato e il pericolo arrivava dalla Yugoslavia di Tito, il cosiddetto “Fronte Orientale”.

Nota: l’espressione “guerra fredda” (“cold war”) fu coniata dal giornalista americano Walter Lippmann (1889-1974) per descrivere un’ostilità che non sembrava più risolvibile attraverso una guerra frontale tra le due superpotenze, dato il pericolo per la sopravvivenza dell’umanità rappresentato da un eventuale ricorso alle armi nucleari.

Dunque, bisognava mettere la sordina a tutto ciò che poteva turbare assetti politici ed equilibri militari. In questo quadro stendere un velo anche su quanto gli “italiani brava gente” avevano fatto di criminale, manu militari, era indispensabile e anche su quel versante – a differenza dei tedeschi che, dopo il Processo di Norimberga, ebbero chiaro cosa fosse stato per loro il nazismo  – gli italiani rinunciarono a fare i conti con il fascismo che era salito al potere e aveva portato il Paese in guerra, anche grazie al silenzio acquiescente (e spesso complice) di molti, contrapposto alla lotta di pochi. E quella non sarebbe stata, per noi italiani, la prima volta di quella rinuncia a sapere e capire.

Un Libro – Ugo Pirro,” Le Soldatesse”, Sellerio, 2000  Romanzo

Nota di Andrea Camilleri

Le soldatesse, primo romanzo di Ugo Pirro, fu pubblicato nel 1956. Per il suo carattere di oggettiva testimonianza di una avventura grottesca – il viaggio di un ufficiale ventenne in compagnia di un «carico» di prostitute destinato ai soldati italiani dell’Armata Sagapò – il racconto veniva a incastrarsi dentro un più grande e tragico sentimento di grottesco: il ricordo dell’allora ancora recente aggressione, inutile e vergognosa, dell’Italia fascista alla Grecia. Di quel grande grottesco finiva col diventare in qualche modo il simbolo, e l’espressione di un atto di riparazione e di amore verso un popolo che a Pirro – e ai tanti «conquistatori» italiani – era sembrato generoso e amico. Così il libro fu accolto con favore e fervore, e divenne per alcuni un testo su cui fermarsi a riflettere.

Un clima che Andrea Camilleri rievoca, presentando ai lettori di oggi questo diario di un episodio di guerra, e vi rileva anche, però, a tanti anni di distanza, un motivo letterario ulteriore, rispetto al semplice atto di testimonianza storica e morale: «Il lungo viaggio dell’autore che accompagna per le strade di una Grecia devastata un trasporto di prostitute diventa un lungo viaggio dentro la coscienza, la progressiva approssimazione al baluginare di alcune certezze, di alcune verità. In parte, su quel romanzo di formazione di Pirro mi formai anch’io. Imparai, tanto per dirne una e in forma che certamente parrà ingenua, che tutto può essere scritto in un romanzo, solo che quel tutto va saputo scrivere muovendo dalla necessità di scriverlo. Altre cose mi parve di avere imparato allora da questo libro e sarebbe lungo andarle a cercare, perché ormai entrate in circolo».

(*) Come era già, accaduto nelle Colonie africane e come accadrà anche in Yugoslavia, occupata dall’Italia nell’Aprile del 1941, dove gli occupanti italiani applicarono con la nefasta “Circolare 3C” – emanata il 1° Dicembre 1942  dal Generale Mario Roatta (https://www.criminidiguerra.it/CIRC3C1.shtml) –anche in Grecia gli italiani applicarono  il principio della “responsabilità collettiva”. Questo principio criminale – che addossava anche ai civili innocenti la responsabilità delle azioni militari condotte dai partigiani, troverà applicazione concreta in Grecia e questo principio avrà molto spazio nell’agire delle truppe italiane di occupazione. In quel Paese.

Domenikon fu il primo di una serie di episodi repressivi. Il Comandante delle forze italiane di occupazione, Generale Carlo Geloso, emanò una Circolare sulla lotta ai ribelli che, in sostanza, disponeva l’annientamento del Movimento partigiano e l’annientamento delle comunità locali. Il tutto si tradusse in rastrellamenti, fucilazioni, incendi, requisizione e distruzione delle riserve alimentari. Seguirono stragi in Tessaglia e nella Grecia interna: 30 giorni dopo la strage di Domenikon, 60 civili vennero fucilati a Tsaritsani, poi a Domokos, Farsala, Oxinià e le autorità greche segnalarono stupri di massa;  azioni di cui praticamente non esistono immagini, ne memorie sepolte negli archivi militari. Il comando tedesco in Macedonia arrivò a protestare con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili. Nel film “Il diario del soldato Guido Zuliani” si racconta di rastrellamenti e torture. Il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce Rossa internazionale, nella quale, tra l’altro, affermava “Vi vantate di essere il Paese più civile d’Europa, ma crimini come questi sono commessi solo da barbari”. Fu internato, torturato, deportato in Italia.

(**) Mentre i film sulla Campagna di Grecia si dilettavano a mostrare la faccia buona del soldato italiano, nessuno nel mondo del Cinema ha avuto  l’idea di scrivere un soggetto cinematografico che mostrasse – e ricordasse – il valore dei soldati della Divisione “Acqui”, di stanza a Lero e a Cefalonia.

I soldati della “Acqui” furono i primi militari italiani di stanza all’estero a prendere le armi contro i tedeschi, appena venti giorni dopo la proclamazione dell’Armistizio; e lo fecero in virtù di un referendum indett6o dal Generale Umberto Gandin, il Comandante della Divisione. Si trattò di qualcosa mai successa prima in una Unità militare italiana; referendum che vide la quasi totalità dei nostri soldati schierarsi per combattere i tedeschi. Scelta che i nostri militari pagarono con un pesantissimo tributo di vite, spezzate dalla vendetta tedesca. Cefalonia -Lero 23-28 Settembre 1943. I morti saranno 5.155, tra cui il Generale Gandin. I feriti 163.  La bandiera di Guerra della Divisione “Acqui“  per quell’atto di resist6enza antinazista è stata insignita della Medaglia D’Oro al Valor Militare.


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