L’uomo su Marte: l’Università Tor Vergata collabora al progetto ReBUS

Intervista a Daniela Billi, astrobiologa dell’Università Tor Vergata sui progetti di esplorazione e permanenza dell’uomo nello spazio

Professoressa Daniela Billi Università Tor VergataÈ pensiero comune oramai che il mondo della scienza giri intorno ad un virus verde, il nome composto da lettere e numeri, minaccia fantasma della vita dell’uomo sulla Terra. Ma c’è, nella nostra città, chi va oltre questo paragrafo di storia. Scoprirne i progetti è come vedere progressivamente allontanarsi ciò che ci circonda: quartiere, città, nazione, continente, pianeta, finché non sembra di sparire nel buio, quasi in attesa che George Lucas faccia apparire un inizio di qualcosa, magari un paio di parole a scorrere nell’ansia dell’ignoto. Dopo l’atterraggio di Perseverance su Marte, per fare il punto sui progetti di esplorazione e permanenza dell’uomo nello spazio, abbiamo intervistato la Professoressa Daniela Billi, astrobiologa dell’Università Tor Vergata:

In cosa consiste il progetto ReBUS finanziato dell’Agenzia Spaziale Italiana a cui sta collaborando il Dipartimento di Biologia dell’Università Tor Vergata?

ReBUS è l’acronimo di In-situ Resource Bio Utilization per il supporto alla vita nello spazio. Si tratta di un progetto biorigenerativo a supporto della permanenza dell’uomo nello spazio a cui stanno lavorando diverse Università, Centri di Ricerca ed Aziende Aerospaziali Italiane, con il coordinamento dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

Che cos’è un sistema biorigenerativo?

È un sistema che produce risorse per gli astronauti, cioè ossigeno, acqua e cibo utilizzando dei rifiuti, come residui di cibo, reflui umani, anidride carbonica, prodotti durante future missioni di esplorazione spaziale. L’obiettivo è quello di rigenerare ossigeno utilizzando la CO2, utilizzando non un sistema chimico ma un sistema biologico. Questo lo otteniamo con le piante, che sono appunto capaci di convertire anidride carbonica in ossigeno, ma anche utilizzando cianobatteri che sono capaci di fotosintesi ossigenica. Si tratta anche di rigenerare acqua, tramite la traspirazione delle piante, e rigenerare cibo. Le piante anche a questo scopo sono importanti così alcuni cianobatteri edibili, come ad esempio la Spirulina. Il punto è che tipo di scarti umani utilizzare? Non bastano le piante, in realtà i sistemi biorigenerativi possono essere un vero e proprio sistema ecologico chiuso, come il progetto MeLISSA, che prevede l’uso di diversi compartimenti in cui si trovano batteri, cianobatteri e piante per poter utilizzare l’urina e l’anidride carbonica prodotta da un equipaggio per ottenere ossigeno, acqua e cibo a bordo di una navicella spaziale. Il progetto ReBUS si occupa invece di sviluppare tecnologie per far crescere le piante sul suolo marziano e lunare. Data la mancanza della componente organica e microbica questi suoli extraterrestri non sono coltivabili, per cui verranno sviluppate tecnologie per la degradazione di sostanze di scarto.

Stiamo quindi parlando di feci e urine?

Stiamo parlando di scarti vegetali che verranno degradati utilizzando dei consorzi microbici e fungini, per fertilizzare i suoli lunari e marziani. Tuttavia questi consorzi verranno testati anche per la produzione di composti azotati, fosforo e potassio a partire dall’urina umana sintetica.

In questo contesto, con il mio gruppo di ricerca, mi occupo dell’uso di cianobatteri estremo-tolleranti, isolati da ambienti deserti, in grado di crescere sul suolo lunare e marziano ed essere quindi a loro volta utilizzati per fornire nutrienti sia alle piante sia ai batteri utilizzati nei sistemi bio-rigenerativi o in processi biotecnologici.

I dati che sta raccogliendo Perseverance vi saranno di aiuto?

Si. L’obiettivo di Perseverance è determinare l’abitabilità marziana, ovvero cercare impronte di vita passata. Per questo farà delle piccole perforazioni sul suolo marziano e ne raccoglierà dei campioni, quando questi campioni reali di suolo marziano, saranno riportati a terra potremo analizzarli in modo più approfondito, si tratta quindi di un contributo fondamentale non solo alla ricerca di vita ma anche allo sviluppo di tecnologie per sostenere avamposti umani su Marte.

Fino a che punto sarà possibile in futuro la permanenza dell’uomo su Marte facendo ricorso soltanto a risorse in loco?

Lo scopo ultimo dei sistemi biorigenerativi è proprio quello di rendere degli avamposti umani su Marte o sulla Luna indipendenti dalla Terra, in caso contrario possiamo pensare solamente a missioni molto brevi. Quindi una missione dell’uomo su Marte deve avere con sé il necessario per sopravvivere e poi necessariamente ritornare a Terra entro due anni dalla partenza. Sono i due anni di tempo in cui Marte e Terra sono più vicini dal punto di vista delle orbite. Al contrario la permanenze continuativa dell’uomo a bordo della stazione spaziale internazionale, che orbita a circa 450 km dalla superficie terrestre, è resa possibile dal continuo rifornimento dalla terra, anche se fornisce un importante luogo per testare i sistemi biorigenerativi. Lo step successivo dell’esplorazione umana dello spazio è la Luna, sia con il Gateway, una nuova stazione orbitante intorno alla Luna, la cui costruzione inizierà tra quattro anni, sia con il Lunar Lander che riporterà l’uomo sulla superficie lunare. Questi rappresentano traguardi importanti anche per i sistemi biorigenerativi che avranno così dei banchi di prova più lontani dalla Terra.

In questa missione sarà coinvolta l’Italia?

Si, l’Italia parteciperà alla costruzione sia del Gateway che del Lunar Lander. Io stessa sono impegnata in diversi gruppi di lavoro dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) al fine di definire le tematiche per esperimenti scientifici da svolgere sulla Luna oppure utilizzando il Gateway, tra questi anche i sistemi a supporto della vita.

È prevista una missione di astronauti su Marte?

Nel futuro sicuramente sì, queste date slittano sempre nel tempo, per quello che è la pianificazione direi dopo il 2030. Il problema non è tanto arrivare su Marte ma è ripartire da Marte. La missione di Perseverance è un primo step in questo senso in quanto è prevista una missione successiva per riportare a Terra i campioni che saranno raccolti da Perseverance. Infatti non è pensabile mandare un astronauta su Marte senza avere la tecnologia per il suo rientro a Terra.


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