Memoria bolognese: il “Caso Murri”, una storiaccia del ‘900
Ovvero quasi un delitto di provincia“La fantasmagoria della civiltà capitalistica tocca la sua espansione più radiosa nell’esposizione universale del 1867. L’Impero è al culmine della sua potenza. Parigi si conferma capitale del lusso e delle mode. Offenbach detta il ritmo alla vita parigina. L’operetta è l’utopia ironica di un dominio permanente del capitale.” (Walter Benjamin, filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco)
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“Nel 1911 a provocare la morte di oltre 1500 persone non fu un complotto, una maledizione e nemmeno una tragica fatalità. Fu colpa dell’arroganza e della cecità di chi si lancia a tutta velocità verso il disastro, incurante dei pericoli, mettendo a repentaglio la vita di persone ignare di quello che rischiano.” (Massimo Polidoro, giornalista, scrittore e divulgatore scientifico)
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“Noi non miriamo ad un uomo, ad una classe, ad una religione, ad una nazione, ad un’epoca: noi miriamo all’umanità. Ho detto or ora, che non c’è più una scienza, che oggi non miri ad essa. Ma la medicina non è nata che per essa.” (Augusto Murri, in un articolo pubblicato sulla Rivista Scientifica “Il Medico Pratico”, 1913)
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Il 1900 viene spesso ricordato per l’Esposizione Universale che si svolse a Parigi dal 15 Aprile al 12 Novembre di quell’anno e vide la presenza di 51 milioni di visitatori. Fu l’Esposizione della Torre Eiffel, dell’avveniristico Palazzo dell’Elettricità di Eugène Hénard con cinquecento lampadine (va ricordato che, nel 1835, lo scozzese James Bowman Lindsay aveva presentato al pubblico un prototipo di lampadina elettrica a luce costante, anche se l’invenzione della lampadina è attribuita a Thomas Edison che la presentò il 21 Ottobre del 1879.
Per la Storia va però anche ricordato che, cinque mesi dopo di Edison, l’italiano Alessandro Cruto aveva illuminato, con le sue lampadine ad incandescenza, il paese di Piossasco, in Provincia di Torino, dove era nato nel Marzo del 1847); della recente scoperta del Cinema dei Fratelli Lumiere; del Cinéorama di Raoul Grimoin-Sanson e del gigantesco Telescopio 1900 (al tempo il più grande del genere mai costruito).
Quell’Esposizione Internazionale dimostrava quanto fosse forte e risoluta, al tempo, la fiducia dell’umanità verso la Scienza che, certamente, avrebbe cambiato le sorti, non ancora progressive, del mondo e la vita degli umani che lo popolavano. Di quella fiducia c’era una prova inconfutabile: Si trattava dell’RMS Titanic, un Transatlantico britannico di 46.328 tonnellate di stazza della Classe Olympic, varato il 31 Maggio del 1911 e ritenuto praticamente inaffondabile. Peccato che quel gioiello tecnologico affonderà, per la collisone con un iceberg, durante il suo viaggio inaugurale da Southampton (UK) a New York, il 14 Aprile del 1911, appena quattro giorni dopo la sua partenza, depositando sul fondo del mare più di 1.500 passeggeri (poco0 più di 700 saranno i salvati).
Ma il 1900 non fu solo l’anno dell’Esposizione Universale di Parigi, fu anche l’anno del “Caso Dreyfus” che, sempre in Francia, aveva visto alla sbarra l’Ufficiale francese Alfred Dreyfus (un Capitano dell’Esercito di origine ebraica) che – accusato di spionaggio a favore della Germania – nel 1906 venne pubblicamente degradato e condannato all’imprigionamento sull’Isola del Diavolo, nella Guyana francese che voleva dire: lavori forzati a vita (*)
Qui non leggerete, però, né di quella Esposizione Universale, né del Titanic, né tantomeno del “Caso Dreyfus, ma di un caso giudiziario tutto italiano, il “Caso Murri” che, a partire dal Settembre del 1902, agitò fortemente la tranquilla vita di provincia della città di Bologna e lasciò un segno a oggi non ancora cancellato del tutto.
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Così una pagina del Sito Web del Dipartimento Cultura, Sport e Promozione della Città, del Comune di Bologna, ricorda il “Caso Murri”:
“Il 2 settembre 1902, Bologna divenne la protagonista di uno dei casi giudiziari più famosi del Novecento. In un’elegante palazzina di via Mazzini 39 fu scoperto il cadavere del medico di nobili origini Francesco Bonmartini, genero del prof. Augusto Murri, illustre clinico, medico di Casa Reale. A fine agosto Bonmartini aveva lasciato Venezia, dove era in vacanza con la moglie Linda (figlia del professore) per tornare a Bologna. Dopo qualche giorno, i vicini chiamarono il prof. Murri per avvertirlo del cattivo odore che si sprigionava dall’appartamento. Così, si rinvenne il corpo. La polizia iniziò le indagini. Il conte era stato ucciso con un’arma da taglio: il movente era da far risalire ad una rapina, visto lo stato in cui si trovava la casa.
Qualche giorno dopo, tuttavia, lo stesso prof. Murri accusò il figlio Tullio dell’omicidio. In città successe un pandemonio: Tullio Murri era conosciuto come direttore del periodico socialista “La Squilla” ed era consigliere provinciale del PSI. [per l’elezione a quella carica aveva battuto nientemeno che Giosuè Carducci, Ndr.]. I giornali cattolici presero la palla al balzo ed iniziarono una campagna contro il razionalismo laico e il socialismo. Il quotidiano socialista “L’Avanti!” denuncerà più volte la violazione del segreto istruttorio.
Pur continuando a mantenere un rapporto conciliatorio, Linda si era separata legalmente nel 1899: lo spirito progressista di lei era in conflitto con lo spirito conservatore e clericale del marito, che in più occasioni si era dimostrato grezzo e brutale e che più volte cercò favori da parte del suocero, che sempre glieli aveva negati. Il processo cominciò e, dopo qualche tempo, fu trasferito da Bologna a Torino. Tullio fu riconosciuto colpevole, seppure con la complicità della sorella Linda e di altri personaggi minori.
Erano infatti coinvolti diverse persone. L’amante di Linda, Carlo Secchi, otorinolaringoiatra e allievo di Augusto condannato a dieci anni ma che morì nel 1910 di polmonite; Pio Naldi, medico e amico di Tullio – un giovane che aveva mostrato grande talento nella professione della medicina ma che era sempre senza un soldo per il vizio del gioco e che fu considerato complice di Tullio Murri nella vicenda e condannato a trent’anni. Rosina Bonetti, la governante di casa Murri-Bonmartini nonché l’amante di Tullio Murri che per la vicenda venne arrestata quale complice dell’omicidio e condannata per favoreggiamento con pena ridotta a sette anni e mezzo per accertata seminfermità mentale. Quando venne liberata dal carcere fu però rinchiusa in un manicomio.
Il re concesse la grazia a Linda, che riottenne la libertà dopo breve tempo e si trasferì a Roma con i figli. Tullio uscì dal carcere nel 1919.” (Fonte: https://www.storiaememoriadibologna.it/archivio/eventi/delitto-murri).
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Augusto Murri (1841-1932), padre di Tullio e Linda, nonché Clinico di vaglia da tutti riconosciuto come un Luminare della Medicina, nasce a Fermo nelle Marche, da un padre Avvocato di idee mazziniane che per questo soffrirà l’esilio. Augusto, che i genitori ritenevano non essere dotato di particolare intelligenza, studia a casa con la madre ché il padre, anticlericale, non lo iscriverà alle Scuole dei Gesuiti, le uniche esistenti allora a Fermo. il ragazzo si trasferisce poi a Firenze con la madre e, ottenuta la licenza ginnasiale in due anni e poi quella liceale in un solo anno, si iscrive a Medicina, presso l’università di Camerino e vi si laurea a 22 anni.
In politica Murri è – da mazziniano convinto – un radicale, anticlericale e anti giolittiano (Giolitti era allora al Governo del Regno D’Italia) e verrà eletto Deputato al Parlamento del regno D’Italia. Il 2 Settembre del 1902, quando fu scoperto a Bologna il cadavere del Conte Francesco Bonmartini, marito di Linda, la figlia primogenita di Murri. Lui stesso denunciò per quel delitto il figlio ventottenne Tullio, morbosamente attaccato alla sorella e da lei ricambiato in questo strettissimo legale familiare.
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Sul delitto Bonmartini, Valeria Paola Babini – Professoressa di Storia della Scienza e delle Tecniche presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna, dove insegna anche Storia della Psicologia – ha scritto, nel 2004, per i tipi della Casa Editrice Il Mulino, “Il Caso Murri, un delitto italiano”. Su quel delitto, nel 1974, il regista Mauro Bolognini dirigerà il Film “Fatti di gente perbene”, sceneggiato dallo stesso Bolognini e da Sergio Bazzini.
Valeria Paola Babini, “Il Caso Murri, un delitto italiano” – Il Libro
L’assassinio del conte Bonmartini poteva restare un episodio di cronaca nera dell’Italia d’inizio Novecento e invece, coinvolgendo i figli di un noto esponente della cultura scientifica italiana, il clinico Augusto Murri, si trasformò nel caso giudiziario più discusso dell’epoca giolittiana; giornali, pubblicazioni a dispense, cartoline illustrate, fogli volanti, volumi stampati ancor prima della conclusione del dibattimento fecero di questo episodio giudiziario un fenomeno collettivo di grande portata sociale.
La strumentalizzazione ideologica e politica, l’attacco alla scienza, la perdita di rispettabilità della borghesia, ma anche il richiamo di tutto ciò che è intrigo e licenziosità sessuale: più che una causa celebre il “bel delitto di Bologna” – come lo definì la stampa straniera – negli anni che vanno dall’apertura dell’istruttoria nel 1902 al verdetto nel 1905 viene assumendo i tratti di un grande romanzo popolare.
Sulla scia dell’affaire Dreyfus, la vicenda Murri diviene il primo caso mediatico dell’Italia unita, che sollecita tra l’altro l’appassionata partecipazione di illustri personalità della cultura come Pascoli, Ada Negri, Capuana, oltre ai Lombroso, a Mann, Mesnil, Bjornson e ad Anna Kuliscioff. Attraverso la rilettura di atti giudiziari, perizie, carteggi inediti, reportages giornalistici, memorie e diari dei protagonisti, l’autrice ricostruisce il caso offrendo una vivace fotografia della società italiana all’aprirsi del secolo nuovo.
(Fonte: Casa Editrice Il Mulino)
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(*) Il “Caso Dreyfus” (1894-1906) divise la Francia tra innocentisti e colpevolisti. Per difendere il Capitano francese, ingiustamente accusato di spionaggio, lo scrittore Emile Zola concepì un Editoriale in forma di Lettera Aperta indirizzata al Presidente della Repubblica francese, dal titolo “J’Accuse”, che venne pubblicato. Il 13 Gennaio del 1896, sul Giornale socialista L’Aurore. Nel 1899, in fase di revisione del Processo la condanna di Dreyfus ai lavori forzati sarà commutata in 10 anni di carcere. Tornato in servizio nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, il Capitano Dreyfus sarà promosso Tenente Colonnello e nel 1919 sarà insignito del titolo di Capitano della Legion D’Onore. Alfred Dreyfus morirà a Parigi, il 12 Luglio del 1935, all’età di 76 anni.
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