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Memoria dei “favolosi” anni Sessanta

Un film che racconta il  loro "lato oscuro", ovvero il "Caso Braibanti"

Il “Caso Moro”, inizio e fine di una storiaccia non solo romana

46 anni fa, il 16 Marzo 1978, ovvero ieri, l’Onorevole Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana, veniva rapito da un commando delle Brigate Rosse, in Via Mario Fani. I brigatisti uccisero i due carabinieri a bordo dell’auto di Moro, Oreste Leonardi e Domenico Ricci e i tre poliziotti che viaggiavano sull’auto di scorta, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, poi sequestrarono l’Onorevole Moro.

Così iniziava il “Caso Moro” terminato cinquantacinque giorni dopo quel 16 Marzo 1978, con l’assassinio dell’esponente della Democrazia Cristiana, il cui corpo fu fatto ritrovare in una Renault R4 rossa, parcheggiata in Via Michelangelo Caetani, strada che si trova nei pressi di Via Delle Botteghe Oscure (all’epoca Sede centrale del Partito Comunista Italiano) e non lontano da Piazza del Gesù (all’epoca Sede centrale del Partito della Democrazia Cristiana).

Appuntamento dunque, tra 55 giorni, il prossimo 9 Maggio.

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“La mirmecologia è una branca della zoologia (studio degli animali e dei protozoi). In particolare, è un ramo della entomologia (studio degli insetti); la mirmecologia riguarda lo studio delle formiche a livello anatomico, fisiologico ed etologico. Il mirmecologo è lo studioso di mirmecologia.” (dal Sito web “Formicarium”).

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«Felice chi è diverso / essendo egli diverso. / Ma guai a chi è diverso / essendo egli comune». (Sandro Penna, Poeta perugino. Dalla Raccolta “Appunti”, pubblicata nel 1950 da “La Meridiana”)

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Molto spesso, quando si parla o si scrive degli anni ’60, del ‘900 si usa definirli “favolosi” e in parte lo furono davvero se ci si riferisce, ad esempio, alla Musica e anche alla politica (qui intesa come momento collettivo in cui i cittadini si occupano della cosiddetta “res pubblica”, la “cosa pubblica”, per cambiare, in meglio, lo “stato di cose presenti“).

Se si parla di Musica, quelli furono gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones, di Bob Dylan e degli urlatori made in Italy, capeggiati dal super-molleggiato Adriano Celentano. Nel Cinema, un posto di vertice ebbe il Film di Federico Fellini “La Dolce Vita” (1960) e nel costume furono gli anni dei “capelloni” e della minigonna, inventata nel 1963 dalla sartina inglese Mary Quant.

Ma furono anche gli anni del “68, della Rivoluzione giovanile globale; gli anni della rivolta in cui “era vietato vietare” e in cui “I Quadri” – come recitava un altro slogan – “li appendiamo al muro”. E ancora, furono anni in cui si pensava di poter cambiare il mondo in un battito di ciglia e di crearne un altro in cui ogni sogno poteva realizzarsi: l’occasione era lì, a portata di mano, bastava volerlo. Ma, come la Storia ci racconta, le cose andarono in un modo diverso e quel sogno non si realizzò, il ’68 venne, infatti, sconfitto e da quella sconfitta nacque il terrorismo e vennero i cosiddetti “anni di piombo”.

In effetti, quel decennio, dal 1960 al 1969, fu veramente attraversato dal vento del cambiamento in molti aspetti della società, e del costume e però gli effetti di quel vento si stabilirono, saldamente, nel modo di pensare e di vivere la vita, rimanendo, ancora oggi, radicati nella mente e nei comportamenti di molte persone (n quegli anni nasce infatti il Servizio sanitario Nazionale, si comincia a lavorare alle modifiche del Diritto di Famiglia e, nel 1970, nascerà lo Statuto dei Lavoratori., senza dimenticare che nel 1962 aveva avuto luogo la riforma della Scuola Media che rendeva concreto il dettato dell’Articolo 34 della Costituzione. Insomma, in quel decennio, diversi Articoli della Carta Costituzionale cominciano a vedere la loro attuazione concreta attraverso delle Leggi dello Stato, insomma io diritti ,singoli e collettivi, fanno grandi passi in avanti.

Ma anche quegli anni ebbero il loro “lato oscuro” e la storia che appresso conoscerete – nota anche come il “Caso Braibanti” – ne fu l’indicatore. In quell’anno, il 1968, infatti, mentre anche nel nostro Paese andavano in scena prove di Rivoluzione, in un pezzo d’Italia il tempo sembrò fermarsi bruscamente, e improvvisamente tornare indietro, ad un periodo della nostra Storia che sembrava passato, il tempo del “Codice Rocco”, il Codice Penale fascista che contemplava il reato di “plagio”.

Nota: Anno 1930, Codice Penale introdotto dal Ministro della Giustizia fascista Alfredo Rocco – Articolo 603 (plagio): “Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.”.  La Corte Costituzionale «cancellò» il reato di “plagio” nel 1981, con la Sentenza n.96, criticando l’eccessiva discrezionalità che una formulazione così ampia avrebbe potuto concedere al Giudicante.

Dunque, in quell’anno, il 1968 in cui sotto il cielo il mondo stava cambiando pelle, in Italia si processava e si condannava Aldo Braibanti, ex partigiano, attivista antifascista poeta, scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, componente (mal tollerato) del Comitato Centrale del PCI e mirmecologo, ovvero studioso delle formiche. Lo si condannava, “ai sensi e per gli effetti” dell’Articolo 603 del Codice Penale Rocco, allora ancora in vigore. Lo si condannava per “plagio” del giovane Giovanni Sanfratello, di famiglia ultracattolica e dalle tradizioni fascistissime che non accettava la sua omosessualità e quella di Braibanti.

Si trattò dell’unico caso in Italia in cui venne applicato quell’Articolo del Codice Penale di Alfredo Rocco, ma in realtà Aldo Braibanti veniva condannato per la sua omosessualità, un orientamento sessuale oggi, in generale, socialmente accettato (pure se, da qualche tempo, anche in Europa spirano venti contrari) ma ieri, lo ieri del 1968, l’omosessualità era considerata una “malattia”: l’omosessuale era un “pederasta”, termine mutuato dal linguaggio del ventennio fascista (Gino Girolimoni docet), sostituito spesso da “invertito”, altro termine non esattamente positivo che perpetuava una discriminazione  diremmo così “cestinata” dalla Carta Costituzionale che in quel 1968 spegneva la ventesima candelina di una immaginaria torta di compleanno.. .

Dunque, se il “pederasta” era un malato andava curato, magari a forza di elettroshock, ”cura”” che il giovane Giovanni Sanfratello, di cui Braibanti si era innamorato, essendo ricambiato, dovette sopportare (cosa che è bene ricordare oggi, nel centenario della nascita dei Franco Basaglia). E che si estrinsecò in 40 elettroshock  e 19 trattamenti di coma insulinico  effettuati in una clinica veronese.

Nota: “pederastia”: tendenza o pratica erotica che nel significato originario del termine è costituita dal rapporto sessuale di un adulto con un adolescente; con significato più ampio, e più comune nell’uso moderno, con questo termine si indica l’omosessualità maschile. (dal Dizionario Treccani della Lingua Italiana)

La storia ci dice che – quattro anni prima del Processo a Braibanti – il padre di Giovanni Sanfratello aveva letteralmente rapito il figlio facendolo rinchiudere in Manicomio a Verona per quindici mesi, dove anche il ragazzo sarà sottoposto a ripetuti elettroshock e sempre la storia ci dice anche che sempre il padre e la madre del ragazzo denuncino Aldo Braibanti per il “plagio” del figlio.

Il Pubblico Ministero Loiacono accoglierà la denuncia e nel 1967 spedirà Braibanti a Regina Coeli. Un anno dopo, durante il Dibattimento, avanti mla Corte D’Assise di Roma, il PM arriverà a dichiarare che: “il giovane Sanfratello era un malato, e la sua malattia aveva un nome: Aldo Braibanti, signori della Corte! Quando appare lui tutto è buio”.

Si trattò di un Processo “pilotato” che Umberto Eco  – schieratosi con Moravia, la Morant6e, Pasolini e molti altri intellettuali dell’epoca in difesa di Braibanti – definirà “non giudiziario ma politico e civile perché ha messo in opera alcuni meccanismi di pensiero e di comportamento che sono una minaccia per ogni uomo libero”. Un Processo che portò alla condanna di Braibanti a nove anni, pena che gli venne diminuita di due per la sua attività nella Resistenza, e un anno dopo, in appello sarà ridotta a due, quelli che sconterà in carcere, per il reato ti plagio “con psicoterapia maliziosa”.

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La vicenda di Braibanti è stata trasferita sul grande schermo dal regista Gianni Amelio (“Il Ladro di Bambini,” 1992, “Le chiavi di Casa”, 2004, entrambi da vedere, se non lo avete già fatto a suo tempo) con “Il Signore delle Formiche” (2022), presentato in Concorso alla 79^ Edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia. Il Film ha ricevuto numerosi riconoscimenti che elenco di seguito:

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2022 – Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia[1] – Premio Brian e Candidatura al Leone d’oro al miglior film

2023 – David di Donatello – Candidatura al miglior film – Candidatura al miglior regista a Gianni Amelio – Candidatura alla miglior sceneggiatura originale a Gianni Amelio, Edoardo Petti e Federico Fava – Candidatura al miglior attore protagonista a Luigi Lo Cascio – Candidatura al miglior attore non protagonista a Elio Germano – Candidatura alla miglior scenografia a Marta Maffucci e Carolina Ferrara

2023 – Nastro d’argento – Premio Guglielmo Biraghi a Leonardo Maltese – Candidatura al miglior film – Candidatura al migliore attore protagonista a Luigi Lo Cascio – Candidatura alla migliore fotografia a Luan Amelio.

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Con questo film – che sarebbe utile che molti spettatori vedessero, perché in alcuni aspetti non è che le cose oggi siano cambiate davvero tantissimo – Amelio non ci racconta solo la storia di un amore omosessuale, ma vuole farci vedere (leggi conoscere) cosa volesse dire essere omosessuali nei “favolosi” anni ‘60 e non solo in Italia. In Gran Bretagna l’omosessualità maschile non fu più reato solo dal 1967, in Germania Est fu abolito proprio nel 1968, in Germania Ovest l’anno successivo.  Dirà Gianni Amelio:  “Viviamo in un paese barbaro e il mio obiettivo è dare coraggio a chi non può avere potere”.  Comunque, per conoscere ancora meglio la questione e comprenderla più precisamente c’è da vedere un Documentario del 2020, “Il caso Braibanti”, di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, che affronta storicamente e culturalmente – in modo puntuale – la figura di Braibanti, dunque non solo ilo finale della sua storia (www.carmengiardina.com/project/il-caso-braibanti-film/).

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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