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Memoria del Calcio, ma non solo; la storia di Donato (Denis) Bergamini

Una vita da mediano e da uomo serio e coraggioso, un uomo ancora senza giustizia

 “Una vita da mediano / A recuperar palloni /  Nato senza i piedi buoni / Lavorare sui polmoni / Una vita da mediano / Con dei compiti precisi / A coprire certe zone / A giocare generosi / Sempre lì /
Lì nel mezzo /  Finché ce n’hai stai lì // (Luciano Ligabue, Una Vita da Mediano”, 1999)

Il piccolo, il maschio di casa, viene al mondo il 18 Settembre del 1962 ad Argenta (Ferrara), il Paese di cui era stato Parroco Don Giovanni Minzoni, ucciso a bastonate dai fascisti, il 23 Agosto del 1923.  Papà Domizio avrebbe voluto chiamarlo Denis, ma quel nome all’Ufficiale di Stato Civile non piaceva, così Denis diventò Donato (Donata si chiamava la sorella), Donato Bergamini. Quella che segue è la sua storia, la storia di un mediano di spinta, una storia cominciata bene, ma finita male, anzi malissimo, ma una storia da raccontare.

Denis ama, da subito, giocare al calcio e, quattordicenne, lo vorrebbe il Bologna ma lui, seguendo il consiglio di Papà Domizio, dice no. Passa qualche anno e il ragazzo debutta nell’Imola (Serie D) poi indossa la maglia del Russi, Squadra di Ravenna, dove gioca per due Stagioni. Poi – Denis ha 23 anni – nel 1985 si ritrova indosso una maglia rosso-blu, la maglia numero 8 del Cosenza Calcio. Il suo ruolo in campo, mediano di spinta, il suo obiettivo – come quello di tutti i giocatori del Cosenza, che militava in Serie B – è di arrivare a giocare in A. Ma il 18 Novembre del 1989, verso le sette di sera, l’”Arbitro in nero”, quello che dirige la partita della vita, estrarrà per Denis Bergamini il cartellino rosso e la sua partita – come il suo sogno da mediano e la sua vita – finiranno per sempre in Calabria – sulla Statale Ionica 106, all’altezza della località di Roseto Capo Spulico – sotto le ruote di un autocarro a tre assi che, carico di 140 quintali di mandarini calabresi destinati ai Mercati Generali del Nord, lo travolge e lo trascina per 64 metri.Almeno questa  è la versione ufficiale di quella tragedia.

Quella strada è maledetta e nota per le molte croci che dovrebbero essere piantate ai suoi lati, a causa delle decine di vite spezzate per i numerosi incidenti mortali succedutisi nel tempo su quel lungo nastro d’asfalto.

Ma quello di Denis Bergamini non è stato un incidente, almeno così dirà la fidanzata 19enne, Isabella Maria Internò. che era con lui in macchina quella sera. Denis si è lanciato sotto le ruote di un grosso camion (un tre assi) che transitava in quel momento proprio in quel punto della Statale 106. Denis voleva uccidersi – dirà la ragazza –  per questo è sceso dalla macchina pochi minuti prima della tragedia. Dunque, suicidio, suicidio per amore, titoleranno i Quotidiani.

Ma qui c’è da registrare la prima stranezza di questa storiaccia. Dopo il “suicidio” di Denis, la ragazza non chiama subito i Carabinieri, ma si fa portare in macchina in un bar a tre chilometri da lì, non chiama i Carabinieri, ma chiama la sua famiglia, poi la Squadra del Cosenza poi un’altra persona, un loro comune amico. Tre telefonate, dunque, ma nessuna per chiedere i soccorsi.

Gelosia

Gelosia ,ah ah  / Gelosia”, ah ah / E’ l’amore che non ti sorride più //,  canterà Nada Malanima nella sua “Che male fa la Gelosia”, singolo del 1970 e si tratta di un pezzo che forse Isabella Maria Internò non conosce, mentre conosce perfettamente bene la gelosia, quella vera, quella che può diventare un ossessione, una malattia e farti impazzire.

Si saprà, infaatti, in seguito che tra Denis e Isabella le cose non erano più tanto perfette. I due si lasciavano e si riprendevano a singhiozzo. Denis confidava agli amici di essere stanco di quella relazione e Isabella, sospettando la presenza sulla scena di un’altra donna (che c’era per davvero e che Denis avrebbe voluto sposare, se quella sera dell’89, sulla Statale 106 non fosse stato estratto quel cartellino rosso) era diventata, possessiva, ossessiva e sempre presente nella vita di Denis. Al tempo, non era ancora in uso il termine stolker, ma questo, a detta di molti dei colleghi del calciatore, era diventata per Denis la ragazza.

E’ suicidio dirà l’inchiesta di Polizia e confermerà la Procura di Castrovillari con il PM Dr. Abate. Dunque, non c’è bisogno di eseguire sul corpo del calciatore un esame autoptico perché, spiegherà la Procura, la causa della morte del calciatore del Cosenza appariva chiara e lampante.

*****

Ma la tesi del suicidio e quella decisione di non chiedere un’autopsia, non convince tutti. Qualche collega di Bergamini avanza seri dubbi sul suicidio e così faranno, da subito, i familiari del calciatore. I dubbi ce li avrà anche il giornalista Oliviero Beha che in una puntata del suo Programma “Radio Zorro” li avanzerà, cercando anche di parlare con la Internò che però gli riattacca il telefono non appena sente il nome di Denis Bergamini.

Forti dubbi ce l’ha soprattutto Papà Domizio che, visto il corpo del figlio all’Obitorio, dichiarerà di non avere trovato su di lui i segni pesanti che il passaggio di un tre assi su un corpo e il successivo trascinamento del corpo medesimo per oltre 60 metri, avrebbero dovuto incontestabilmente lasciare. E’ così che, da subito, – in quel Novembre del 1989 – si materializza quello che le cronache del tempo definiranno il “Mistero Bergamini”.

Il mistero, evidentemente, non era la vita di quel ragazzo, di quel mediano di spinta, amato dai suoi compagni di Squadra e dai tifosi del Cosenza Calcio: “Bergamini è uno di noi”, gridavano, quando lui era in campo e anche quando si sedeva in curva, con loro, con una gamba ingessata dopo un brutto incidente successo durante un allenamento. Insomma, la sua vita era un libro aperto con le pagine senza nessuna macchia. Il mistero stava nella dinamica del suo “suicidio” e nei motivi della sua morte che risultano, da subito, oscuri, nonostante le certezze granitiche degli Investigatori e della Magistratura.

Così cominciano a girare strane voci sui motivi di quella morte. Si disse che c’era di mezzo la droga che Bergamini trasportava sulla sua Maserati, senza averne contezza, per conto di Isabella Internò. La droga sarebbe stata nascosta dentro pacchetti di torroncini e Denis l’avrebbe scoperta quando – avendo per le mani una ragazza e volendo fare il galante – ne aveva aperto uno. Si disse che c’era di mezzo il calcio scommesse e che a Denis erano arrivate pressioni molto forti perché truccasse le partite della sua Squadra, ma che lui aveva sempre rifiutato di entrare nel giro: “Denis Bergamini è stato ucciso perché le partite erano truccate e lui voleva stare fuori dal giro del calcioscommesse. Ma se volete che vi dica di più dovete aiutarmi, il procuratore Gratteri deve proteggermi e darmi delle garanzie, io rischio la vita. Se Gratteri mi dà delle garanzie, io vengo a Cosenza e dico tutto”. Così dirà Pietro Pugliese, di professione killer della camorra, ed ex collaboratore di giustizia.

Dunque, su quella morte sospetta molte furono le ipotesi e molti anni dopo un libro-inchiesta di Carlo Petrini, “Il Calciatore suicidato” proporrà una strada alternativa a quella imboccata al tempo dagli Investigatori e dalla Magistratura, che restano per molti anni fermi sulla tesi del suicidio per amore.

Suicidio o cosa altro?

Nel 2014, l’ex calciatore Carlo Petrini pubblica, per i tipi della Kaos, il suo “Il Calciatore suicidato”, nel quale esprime, fin dal titolo, i suoi dubbi sulle risultanze dell’inchiesta ufficiale sui motivi della morte di Bergamini e cerca di documentare quei suoi dubbi, sostituendo alla parola “suicidio” quella di “omicidio”. Per lui, infatti, Denisa Bergamini sarebbe stato ucciso.

Intanto passano gli anni e in due diversi Processi, Pretura e Corte D’Appello, Raffaele Pisano, il camionista accusato di “omicidio colposo” per avere investito Bergamini, viene assolto “per non aver commesso il fatto”. Intanto passano gli anni e Papà Domizio scrive una lettera alla Trasmissione di RAI3 “Chi L’Ha Visto?”, perché si interessi della morte del figlio. Intanto passano gli anni e – dopo molte insistenze dei familiari – il Pubblico Ministero Dr. Abbate autorizza l’esumazione del corpo di Denis Bergamini e l’effettuazione di una autopsia i cui risultati escludono che il calciatore non si sia lanciato sotto quel tre assi, carico di mandarini, dato che non vengono riscontrati i segni tipici, è dell’impatto del mezzo con il corpo, né del su8ccessivo trascinamento. Il Perito-Settore, incaricat6o dal Tribunale, ipotizza che quell’”investimento possa essere avvenuto post mortem dell’investito. Tutto questo Papà Domizio non lo vedrà perché muore nel 2019.

Quell’autopsia fa riaprire il caso e questa volta sul banco degli imputati siede Isabella Maria Internò, la ex fidanzata di Bergamini, accusata di averlo ucciso, per gelosia. Alla sbarra, oltre alla ragazza, c’è Raffaele Pisano, il camionista assolto nei due Processi in cui era stato imputato per “omicidio colposo”. L’ipotesi su cui si basa l’accusa di questo terzo Processo (il secondo era stato archiviato, confermando l’ipotesi del suicidio= è che la morte di Denis Bergamini sia stata un omicidio. Il Dibattimento è ancora in corso e stavolta speriamo che Denis Bergaminidopo ben 34 anni dal suo assassinio, possa avere la Giustizia degli uomini che ancora attende.

Questa righe sono state rese possibili dall’ascolto del Podcast “Una Morte da Mediano”, prodotto da RAI TGR e RAI, Play Sound, scritto e letto da Filippo Vendemmiatihttps://www.raiplaysound.it/audio/2023/04/Una-morte-da-mediano-Ep01-Cartellino-rosso-f7505b3f-0d35-4476-9493-7ba4b19cae98.html


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