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Memoria della Giustizia e della Dignità, Martin Almada

Il "cacciatore di repressori" se n'è andato, ma non la sua speranza "che la notte passi e ci sia l'alba di un nuovo giorno di giustizia e libertà"

Il 30 Marzo 2024 ad Assuncion, città Capitale del Paraguay, è morto Martin Almada, aveva 87 anni. Pochi lo conoscono e pochi sanno dunque quanto noi, uomini e donne, amanti della Giustizia e della Dignità, dobbiamo a quest’uomo. Per questo ho pensato fosse giusto farvelo conoscere, dedicandogli qualche riga di parole. E certamente dopo averle lette converrete con me che a lui gli uomini e le donne che amano la Giustizia (quella Universale) e la Dignità, quella che si deve ad ogni persona al mondo, devono molto.

Nato in una umile famiglia nella regione di Chaco, in Paraguay, dopo la laurea in Pedagogia nel 1963 Martín Almada fonda l’Istituto Juan Baptista Alberdi insieme a sua moglie Celestina Perez. L’Istituto diviene presto un importante Centro di conoscenza, istruzione e sviluppo cooperativo. L’impegno sociale di Almada lo porta ad intraprendere anche studi in Legge, e a diventare, nel 1968, Avvocato. A causa della sua attività, poco tollerata dalla dittatura del Generale di simpatie naziste Alfredo Stroessner – una delle più lunghe dell’America Latina, durata quasi 35 anni – Almada viene arrestato, nel 1974, e accusato di “terrorismo intellettuale”.

Alfredo Stroessner e il nazista “morto per Decreto”

Al termine del Secondo conflitto mondiale il Paraguay di Alfredo Stroessner –  così come l’Argentina di Juan Domingo Peron  e il Cile di Juan Antonio Ríos Morale  –  divenne un rifugio sicuro per i nazisti in fuga. Tra loro trovarono accoglienza in Paraguay Otto Skprzeny, che si era infilato nel gruppo dei paracadutisti tedeschi che avevano liberato Mussolini dal Gran Sasso prendendosi, in seguito, il merito dell’Operazione militare, senza avere fatto un bel niente per fregiarsene avendo fatto tutto i “Diavoli Verdi”, ovvero i parà del Generale Student; Walter Rauf, che durante la guerra era stato un ufficiale del Servizio di Sicurezza delle SS e aveva preso parte allo sviluppo dei furgoni a gas mobili con i quali venivano uccisi, prima dei Campi di Sterminio, migliaia di ebrei; Joseph Mengele, l’”Angelo della Morte” di Auschwitz e Martin Bormann, il Capo della Segreteria personale di Adolf Hitler e suo braccio destro nel Partito Nazionalsocialista, che in quel Paese latino-americano “morì per Decreto”.

Così quella fine particolare è raccontata sul Sito web WordPress https://team557.wordpress.com/tag/alfredo-stroessner/ : [Bormann] “era arrivato in Paraguay nel 1956 e visse, per un paio d’anni, nella proprietà di Alban Krug, a Hohenauen, una regione dell’Alto Paranà.
Nel 1958-59 venne assistito, a causa del suo stato di salute dal dottor Joseph Mengele, latitante della giustizia, anche lui stabilitosi in Paraguay. Quando qualcuno moriva, Janz 
[Helmut Janz era un funzionario dell’Ambasciata tedesca in Paraguay e Direttore del periodico Neues fur Alle, morto nel 2007 Ndr.].
aveva il compito di raccogliere tutti i registri e i documenti relativi ad essi ed inviarli come “caso chiuso” in Germania.

L’anno successivo della sua morte in Paraguay, nel 1971, il cadavere di Bormann “ricomparve” a Berlino e la giustizia decretò che era morto nel 1945. Il suo corpo, sepolto dapprima nel cimitero di Ita, poi riesumato per essere trasferito in Germania, dove fu inscenato il “ritrovamento” dello scheletro. La cosa è testimoniata anche nella serie televisiva Hunting

Hitler, descritta e commentata ampiamente in questo blog. Far morire “per decreto” Bormann nel 1945, permette di nascondere tracce di avvenimenti – che coinvolgono imprenditori, militari e funzionari nazisti di alto livello – avvenuti dopo la fine della guerra. Una trama oscura di interessi, intrighi e affari che, se Bormann fosse davvero morto nel 1945, non avrebbero mai potuto verificarsi.”.

Dopo l’arresto iniziarono le torture. Come lui stesso ha raccontato nel 1978 nel libro Paraguay: la Carcel Olvidada, el Pais Exiliado (Paraguay: il carcere dimenticato, il Paese esiliato), ogni strumento aveva un nome. I manganelli venivano chiamati “democrazia”, le fruste di metallo “piccolo Paraguay”, gli aghi più grandi, da calzolaio, “Generale Stroessner”, mentre quelli più piccoli “Pastor Coronel”. Torture diverse venivano imposte alle diverse tipologie di prigionieri. Quella preferita per i comunisti e gli oppositori era l’immersione in una vasca da bagno piena di acqua, urina ed escrementi: “diritti umani”, la chiamavano le guardie del Campo di detenzione in cui Almada era rinchiuso; guardie che per eseguire gli ordini e le torture facevano spesso uso di cocaina.

Anche Celestina, la moglie di Almada, pur non essendo in carcere, divenne vittima di questo sistema di torture. Ogni sera il suo telefono squillava: gli uomini della polizia politica paraguaiana le facevano sentire le urla di suo marito durante la tortura. Lo chiamavano “due al prezzo di uno”.
Almada venne torturato per trenta giorni di seguito, ma al decimo giorno il cuore di Celestina non resse all’ennesima tortura psicologica. Quando a mezzanotte le guardie la chiamarono per dirle che il marito era morto, in uno scherzo tragico e crudele, la donna morì per davvero, per un infarto.

Dopo l’accusa di “terrorismo intellettuale”, Almada venne portato in un Campo di concentramento situato nella foresta Amazzonica. Le guardie, infatti, avevano deciso che in una prigione comune non poteva stare, poiché aveva tenuto una cattiva condotta, ovvero: aveva iniziato ad insegnare a leggere ai suoi compagni di cella.

Rilasciato nel 1977, grazie ad una Campagna per la sua liberazione condotta da Amnesty International  a livello mondiale, fu costretto all’esilio a Panama, dove iniziò a collaborare con l’UNESCO. Durante l’esilio si dedicò ad una battaglia incessante per i diritti umani. Dopo la guerra delle Falkland-Malvinas si recò anche in Argentina – dove, nel frattempo, era caduta la giunta militare golpista– per diffondere la sua testimonianza, la conoscenza sulle violazioni dei diritti umani e le sue teorie educative.

Non esitò a tornare in Paraguay dopo la deposizione, nel 1989, di Stroessner.
Il suo obiettivo era tanto lineare quanto ambizioso: cercare di portare i responsabili davanti alla giustizia e di ottenere un risarcimento per le vittime. Per fare questo, tuttavia, era necessario trovare le prove e i documenti riguardanti la repressione e la tortura, di cui la polizia – i cui vertiti erano ancora in gran parte occupati da componenti della ex Giunta militare – negava l’esistenza.

Una mattina di Dicembre del 1992, Almada trovò questo materiale in una Stazione di polizia a pochi chilometri dalla Capitale del Paraguay, Asunción. Si trattava di un archivio con più di cinque tonnellate di documenti contenenti, tra le altre, le prove dell’esistenza del cosiddetto ”Plan Condor”, il disegno politico repressivo con cui sei dittature militari sudamericane hanno collaborato, negli anni ’70 e ’80 del ‘900, per imprigionare più di 400 mila persone e torturarne e ucciderne oltre 50mila.

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Martín Almada aveva trovato gli “Archivi del Terrore”. Tra i documenti si trovava anche il suo Fascicolo personale, con i dettagli della propria prigionia e delle torture a cui era stato sottoposto. Riuscì a far istituire una Commissione Nazionale per proteggere i documenti che aveva rinvenuto e convinse un Giudice a renderli interamente pubblici.

Per incentivare i Processi contro i responsabili della dittatura, nel 1994, Almada istituì anche la Sezione paraguaiana dell‘Associazione Americana dei Giuristi e iniziò ad organizzare una serie di “Tribunali” (sul modello del “Tribunale Russell”) contro i principali criminali del suo Paese e non solo, a cominciare dal Generale Ramon Duarte Vera, Capo della polizia paraguaiana e principale torturatore del regime filonazista di Stroessner, che verrà spodestato, il 3 Febbraio del 1989, da un Golpe organizzato dagli americani e sarà esiliato in Brasile, dove morirà il 16 Agosto del 2006. Sebbene la Sentenza di questo “Tribunale” non avesse forza legale, le prove raccolte da Almada erano così forti da convincere il governo ad arrestare, processare e condannare Duarte Vera che ebbe una condanna a 16 anni di carcere. (*)

Negli anni successivi Almada ha promosso la creazione di un Centro per la riabilitazione delle vittime della tortura e ha costituito, insieme alla seconda moglie Maria Stella Caceres, la Fundación Celestina Perez de Almada, con l’obiettivo di “lottare contro la povertà e in difesa dell’ambiente”.
Nel 2002 Martin Almada ha ricevuto il Right Livelihood Award (considerato il Premio Nobel per la pace alternativo) “per il suo eccezionale coraggio nel consegnare i torturatori alla giustizia e nel promuovere la democrazia, i diritti umani e lo sviluppo sostenibile”.

Un coraggio speso in favore della Memoria che nel suo libro Almada racconta così: “Credo che sia mio dovere, da sopravvissuto delle carceri di Stroessner, raccontare ai miei compatrioti e a tutti gli uomini del mondo ciò che sta veramente accadendo in Paraguay, dietro la tenda del silenzio che lo avvolge.
[..] Uscendo dal carcere, avevo due prospettive davanti a me: cancellare dalla mia memoria l’esperienza appena vissuta, oppure assimilarla e usarla per il bene del mio popolo. Scelsi quest’ultima strada. Non è l’odio né il desiderio di vendetta a spingermi a raccontare il mio calvario. A spingermi è soltanto la speranza che la notte passi e ci sia l’alba di un nuovo giorno di giustizia e libertà in Paraguay.”

.(*) L’International War Crimes Tribunal fu costituito su iniziativa di Bertrand Russell nel 1966, per giudicare i crimini commessi dagli Usa durante la guerra del Vietnam. Lelio Basso fece parte della giuria e fu relatore finale nella sessione che condannò, sia pure simbolicamente, il governo statunitense.
Il Tribunale Russell II è stato fondato, e presieduto, da Lelio Basso nel novembre 1973, raccogliendo e ampliando una richiesta del comitato unitario dei brasiliani in esilio a Santiago allo scopo di affrontare la questione delle violazioni dei diritti umani, dell’uso della repressione e della tortura sotto i regimi dittatoriali dell’America centro-meridionale Il Tribunale diede vita a tre sedute pubbliche, tra il 1974 e il 1976. (Fonte: https://www.fondazionebasso.it/2015/archivio-storico/fondi-archivio/sezione-internazionale/tribunale-russell/#:~:text=Fondo%20Tribunale%20Russell%20(Vietnam)%20(,durante%20la%20guerra%20del%20Vietnam.=

Non dimentichiamo le donne iraniane che lottano per la libertà

Per raccontare la storia di Nika, la sedicenne iraniana molestata e poi ammazzata da tre soldati mentre partecipava ad una manifestazione, spenderò ancora poche altre parole. Meglio di me la storia di Nika (ma non solo) la raccontano, infatti, le parole della giornalista Caterina Soffici che su La Stampa di ieri ha scritto il pezzo che potete ascoltare dalla sua stessa voce qui: https://www.lastampa.it/audio/audioarticoli/2024/05/01/audio/il_massacro_di_nika_la_sedicenne_iraniana_molestata_e_uccisa_dalla_polizia-14267404/.

La voce di una donna che parla di un’altra donna. La prima scrive e continuerà a farlo, raccontando storie. La seconda non potrà più farlo: la sua storia la racconta, per lei, il suo giovane corpo senza vita che porta i segni lasciati su di lei dagli assassini.  La sua storia l’ha raccontata Caterina Soffici e possiamo (meglio dobbiamo) farlo anche noi, facendo girare in Rete la sue parole.


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