Memoria romana. Le donne resistenti a via Tasso
Una storia poco conosciutaGiorni fa ho scritto del bel libro di Benedetta Tobagi “La Resistenza delle Donne” edito da Einaudi, vincitore dell’ultima Edizione del Premio Letterario Campiello. Continuando il discorso su questo aspetto della Lotta di Resistenza, sviluppatasi nel nostro Paese nei 20 mesi di occupazione tedesca, sotto trovate la pagina dedicata alle donne antifasciste e partigiane rinchiuse a Via Tasso, il Carcere tedesco di Roma, tratta dal Sito web del Muso Storico della Liberazione.
Quella della permanenza delle donne antifasciste e partigiane in Via Tasso è storia poco nota. Se ne trova traccia in alcuni libri scritti da alcune partigiane, (ma è traccia fugace) o in interviste come quella che potete vedere e ascoltare qui: https://www.la7.it/atlantide/video/il-racconto-delle-prigioni-di-via-tasso-nelle-parole-di-luciana-castellina-03-06-2021-385046
rilasciata da Luciana Castellina ad Andrea Purgatori per la sua trasmissione Atlantide, ma, almeno a mia conoscenza, non c’è un testo organico che ne parli. L’unica documentazione che ce ne tramanda traccia si trova, dunque, nell’Archivio del Museo Storico della Liberazione di Roma e quasi certamente la dobbiamo all’intelligenza ed al coraggio del Questore Giuseppe Dosi che, trovandosi in Via Tasso al momento della fuga dei nazisti da Roma, riuscì a salvare diversi pacchi di documenti che i tedeschi (e la furia dei reclusi appena liberati) non avevano fatto a tempo a distruggere.
Qualche riga fuori tema (forse): il “Caso Gino Girolimoni”
Il 31 marzo 1924 è il giorno in cui la vita di Gino Girolimoni, mediatore e fotografo 38enne, inizia a cambiare. Lui ancora non lo sa, ma le strade di una brutta storia di violenza porteranno tutte, inspiegabilmente, a lui, facendolo diventare un mostro, il “Mostro di Roma” come la stampa dell’epoca lo aveva definito, senza che lo fosse mai stato. Sette bambine erano state rapite e violentate, cinque di loro erano state uccise. I romani erano spaventati e temevano potesse succedere ancora. Il mostro di Roma doveva essere trovato a tutti i costi. E così sarà.
Non c’erano prove concrete che attestassero la colpevolezza di Gino Girolimoni, ma lui finì comunque, per quattro mesi, in isolamento a Regina Coeli, prima di essere liberato, l’8 Marzo del 1928. Lui è libero, ma il suo cognome è diventato sinonimo di pedofilo e quello stigma, quel marchio infamante, Gino Girolimoni se lo porterà addosso fino alla fine della sua vita precaria e disperata, che avverrà nel 1961. Questo, nonostante il fatto che il Commissario Giuseppe Dosi (che alla fine della guerra sarà tra i fondatori dell’Interpol) non essendo mai stato convinto della colpevolezza del fotografo, avesse riaperto il caso.
Analizzando le testimonianze il poliziotto si rende conto che la descrizione del mostro gli ricorda quella di Ralph Lyonel Brydges, un pastore anglicano alla Holy Trinity Church di via Romagna, a Roma, che era stato fermato successivamente a Capri per aver adescato una bambina. Il 13 Aprile 1928 il Commissario Dosi incontra il religioso e gli comunica di essere formalmente indagato per gli omicidi avvenuti nella Capitale. Il Pastore anglicano alla fine delle indagini sarà arrestato, ma Mussolini lo farà liberare anche a causa delle pressioni della Chiesa Anglicana. Così, per tutti e tutt’ora, il “Mostro di Roma” ha un solo nome: Gino Girolimoni.
Nota 1: nel 1939 Giuseppe Dosi finisce nel Padiglione XVIII del Manicomio Giudiziario Santa Matria della Pietà di Roma. Lo dicono affetto da paranoia e manie persecutorie. La sua colpa vera – ché matto non era – era stata quella di essersi inimicato il Capo della Polizia fascista Arturo Bocchini, per via delle sue indagini sul Caso del “Mostro di Roma”. In quel padiglione del Manicomio, Dosi incontrerà proprio il Prete anglicano Ralph Lyonel Brydges, che poi sarà assolto dalle accuse che Dosi gli aveva mosso e verrà liberato. Dosi, invece, rimarrà in quel Padiglione del Santa Maria della Pietà ancora per qualche tempo prima di essere liberato anche lui e dopo la fine della guerra reintegrato in Polizia.
Nota 2: la storia di “Mostro del Roma” ha ispirato il regista Damiano Damiani dando origine al film “Girolimoni, il Mostro di Roma” del 1972, con Nino Manfredi, nella parte di Girolimoni.
Nella quotidianità della vita ci sono cose che si possono rimandare e altre che, invece, è bene fare il prima possibile. Una di queste ultime è quella di visitare il Museo Storico della Liberazione in Via Tasso, al civico 145. Quando sarete arrivati “Lì, vicino a San Giovanni” (espressione con cui i romani, durante l’occupazione tedesca, si riferivano appunto a Via Tasso, avendo paura perfino a pronunciarne il nome) fermatevi un momento a leggere la lapide collocata dall’ANPI sul muro del Palazzo, che recita: “Questa lapide consacri nei secoli il luogo dove più infierì la ferocia nazista e rifulse l’eroismo dei martiri” e nella vostra visita a questo importante luogo di Memoria, non dimenticate di soffermarvi a lungo nella Sala “Le Donne”.
SALA “LE DONNE” – Museo storico della Liberazione – Roma
Le donne per il regime fascista avrebbero dovuto costituire l’elemento cardine della coesione sociale e della costruzione del consenso, con la guerra al contrario ne erano diventate l’anello debole. Durante l’occupazione, progressivamente, uscirono dal privato e da una quotidianità nascosta ed assunsero caratteri che le resero incisive e anche visibili e pubbliche, con scelte sempre più consapevoli di rischi ed obiettivi. Esse furono le essenziali protagoniste a livello di massa di quel rifiuto dell’occupazione che impedì ai nazisti di esercitare in pieno il controllo sulla popolazione di Roma che avrebbero voluto rendere totalmente prigioniera e dominata.
Molte furono catturate e portate a via Tasso. La documentazione in possesso del Museo ha accertato la presenza di oltre 200 donne ma si può ipotizzare che siano state almeno il doppio. In questa cella ricostruiamo il loro percorso e i molteplici motivi della cattura.
Le donne romane partecipano alla resistenza fin dai primi giorni dopo l’8 settembre.
Molte si occupano di rifocillare i soldati impegnati nei combattimenti, di trarre in salvo i feriti e di portare via i caduti. Subito dopo l’occupazione sono impegnate ad evitare che i loro cari, e non solo, cadano in mano nemica. Molte riescono nel loro intento anche rischiando in prima persona, mentre alcune sacrificano la loro stessa vita per proteggere quella degli altri.
Suor Teresina di Sant’Anna – Nata Cesarina d’Angelo, ha 29 anni. La sera del 9 settembre, con altre suore sta componendo i corpi dei caduti italiani nella cappella dell’orfanotrofio del Forte alla Montagnola. Un paracadutista tedesco cerca di strappare una catenina d’oro dal collo di uno dei soldati che giacciono nella cappella, Suor Teresina gli si avventa contro e lo colpisce col crocifisso di ferro che stava deponendo sul corpo del caduto. Il paracadutista con il volto sanguinante fa per colpirla con il calcio del fucile, ma si blocca e se ne va. Suor Teresina continuerà ad occuparsi dei caduti e proprio mentre sta cercando dei feriti da trarre in salvo viene essa stessa colpita, morirà alcuni mesi dopo per i colpi ricevuti.
Domenica Cecchinelli – La stessa sera del 9 settembre, sempre alla Montagnola, Domenica Cecchinelli, di circa sessant’anni, madre di cinque figli, esce di casa per andare a soccorrere i feriti presso il Forte. Un soldato tedesco la sorprende ad estrarre il corpo di un carrista dalla torretta di un cingolato, le intima di desistere e davanti al suo rifiuto la uccide con un colpo di fucile.
Pasqua Ercolani – Il 9 settembre, insieme all’anziano cognato panettiere Quirino Roscioni, fornisce di pane i soldati che combattono alla Montagnola finché i nazisti non circondano e occupano il forno. Fatta prigioniera e poi rilasciata, viene uccisa da una mitragliata mentre cerca di allontanarsi dal forno con il cognato
Le SS, che avevano compreso che le donne di Roma erano dentro, non fuori o ai margini della Resistenza, ne catturarono un gran numero. La documentazione in possesso del Museo comprende sia schede carcerarie con il nome e la motivazione della cattura che molte dirette testimonianze. I motivi della cattura sono molteplici: dalla partecipazione attiva alla Resistenza, alle madri, mogli, sorelle o figlie di partigiani o di militari clandestini che venivano trattenute come ostaggi. Altre avevano contravvenuto alle leggi imposte dagli occupanti come il commercio di gioielli, violazione del coprifuoco, assalti ai forni.
Angelini Carla nata a Roma nel 1923, staffetta nei Gap, si è guadagnata la medaglia di bronzo al valor militare, che si aggiungeva alla croce di guerra al merito. Arrestata, per una delazione, il 28 gennaio 1944 e portata a via Tasso, il 25 febbraio è trasferita a Regina Coeli dove rimane fino al giorno della Liberazione il 4 giugno 1944. Comunista, alla liberazione si è laureata (prima donna a specializzarsi in neuropsichiatria) e ha fatto politica attiva di base rifiutando cariche federali e candidatura a deputato.
Florio Lucia: arrestata il 19 marzo 1944 perché, avendone necessità, stava cercando di vendere i propri gioielli e per questo sospettata di aiuto alla monarchia. Il marito, l’armatore e industriale vinicolo palermitano Vincenzo, anche lui arrestato e detenuto a via Tasso per il medesimo motivo, riporta nel suo diario “la triste avventura, simile alla mia, come ella stessa la raccontò la sera stessa della nostra liberazione”. Il suo racconto e quello del marito ispirarono l’artista Guido Gregoretti che rappresentò in un dipinto la cella delle donne.
Mancini Iole nata a Roma nel 1920, staffetta, moglie di Ernesto Borghesi partigiano dei GAP, è arrestata e portata a via Tasso il 25 maggio ’44. Subisce un interrogatorio per tutta la notte, con l’intento di farle denunciare dove il marito sia nascosto. La sera del 3 giugno viene fatta scendere con le altre donne e la fanno salire su uno dei camion in attesa che, però, per un guasto non parte. Riportata in cella, viene liberata la mattina dopo con l’arrivo degli americani.
Michelin Salomon Vera nata a Carema (Torino) il 4 novembre 1923 da famiglia protestante di ufficiali dell’Esercito della Salvezza. Trasferitasi a Roma per lavoro, l’8 settembre 1943 entra nella Resistenza, in particolare nell’organizzazione del Comitato studentesco di agitazione. Il 14 febbraio 1944 viene arrestata, a casa di Enrica Filippini Lera, da un commando di SS insieme a Paolo Buffa, Paolo Petrucci, Cornelio Michelin-Salomon. Tutto il gruppo è trasferito in Via Tasso. Soltanto Vera rimane nella cella femminile per gli interrogatori, è poi portata a Regina Coeli. Il 22 marzo si svolge il processo, davanti al Tribunale Militare Tedesco: tutti assolti i ragazzi che però il 24 marzo 1944 si trovano ancora nel carcere di Regina Coeli; Paolo Petrucci viene prelevato e muore alle Fosse Ardeatin. Vera ed Enrica sono condannate a tre anni di carcere duro, da scontarsi in Germania. Il 24 di aprile Vera e Enrica sono avviate in Germania nella prigione di Stadelheim (Monaco), e successivamente trasferite nel Frauen Zuchthaus di Aichach (Alta Baviera) dove saranno liberate dalle truppe americane il 29 aprile 1945.
Regard Maria Teresa nata a Roma il 16 gennaio 1924. Al Liceo conosce e stringe amicizia con Marisa Musu , gli scontri di Porta San Paolo contro i tedeschi la vedono in prima linea. Entrata nei Gruppi di Azione Patriottica, col nome di Piera, partecipa all’azione contro il comando tedesco all’hotel Flora in Via Veneto. Nel gennaio 1944, insieme a Guglielmo Blasi, lascia una borsa con bomba al posto di ristoro dei soldati tedeschi alla stazione Termini, causando la morte di tre ufficiali tedeschi e il ferimento di altri . Dopo tali azioni viene promossa al grado di tenente. Arrestata il 30 gennaio del 1944, mentre si trovava in casa di Gioacchino Gesmundo per rifornirsi di chiodi a tre punte, è portata in via Tasso, interrogata e, in seguito, rilasciata grazie alle dichiarazioni del gappista Giorgio Labò e di Lina Trozzi. Insignita della medaglia d’argento al valor militare.
Trozzi Lina nata nel 1916, di famiglia antifascista e socialista, dopo il 25 luglio del 19 43 si lega ai gruppi clandestini della resistenza a Roma partecipando alle attività di sabotaggio durante l’ occupazione. Sorpresa dalle SS a casa di Gioacchino Gesmundo, viene reclusa nel carcere di via Tasso e, nonostante sia interrogata per nove giorni consecutivi, riesce a scagionare Maria Teresa Regard, arrestata con lei. Processata, è condannata a dieci anni e deportata in Germania. Il 29 aprile 1945 è liberata – dall’esercito alleato – dal carcere ed istituto di custodia femminile di Aichac (Alta Baviera).
Tucci Riccio Maria Adelaide nata nel 1909, sorella di Carlo Tucci, ufficiale della Regia Marina, fu arrestata il 18 febbraio 1944 con l’accusa di far parte della Resistenza clandestina romana, in cui infatti svolgeva il ruolo di staffetta per il Servizio informazioni clandestino della Regia Marina. Portata a via Tasso fu sottoposta a svariati interrogatori. I nazisti non ottennero da lei né nomi né notizie. La rilasciarono il 16 aprile 1944, grazie all’intercessione di Trude Zeiss.
Zeiss Trude, cittadina tedesca, ex- compagna di scuola di Kappler, imprigionata a via Tasso per i suoi interventi a favore di molti italiani arrestati ma soprattutto per la sua relazione con Dino Eminente, ebreo.
fonte: https://www.museoliberazione.it/it/il-museo/le-celle/cella-le-donne/
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