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Memorie di Maggio

La fine della Seconda guerra mondiale - Peppino Impastato - Giorgiana Masi

“Anche se il nostro maggio / Ha fatto a meno del vostro coraggio / Se la paura di guardare/ Vi ha fatto chinare il mento / Se il fuoco ha risparmiato / Le vostre Millecento / Anche se voi vi credete assolti / Siete lo stesso coinvolti.”

Fabrizio De Andrè nella sua “Canzone del Maggio”

 

La prima memoria è quella della guerra del 9 Maggio di 78 anni fa, quando finiva la Seconda guerra Mondiale, ma non del tutto.

“Il 7 maggio 1945, il generale sovietico Zhukov, il generale tedesco Wilhelm Keitel e il generale statunitense Eisenhower firmano il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale. L’ex ministro dell’aviazione tedesca Hermann Goering consegna la sua pistola in segno di resa. Il 10 maggio del 1945, negli Stati Uniti e in Europa, sfilata delle truppe alleate che festeggiano la fine della Seconda guerra mondiale, la gente esulta e sventola bandiere; scene di gioia e di festeggiamenti in varie capitali europee e città statunitensi. Il 9 Maggio 1945, termina ufficialmente la Seconda guerra mondiale.”(un minuto di Storia).

-“Il 9 maggio di 74 anni fa, con la resa incondizionata della Germania nazista alle forze alleate, finiva in Europa la Seconda guerra mondiale. La capitolazione era stata siglata a Berlino intorno alle 2,15 della notte ma la notizia venne diffusa la mattina successiva. Si concludevano così sei anni del conflitto bellico più grande e sanguinoso che il vecchio continente avesse conosciuto, festeggiati anche dai combattenti della Resistenza che sfilarono in molte città italiane. L’atto era stato preceduto dalla resa militare firmata il 7 maggio a Reims, in Francia, e venne ripetuto nella capitale tedesca alla presenza di una delegazione dell’Unione Sovietica. Proprio Berlino era stata teatro dell’ultima grande offensiva in territorio europeo: l’Armata Rossa aveva dovuto lottare per ben sei giorni durante i quali Hitler, che aveva deciso di rimanere nella capitale accerchiata cercando di organizzare l’ultima reazione, il 30 aprile si era tolto tolse la vita per non cadere in mano nemica.”

 Così il Mensile online, Patria Indipendente, ricordava il 74° Anniversario del 9 Maggio 1945, data convenzionale per la fine del Secondo conflitto mondiale. Ma la Seconda guerra mondiale – conflitto tremendo che era costato all’umanità più di 70 milioni di morti di cui almeno 25 milioni dell’Unione Sovietica, di questi, solo una parte sono morti in battaglia: milioni e milioni di donne, uomini e bambini massacrati nelle città bombardate da tutti i contendenti, nei campi di sterminio e nelle rappresaglie nazifasciste – non era davvero finita quel giorno. In realtà, infatti, quella data non segna la fine vera del conflitto mondiale perché – anche in Europa – si continuerà a combattere per qualche giorno ancora per sconfiggere definitivamente le ultime sacche di resistenza dei nazisti e, fuori dell’Europa (leggi in Giappone) bisognerà attendere il 6 ed il 9 Agosto del 1945 perché – con i voli atomici dell’Enola Gay su Hiroshima e del Big Fat su Nagasaky, la famigerata bomba H, targata USA, ponga fine alle resistenze giapponesi alla resa, al prezzo di altre decine e decine di migliaia di vite, spente dalle esplosioni atomiche e dalla successive conseguenze mortali della luce assassina di quei “funghi” atomici.

Nota: prima che il Giappone imperiale firmasse la resa senza condizioni c’è stato un momento nel quale il governo cobelligerante del Maresciallo Badoglio pensò di mandare un Reparto militare italiano – il Regimento di Marina San Marco, che aveva partecipato alla Guerra di Liberazione inquadrato nel Corpo Italiano di Liberazione, II^ Brigata e poi nel Gruppo di Combattimento “Folgore” — a combattere in Giappone con gli alleati. Le bombe H, sganciate sulle città giapponesi, fecero si che quell’idea non divenisse realtà.

Noi, comunque, oggi – nel pieno di una nuova guerra in Europa che coinvolge le truppe dell’invasore russo e quelle dell’Esercito ucraino (più come sempre accade in una guerra migliaia di civili innocenti) – celebriamo il 78° Anniversario della fine convenzionale di quel Secondo conflitto mondiale, continuando pervicacemente a sperare che presto arrivi una pace vera e duratura.

 

Seconda memoria è quella dei Cento passi. E non uno indietro: Il 9 Maggio 1978 di Peppino Impastato

Il 9 Maggio del 1978 – mentre a Roma, in Via Montalcini, veniva ucciso dalle BR il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro – a Cinisi, (Palermo, Sicilia, Italia) il corpo del militante antifascista di Democrazia Proletaria, Giuseppe (Peppino) Impastato, veniva fatto trovare dilaniato sui binari della ferrovia, dopo essere stato “fatto saltare” con una carica di tritolo. Ad ucciderlo, gli scherani dello zio, Gaetano Badalamenti, Don Tano, il boss mafioso che – dai microfoni della sua Radio Aut, nel Programma di satira “Onda Pazza” – Peppino, attaccava ripetutamente, dopo averlo soprannominato “Tano Seduto”.

Da quel 9 Maggio sono trascorsi 45 anni e questo 45° è anche l’anno della cattura di Matteo Messina Denaro. Oggi, alle 17,00 a Cinisi, un corteo ripercorrerà i cento passi che dividevano la casa degli Impastato da quella di Tano Badalamenti. Quei cento passi – che Peppino percorreva ogni giorno – si muoveranno nel suo ricordo: quello di un italiano certo, ma altrettanto certamente quello di un militante antifascista e antimafia, che ha pagato con la vita il suo amore per la verità e il rifiuto di restare in silenzio andando così, sempre e comunque, in direzione ostinata e contraria. Peppino diceva spesso: “La mafia uccide. Il silenzio pure”.

 

Terza memoria: Roma 12 Maggio 1977. Chi si ricorda di Giorgiana Masi?

A Giorgiana Masi, 19 anni, uccisa il 12 Maggio 1977 dalla violenza del regime” (Targa commemorativa apposta sulla spalletta del Ponte Garibaldi, Rione Trastevere di Roma). A Villa Doria Pamphili, il “Largo Giorgiana Masi” la ricorda, insieme ad altre donne antifasciste e combattenti della Repubblica Romana.

Il 12 Maggio del 1977, durante la manifestazione organizzata dai radicali per l’anniversario del Referendum sul divorzio, scoppiano tafferugli con le forze dell’ordine durante i quali viene colpita mortalmente alle spalle Giorgiana Masi, 19 anni, una ragazza come tante altre che pagherà la “colpa” di voler essere in piazza a manifestare per una vittoria della democrazia sull’ignoranza e la grettezza.

Il padre era parrucchiere, la madre casalinga. Frequentava il quinto anno del liceo scientifico Pasteur. La domenica distribuiva il giornale Lotta Continua, a scuola animava un collettivo femminista. Uscendo di casa aveva detto alla mamma: “Non succederà nulla. È una giornata di festa. Canteremo e festeggeremo. Se accadono incidenti mi metto al sicuro. Ma la festa per lei – e per tutti noi che eravamo lì quel giorno – si trasformerà in una tragedia. Il Ministro dell’Interno dell’epoca, Francesco Cossiga, negherà che gli agenti avessero usato le armi, ma gli scatti del fotoreporter Tano D’Amico, pubblicati dalla stampa, mostreranno agenti in borghese che sparano ad altezza d’uomo. “Andai a letto convinto che Cossiga si sarebbe dimesso la mattina dopo” – dirà il fotografo anni dopo – “Invece sono io che sono stato dimesso da tutto, perché avevo rotto le scatole”.

Prologo – “La raggiunsero che ancora respirava. “Mi sento paralizzata”, bisbigliò. Caduta di schianto in mezzo all’incrocio, a braccia avanti, la testa verso Trastevere, i piedi verso Ponte Garibaldi, sulle prime pensarono fosse inciampata. “Che ti è successo?” Le si fecero intorno, a cerchio, in tanti ragazzi come lei. Non poteva vedere le loro facce interrogative. Si era come assopita sull’asfalto tiepido. Le voci si fecero presto più concitate. ”E’ stata colpita”, gridò un tipo. Non c’erano tracce di sangue, né bossoli. La trascinarono verso Piazza Sonnino. Passò di lì un’Appia guidata da un impiegato, Zeno Gabbi. Fu fermato a gran voce. “Hei tu, c’è una donna che sta male, portala in ospedale”. Aprirono lo sportello, l’adagiarono sul sedile e l’auto sgommò verso il Nuovo Regina Margherita. Era un caso disperato. Il Medico del Pronto Soccorso, che dieci minuti dopo la fece stendere sul lettino, scosse la testa. “E’ morta”, disse. Così se n’è andata Giorgiana Masi, poco dopo le 20 del 12 Maggio 1977. “. […]”. (Concetto Vecchio, “Giorgiana Masi, indagine su un mistero italiano”, Feltrinelli, 11 Maggio  2017)

“Se la rivoluzione di ottobre fosse stata a maggio – se tu vivessi ancora – se io non fossi così impotente di fronte al tuo assassinio – se la mia penna fosse un’arma vincente – se la mia paura esplodesse nelle piazze – coraggio nato dalla rabbia strozzata in gola – se l’averti conosciuta diventasse la mia forza – se i fiori che abbiamo regalato – alla tua coraggiosa vita nella nostra morte – almeno diventassero ghirlande – dalla lotta di noi tutte donne – se… non sarebbero le parole a cercare di affermare la vita – ma la vita stessa, senza aggiungere altro”.

 Così si leggerà sui manifesti che tappezzeranno Roma nei giorni a seguire quel 12 Maggio di sangue e di morte. Una morte, meglio, un assassinio, quello di Giorgiana Masi (due giovani, Francesco Lacanale e Elena Ascione, furono colpiti più o meno nello stesso tempo in cui veniva ferita mortalmente Giorgiana) che, a 46 anni da allora è ancora lontano dalla verità e dalla giustizia. Uno dei tanti, troppi, “misteri italiani” ancora giudiziariamente irrisolti. L’inchiesta sulla sua morte verrà chiusa il 9 Maggio 1981. Il Giudice Istruttore scriverà: “Impossibilità a procedere poiché rimasti ignoti i responsabili del reato”.

Parafrasando le famose parole di Pier Paolo, Pasolini (“Cos’è questo Golpe” Io So”, Corriere della Sera, 14 Novembre 1974) potrei scrivere “Noi sappiamo … ma non abbiamo le prove. Non abbiamo nemmeno gli indizi.”.

Ma per l’assassinio di Giorgiana Masi i nomi li abbiamo (quelli degli agenti in borghese, come Giovanni Santone, in maglietta bianca con una riga nera, borsa di Tolfa e la pistola in mano della (e gli altri delle) foto di Tano D’Amico). Agenti in borghese, disseminati tra Piazza della Cancellerie e Campo De’ Fiori. E gli indizi ci sono (i bossoli dei proiettili sparati quella sera, ad altezza d’uomo dalle forze dell’ordine, e raccolti (anche da chi scrive) dopo gli scontri, ma nonostante questo, la Memoria di Giorgiana Masi e la nostra, attendono ancora giustizia.

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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