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Nel “Giorno del Ricordo”

Occorre fare Memoria di ciò che è stato, senza stravolgere la Storia

“1. 1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. (Legge 30 Marzo 2004, N. 92, Istitutiva del “Giorno del Ricordo”, Articolo 1, Punto 1) 

Come avete letto, la Legge N, 92, del Marzo del 2004 ha istituito il “Giorno del Ricordo”: “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.” 

Faccio subito un’osservazione personale su questa Legge, diciamo così “memoriale”, come la farò su quella precedente, la Legge n. 211, del Luglio 2000, che istituisce, il 27 Gennaio, come “Giorno della Memoria”. Premetto che le Leggi vanno sempre scritte con estrema chiarezza e quando trattano argomenti storicamente delicati, come le due Leggi che ho citato, devono presentare la verità storica tutta intera, senza “dimenticanze”. 

Mi spiego – La Legge N. 211, del 2000, ad esempio, chiede, giustamente, di ricordare “le persecuzioni e lo sterminio del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti “ e dimentica di inserire tra le vittime del nazifascismo, anch’esse certamente da ricordare perché anch’esse deportate e uccise, i Rom, i Sinti, i Caminanti, i Kalè, ovvero quelli che – spregiativamente – chiamiamo “zingari”;  nonché gli omosessuali, le lesbiche e i Testimoni di Geova o ancora le quasi 100mila (per la verità storica, dalle 60mila alle 100mila) vittime della famigerata “Aktion T4”, che iniziò prima dell’apertura della maggior parte dei Campi di sterminio e che portò alla morte vecchi, malati gravi e disabili. Tutte persone che, come è certamente noto, sono state vittime del nazifascismo e come tali, dunque, – lo ribadisco – vanno ricordate in un Giorno come il 27 Gennaio. (*)

La Legge N. 92 del Marzo 2004, a sua volta, presenta anch’essa la sua “dimenticanza” e si tratta di una dimenticanza – a mio giudizio – assai grave. La Legge, infatti, non ricorda affatto gli anni dell’occupazione nazifascista di quelle terre che videro alla fine della guerra svilupparsi il fenomeno delle foibe e l’esodo dei profughi giuliano-dalmati. Sia chiaro, non è assolutamente mia intenzione – né è intenzione della nostra Sezione ANPI e  tantomeno dell’ANPI tutta – sottovalutare la dolorosa vicenda del cosiddetto “confine orientale”: Il 10 Febbraio, “Giorno del Ricordo”, rappresenta, ogni anno, un’occasione per riflettere su una delle tragedie più terribili del nostro Paese. La violenza esercitata dall’esercito jugoslavo, su uomini e donne inermi, non ha nessuna giustificazione e l’ANPI è vicina ai familiari delle vittime delle foibe e ai profughi istriani e dalmati, costretti a lasciare le loro case.  

Come ho scritto – e ancora lo ribadisco – non c’è nessuna giustificazione per questa violenza, ma non ce n’è alcuna nemmeno per l’altra violenza, ovvero per la violenza esercitata negli anni dell’occupazione di quelle terre, dai fascisti prima e dai nazisti poi. E questo va detto, forte e chiaro, per la verità storica. 

La Storia che oggi ricordiamo ha dunque un Prologo. Il suo Prologo sta nel Discorso che Mussolini tenne al Teatro Politeama-Ciscutti, di Pola, il 21 Settembre del 1920, quando ancora il fascismo non aveva preso il potere e che può essere considerato l’avvisaglia del discorso con il quale, il 18 Settembre del 1938 a Trieste, Mussolini stesso, diventato Capo del Governo da più di 15 anni, proclamerà la vocazione razzista e antisemita del fascismo. Discorso che originerà le infami Leggi Razziste ed antisemite di quell’anno, precedute dalla pubblicazione del “Manifesto della Razza”.

Nel Discorso di Pola il futuro duce affermava tra l’altro, cito: “Per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara, io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”. E ancora affermava che con quella gente si poteva (anzi si doveva) usare il bastone al posto della carota. E il bastone arrivò puntualmente, due anni dopo, sotto forma di violenze, incendi e omicidi tutti diretti a persone e simboli della comunità slava. Arrivò con l’italianizzazione forzata che significava: proibizione assoluta dell’uso della lingua slava e della pratica delle tradizioni culturali slave, con il cambio forzoso della toponomastica dalla lingua slovena all’italiana; con l’insegnamento scolastico obbligatorio delle sole lingua e cultura italiana e via elencando.  

Senza dimenticare i numerosi Campi di prigionia che, in quelle terre, il fascismo istituì per i resistenti e gli antifascisti slavi e italiani, sia prima che durante il tempo della RSI; luoghi che saranno per molti prigionieri la prima tappa del viaggio verso i Campi di sterminio nazisti. Ne cito alcuni: Arbe, Fiume, Gonars, Cichino, Renicci, Viscol. 

Non va poi dimenticato – come ho prima anticipato – il periodo dell’occupazione nazista e degli ungheresi (dell’Ammiraglio Horthy e dei nazifascisti delle Croci Frecciate che Ferenc Szalasi aveva fondato nel 1935), avvenuta il 6 Aprile del 1941 (di cui quest’anno ricorre l’83° Anniversario) con il corollario di atti criminali che furono commessi contro la popolazione iugoslava di quelle terre dai  fascisti italiani, dai tedeschi e dagli ungheresi.

Nota: in seguito al Trattato di Rapallo, firmato nel 1920 tra il Regno d’Italia e quello dei Serbi, Croati e Sloveni, furono annesse all’Italia: Gorizia, Trieste, l’Istria e Zara (mentre Fiume fu dichiarata città libera che successivamente, con il Trattato di Roma, il 24 Gennaio 1924, fu annessa all’Italia). Negli anni successivi, il regime fascista impose in tutta la Venezia Giulia una violenta politica di snazionalizzazione. Come ricorda il testo definitivo dell’analisi bilaterale Italia-Slovenia dell’Aprile 2001: 

«Nella Venezia Giulia vennero progressivamente eliminate tutte le istituzioni nazionali slovene e croate, le scuole furono italianizzate, gli insegnanti licenziati o costretti ad emigrare, vennero posti limiti all’accesso degli sloveni nei pubblici impieghi». All’eliminazione politica delle minoranze, si accompagnò da parte del regime mussoliniano un’azione che «aveva l’intento di arrivare alla bonifica etnica della Venezia Giulia, con la repressione attuata nei confronti del clero, che rappresentava un importante momento di sintesi della coscienza nazionale delle minoranze, e «l’abolizione dell’uso della lingua slovena nella liturgia e nella catechesi». 

La prima conseguenza di «questo programma di distruzione integrale delle identità» fu la fuga di gran parte delle minoranze dalla Venezia Giulia: «Secondo stime jugoslave emigrarono 105 mila sloveni e croati». Ma soprattutto si consolidò, agli occhi di queste minoranze, un fortissimo sentimento anti-italiano, «l’equivalenza tra Italia e fascismo» che portò «la maggioranza degli sloveni al rifiuto di quasi tutto ciò che appariva italiano».

La situazione drammatica si accentuò poi quando i tedeschi trasformarono l’attuale Friuli-Venezia Giulia e la Zona d’Operazioni delle Prealpi, cioè l’attuale Trentino Alto Adige, in Operationszone Adriatisches Küstenland, ovvero la Zona D’Operazioni del Litorale Adriatico, ponendo quei territori sotto il loro diretto controllo (leggi annessione al Reich nazista), in questo spalleggiati anche dai componenti della X MAS di Junio Valerio Borghese, Reparto militare inquadrato formalmente nell’Esercito della RSI, ma che aveva firmato un Trattato di collaborazione militare con i nazisti e che si macchierà di crimini orrendi contro i partigiani e la popolazione civile, così come faranno i nazisti. 

E non voglio qui dimenticare – a Trieste – la Riseria di San Saba, nota anche solo come “La Risiera” che fu dapprima un Campo d’internamento per gli IMI, i militari italiani rastrellati dai tedeschi dopo l’8 Settembre del 1943, ovvero lo  Stalag 339, e in seguito divenne l’unico Campo di Sterminio istituito dai nazisti in Italia, nel quale saranno deportati dai 3mila ai 5mila ebrei e partigiani italiani e slavi e nel quale molti di loro ”passeranno per il camino” del forno crematorio attivo h 24 dal 20 Ottobre del 1943 fino al 29-30 Aprile 1945, quando il forno crematorio stesso fu fatto saltare dai tedeschi per eliminare la prova delle loro criminali nefandezze. 

Ecco, questo è un quadro estremamente sommario di ciò che è stato in quelle terre negli anni che vanno dal 1922 al 1945, quadro nel quale si deve – a giusta ragione – inserire quanto è avvenuto con gli infoibati e l’esodo dei profughi istriano-giuliano-dalmati. 

Bussola importante per guidare una riflessione corrette e serena su quei fatti è la Relazione della Commissione Mista Storico-Culturale Italo-slovena costituita nel 1993 e operativa fino al 2001, anno in cui ha emesso la sua Relazione finale, con la quale ristabilisce diciamo così la “vertà effettuale delle cose”, descrivendo, in modo obiettivo, i fatti che sostanziano quella che viene spesso definita come la “Questione del Confine Orientale” – Testo integrale qui: https://www.isgrec.it/confine_orientale_2018/materiali/relazione%20commissione%20mista.pdf

Chiudo con un’ultima riflessone: in occasione di una Giornata come quella del 10 Febbtaio occorre sviluppare un ragionamento globale su quanto è successo e sulla necessità, nel nostro tempo, di condannare la violenza da qualunque parte arrivi, senza però dimenticare le responsabilità che ognuna delle parti in commedia porta per questi fatti, a cominciare da quelle del fascismo mussoliniano.

Libri consigliati:

Boris Pahor, Il Rogo nel Porto, Casa Editrice Zandonai, 2008;

Boris Pahor, Qui è proibito parlare, Fazi editore, 2009 (**)

Eric Gobetti, E allora le Foibe? Laterza, 2021.

(*) Il termine “Aktion T4” indica l’operazione di eugenetica realizzata dai nazisti tra il 1933 e il 1941. L’obiettivo era l’eliminazione, mediante sterilizzazione ed uccisione, delle persone con disabilità. L’operazione si inserì nell’ideologia eugenetica che fondava la dottrina nazionalsocialista, per cui c’era per i nazisti la necessità di eliminare dalla società tutte le persone non rispondente all’ideale di perfezione che doveva fondare la “razza ariana”. Il termine “Aktion T4” fa riferimento al luogo dove venne messa in atto l’Operazione. T4 era una sigla per “Tiergartenstraße 4”: questa Va era l’indirizzo della sede centrale del Gemeinnützige Stiftung für Heil- und Anstaltspflege, l’Ente pubblico per la salute e l’assistenza sociale. Il nome della strada si deve al celebre Zoo di Berlino, nei pressi del grande Parco Tiergarten (da Tier, “animale”, e Garten, “giardino”).
(**) Boris Pahor, è nato a Trieste, nel 1913 e lì deceduto il 30 Maggio 2022. Cittadino dell’Impero Austro-ungarico, diventa “forzatamente” cittadino italiano all’avvento del fascismo. Durante la guerra viene internato nei Campi di Concentramento nazisti di Natzweiler-Struthof, Hartzungen e Bergen- Belsen. Sopravvissuto torna a Trieste e scrive “Necropoli” il libro sulla sua esperienza di internato politico che lo renderà famoso in tutto il mondo (Prahor è stato più volte candidato al premio Nobel per la Letteratura e ha ricevuto la Legion D’Onore, la più alta onorificenza francese, per meriti letterari. Il suo “Necropoli” è stato pubblicato in quasi tutte le lingue del mondo, anche in Finlandese e in Esperanto. In Italia la pubblicazione avviene però solo nel 2008 (e gli ha fruttato tra gli altri il Premio Letterario Viareggio di quell’anno). La storia di “Necropoli” e del suo autore la dice lunga su quanto sia difficile per l’Italia “ufficiale” –  quella della politica, senza distinzioni,  e delle Istituzioni – accettare il passato quando si parla di quella parte del Paese e della sua storia  o  si ha davanti una persona che quella storia condensa nella sua persona ed in certo senso rappresenta.

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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