

La prefazione di Walter Veltroni al nuovo libro del prof. Franco Sirleto
La Fondazione Giuseppe di Vittorio ha pubblicato il libro di Francesco Sirleto Quadraro una storia esemplare: le vite e le lotte dei lavoratori edili in un quartiere periferico romano. Con una prefazione di Walter Veltroni.
Nel libro c’è la storia di un quartiere diventato un simbolo delle lotte sostenute dai lavoratori romani negli ultimi cento anni. Il quartiere è il Quadraro e i lavoratori quelli dell’edilizia.
La storia dell’edilizia s’intreccia e, per molti versi, s’identifica con la storia dell’espansione fuori dalle mura e della speculazione sulle aree, fabbricabili e non fabbricabili, che ha caratterizzato la crescita abnorme e sregolata della città. Di conseguenza le vicende dei lavoratori edili sono strettamente legate alla storia civile, sociale, politica e urbanistica di Roma.
La storia del Quadraro, quartiere in cui si concentra una parte importante degli edili romani, assume pertanto un significato emblematico per l’intera città. Emblematico di una vicenda più generale è stato anche il rastrellamento del quartiere effettuato dai nazisti il 17 aprile 1944, che colpì soprattutto gli edili e che viene approfondito nella seconda parte del volume attraverso una raccolta di saggi e testimonianze presentati il 4 marzo 2005 in occasione della giornata di studi organizzata dalla Fillea Cgil.
Completano il libro un’ampia rassegna di fotografie storiche e un DVD realizzato dagli alunni della III B del Liceo classico Benedetto da Norcia.
Pubblichiamo qui di seguito la Prefazione del sindaco Walter Veltroni.
Prefazione di Walter Veltroni
Nel corso del 2004 sono stati pubblicati due libri dedicati alla storia del quartiere Quadraro, o almeno ad un momento molto particolare di essa: “La borgata ribelle” di Walter De Cesaris e “Operazione Balena” di Carla Guidi; in quest’ultimo sono raccolte le memorie di Sisto Quaranta, uno dei 947 ex deportati, vittime del rastrellamento operato dai nazisti, nel “nido di vespe” costituito dall’intera popolazione del Quadraro, il 17 aprile del 1944. Il momento particolare della storia del quartiere è rappresentato, appunto, dagli eventi legati al rastrellamento e, in genere, al ruolo svolto dai suoi abitanti durante la lotta di Resistenza contro l’occupazione nazifascista di Roma. Non vi è dubbio, infatti, che il Quadraro era visto, non solo dagli invasori nazisti, ma anche dallo stesso movimento dei partigiani, come una sorta di rifugio sicuro per tutte le bande partigiane operanti nella zona a sud-est della Capitale. Questo fu il motivo principale alla base dell’operazione Balena: punire una popolazione che, in larghissima maggioranza, aveva prima sopportato a malincuore la dittatura fascista e, poi, aveva rifiutato con i fatti l’invasione tedesca.
Un naturale e spontaneo antifascismo, dunque. Un antifascismo e, di conseguenza, un attaccamento alla democrazia e alla libertà che gli abitanti del quartiere si portavano dietro fin dalle origini del Quadraro, databili ai primi anni del ‘900. Un antifascismo che perdura anche dopo la guerra e che si esprime nella capacità di accogliere migliaia di nuovi immigrati provenienti dalle regioni meridionali e nella partecipazione alle grandi lotte per la casa e per i servizi che si svilupparono a partire dagli anni cinquanta per finire agli anni ottanta.
Bene ha fatto quindi l’autore e curatore di questo libro, il professor Francesco Sirleto, ad allargare la ricerca a tutta la storia del quartiere, dalla nascita alla seconda guerra mondiale fino alle lotte per l’eliminazione delle baracche che culminarono nell’occupazione simbolica di case sfitte e nell’abbattimento del borghetto dell’Acquedotto Felice verso la metà degli anni settanta.
E bene ha fatto la Fillea CGIL, insieme alla Fondazione Di Vittorio, a promuovere alcune importanti iniziative nel corso del 2005: il Convegno svoltosi il 4 marzo presso nel teatro di via dei Frentani; la manifestazione tenutasi nei locali della scuola media statale Sestio Menas il 15 aprile; la pubblicazione di questo volume, contenente il saggio storico di Sirleto nonché gli atti del Convegno celebrato il 4 marzo. Relativamente al saggio ci sembra importante sottolineare il ruolo svolto dalle lotte per l’eliminazione delle baracche (lotte che culminarono con l’occupazione simbolica di migliaia d’appartamenti sfitti nel 1971 e con l’eliminazione del borghetto dell’Acquedotto Felice nel 1974) e per imporre alla città un nuovo disegno urbanistico.
Non bisogna dimenticare, infatti, cosa era diventata Roma a seguito dell’incontrollata crescita registratasi negli anni cinquanta e sessanta: una città in preda ai palazzinari, ai grandi speculatori, ai lottizzatori abusivi di aree che, da agricole che erano, diventavano all’improvviso quartieri intensivi in barba ad una sia pure elementare pianificazione territoriale; una città priva, in buona parte, di strumenti urbanistici adeguati oppure, là dove c’erano, tranquillamente contravvenuti; una città governata da una classe politica la cui principale preoccupazione era quella di salvaguardare gli interessi, le rendite e i profitti di quei ceti sociali che si arricchivano attraverso la speculazione e le lottizzazioni abusive, con la conseguenza che i costi dell’espansione edilizia venivano accollati all’intera comunità cittadina, costi che significavano soprattutto mancanza di verde e servizi e congestione nella viabilità.
Già negli anni sessanta un grande architetto-urbanista come Italo Insolera, nel suo storico volume Roma moderna si chiedeva: “…quanto costa ai due milioni e mezzo di romani la mancanza del verde? Perché il Comune continua a svolgere una politica urbanistica in cui gli interessi dei proprietari di aree e dei costruttori prevalgono sugli interessi della cittadinanza e applica il meno possibile gli strumenti legislativi esistenti per l’acquisizione delle aree pubbliche? Perché l’espansione di Roma continua a far affluire miliardi nelle casse dei privati e a togliere invece miliardi dalle casse comunali?”.
Una situazione che trovava poi, sul piano sociale, la sua massima contraddizione nell’esistenza di decine di famiglie in condizioni abitative sub-umane: i baraccati, gli abitanti dei borghetti così numerosi nell’allora fascia periferica al di là delle Mura Aureliane, gli emarginati dell’epoca. Una categoria sociale che, sul piano lavorativo, era occupata, guarda caso, nell’industria più diffusa nella Capitale: l’edilizia. Lavoratori che costruivano le case per gli altri ma che non possedevano una casa per sé, neanche con un contratto di locazione perché non potevano permettersi di pagare gli alti canoni, eccessivi in rapporto alle loro retribuzioni. La presenza dei baraccati era così estesa da far dire ad un grande studioso come Franco Ferrarotti, nell’anno del centenario della riunificazione della città all’Italia, che Roma da Capitale si era trasformata in periferia del Paese.
Furono però gli stessi lavoratori edili – la parte più numerosa e combattiva della classe operaia della Capitale -, baraccati e non baraccati, che avevano costruito la Roma abusiva, che prima ancora erano stati la categoria operaia meno permeabile da parte della retorica fascista (non poteva essere altrimenti, vivendo essi sulla propria pelle le conseguenze della brutale politica fascista degli sventramenti e delle deportazioni nelle borgate ultraperiferiche), ad imporre, con le loro epiche lotte degli anni settanta, l’inversione di tendenza nello sviluppo della nostra città. Un’inversione di tendenza, una svolta radicale che si manifestò anche a livello del governo: a metà degli anni settanta, infatti, con la formazione delle prime giunte di sinistra (Argan e Petroselli), una nuova classe politica, espressione del movimento popolare e democratico e del tutto autonoma dagli interessi della rendita fondiaria e dal profitto speculativo dei palazzinari, impresse alla città un nuovo corso: fu bloccata l’espansione incontrollata, furono perimetrate e legalizzate le borgate abusive, furono abbattuti i borghetti, varati piani di edilizia economica e popolare, trasformate grandi aree, abbandonate o destinate alla cementificazione, in aree verdi e servizi pubblici.
La storia del Quadraro, quindi, non è soltanto la storia di un quartiere periferico, non è soltanto una trascurabile storia “locale” o peggio ancora “localistica”: non può essere compresa se non in relazione alla storia più complessa e generale della città, considerata sia sotto il profilo politico che dal punto di vista economico-sociale. Essa rappresenta pertanto, così come recita lo stesso titolo del volume, una storia “esemplare”: un esempio di come una collettività di persone, tenuta ai margini di un organismo urbano, ma essenziale (in virtù del suo lavoro) per la vita e lo sviluppo dello stesso organismo, possa, con le lotte e con l’attaccamento a valori universali (la libertà, l’eguaglianza, la democrazia), integrarsi nella vita della città, incidere e determinare svolte anche radicali.
Ci aspettiamo, dopo questo lavoro, anche altri lavori che tendano a ricostruire la storia di altri quartieri storici della Capitale, anche perché è necessario sfatare la vecchia e abusata immagine di una città che, dall’esterno, è considerata nei limiti del solo centro storico: la Roma dei Cesari, la Roma dei Papi, la Roma rinascimentale e barocca e, tutt’al più, la Roma umbertina e fascista (Eur e Foro Italico). Roma è anche Quadraro, Centocelle, Tiburtino, Montesacro, Primavalle, ecc., la cui storia deve entrare a pieno titolo nella storia dell’intera città.
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