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Quell’11 giugno in cui morì Berlinguer

Alle 12,45 di quell’11 giugno 1984 moriva a Padova, dopo 4 giorni di agonia, Enrico Berlinguer. Sebbene sapessi che anche le più flebili speranze in un diverso esito si erano, ormai, volatilizzate e che, di conseguenza, era ormai imminente ciò che tutti attendevamo e temevamo, non seppi trattenere le lacrime. Piansi, come poi non seppi piangere, nonostante il profondo dolore, né alla morte di mio padre né alla morte di mia madre.
Con la scomparsa di Berlinguer finiva, infatti, un’epoca della storia del ‘900 e, per me personalmente, la fase più importante e formativa della mia vita, quella fase nella quale maturano la visione del mondo e i valori etici fondamentali che fungono da guida nel percorso esistenziale. Ed è in quella fase che si sente la necessità di avere, come sistema di riferimento, una figura paterna nella quale vedere incarnati quei valori che, in te, sono in via di formazione e di consolidamento. Quella figura paterna io, come tantissimi altri giovani, l’avevo trovata nel volto magro, nello sguardo intelligente, nell’espressione malinconica, nei toni calmi e persuasivi di Enrico Berlinguer.
Quel pomeriggio dello stesso giorno, ricordo che presi mio figlio, che non aveva compiuto tre anni, e raggiunsi Ciampino, dove era atteso l’aereo che avrebbe condotto la salma di Enrico a Roma. Fu un’inutile attesa, terminata verso la mezzanotte. La salma giunse a tarda notte e fu immediatamente condotta nella camera ardente allestita nel palazzo delle Botteghe oscure.
Le lacrime riemersero la mattina del 13 giugno, nel corso dei funerali seguiti da più di un milione di persone, sparse per le vie del centro storico della città; ma quelle lacrime, ormai, non erano soltanto le mie, bensì di un intero popolo.
IL VIDEO
https://youtu.be/pI5jKV8Smao

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