Categorie: Cronaca Politica
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Roma 20 marzo 1979. Chi ha fatto uccidere Mino Pecorelli?

Riaperte le indagini sull'omicidio dopo 44 anni

Roma, Via Orazio (Rione Prati) la sera del 20 marzo 1979 il giornalista Carmine (Mino) Pecorelli – fondatore, Direttore ed Editore di OP (Osservatore Politico) – all’inizio un’Agenzia di Stampa molto particolare, poi un Settimanale che lo è altrettanto, per i temi che tratta e per il modo in cui li presenta – viene trovato senza vita nella sua auto, a poche ore dall’uscita del nuovo (ed evidentemente ultimo) Numero del Settimanale che Pecorelli stesso aveva annunciato sarebbe stato “esplosivo”. L’uomo è stato ucciso con quattro colpi sparati da una pistola Beretta calibro 7,65, munita di silenziatore. il primo colpo risulta sparato in bocca (trattamento che, negli ambienti criminali, si riserva a chi parla troppo o agli “infami”, leggi i traditori).

Mino Pecorelli nel suo lavoro di giornalista è bravo, molto bravo, forse troppo. Lo chiamano “il cantante”, ma lui non canta, scrive. E i suoi pezzi sono come siluri che partono rapidi per colpire e affondare il bersaglio. Pecorelli trova le notizie prima degli altri, anche grazie alla rete di informatori che si è costruito negli anni da quando era il Capo Ufficio Stampa dell’allora Ministro dell’Istruzione, il DC Fiorentino Sullo. Quelle notizie lui le confeziona per bene e poi, sul suo OP, le spara sotto la carena dell’obiettivo che ha scelto di colpire e spesso, quell’obiettivo, lo affonda. Ma in quella sera romana di 44 anni fa ad affondare – per sempre – è lui. (*)

Chi ha ucciso Carmine Pecorelli? E soprattutto chi ha dato quell’ordine al (ai) killer? Forse quel Licio Gelli, Maestro Venerabile della Loggia Massonica Coperta Propaganda 2 (P2), nella cui casa uruguaiana vennero trovati alcuni dei Fascicoli elaborati, negli anni ’60, dal SIFAR, il Servizio Segreto Militare del Generale De Lorenzo (quello del “Piano Solo”); Fascicoli che dovevano essere tutti inceneriti, ma che non lo furono in toto. Pecorelli lo sapeva e aveva cercato i soldi per “comprare” i Fascicoli rimasti intatti, che gli erano stati offerti e stava preparando un Numero di OP con una Copertina che recitava: “LA GRANDE FUMATA”. Ma quei soldi non li aveva trovati (così, era arrivato prima Gelli che certo non aveva problemi economici). E quella Copertina non fu mai pubblicata, per via di quei quattro colpi di pistola, silenziati, ma precisi, sparati in una tranquilla strada romana, in una sera di Marzo di 44 anni fa. Oppure il motivo scatenante di quell’omicidio fu la Copertina del N. 5 di OP del Febbraio 1979 (anch’essa mai pubblicata) dove si denunciavano le tangenti (la prima “tangentopoli” della Repubblica) arrivate ad Andreotti dal petroliere Angelo Rovelli della SIR?

Continuate a leggere e certo qualche idea sui killer e sui mandanti di quell’omicidio vi verrà in mente. Ma prima di inoltrarci in questa storiaccia piena di nomi e di fatti, che si intrecciano come nella sceneggiatura di un noir mozzafiato, è utile un breve rimando ad un Volume di Giancarlo De Cataldo, ex Magistrato, scrittore, sceneggiatore e drammaturgo di vaglia. Il Romanzo di De Cataldo a cui mi riferisco, divenuto famoso anche per un Film e uno sceneggiato televisivo, s’intitola Romanzo Criminale e entra nella storiaccia di cui scrivo qui per uno dei suoi personaggi che si richiama proprio a Carmine Pecorelli. Nel Romanzo, Pecorelli è “er pidocchio” e viene ucciso dal “nero”, così segnalando, l’Autore, l’intreccio (affatto di fantasia) tra l’estrema destra terrorista, la criminalità organizzata e la politica di un certo tipo.

Il “nero” del Romanzo è, senza ombra di dubbio, Massimo Carminati, detto “Er Cecato”, ex NAR ed ex Banda della Magliana, personaggio centrale dell’Inchiesta nota come Mafia Capitale. Il Romanzo di De Cataldo è del 2002, dall’omicidio Pecorelli sono passati 23 anni e quello che si sa, a quel tempo, è che a compierlo furono Giuseppe Valerio Fioravanti, detto Giusva (NAR) e appunto Massimo Carminati e all’epoca si sostenne che quell’omicidio fosse un “favore” fatto dai terroristi neri alla mafia.

La rivelazione – poi confermata anche dal fratello di Giusva Fioravanti, Cristiano, anche lui ex NAR – arriverà dal pentito e collaboratore di Giustizia Tommaso Buscetta che dichiara di averla appresa da Gaetano (Tano) Badalamenti, ovvero “Tano Seduto”, come lo aveva soprannominato il nipote Peppino Impastato, ucciso a Cinisi dalla mafia capitanata dallo zio, il 9 Maggio del 1978.

Lo stesso giorno in cui – (a Roma, nel garage di Via Gradoli, 96, palazzo in cui diversi appartamenti erano in uso ai Servizi Segreti e uno di questi ai NAR, Fioravanti e Mambro, durante la loro latitanza) – le Brigate Rosse uccidevano, a freddo con alcuni colpi di pistola, il Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, sequestrato in Via Mario Fani, 55 giorni prima, facendone poi ritrovare il corpo in una Renault R4 rossa parcheggiata in Via Caetani, strada romana che si trova tra l’allora sede del PCI (Via delle Botteghe Oscure) e quella della DC (Piazza del Gesù). Buscetta dichiarerà inoltre che, tramite lo stesso Badalamenti, aveva saputo che il mandante dell’omicidio Pecorelli sarebbe stato il Senatore Giulio Andreotti. (**)

Perché torno a scrivere dell’assassinio di Pecorelli, dopo 44 anni dalla sua esecuzione, un tempo lunghissimo nel quale ci sono state infinite girandole sui nomi di esecutori e mandanti? Perché un lavoro della giornalista d’inchiesta Raffaella Fanelli, poi diventata un libro “La Strage Continua, la vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli”, Ponte Alle Grazie, 2020, ha fatto sì che – su Istanza dell’Avvocato di Rosita Pecorelli, sorella del giornalista assassinato – la Procura della Repubblica di Roma riaprisse le indagini su quell’omicidio, che potrebbero sfociare in un nuovo Processo grazie al quale si potrebbero conoscere (in questi casi, il condizionale è d’obbligo) i nomi di chi ordinò che Pecorelli venisse eliminato e di chi materialmente lo uccise.

Questo perché una nuova traccia su quella storiaccia, appunto il lavoro della Fanelli, mette in discussione anche i nomi (attenzione, solo i nomi e non la matrice politica che resta della destra estrema e terrorista) degli esecutori di quel delitto, appunto Fioravanti e Carminati, fino ad ora indicati come tali. Ma vediamo meglio come stanno effettivamente le cose.

L’inchiesta e il libro della Fanelli originano dalla scoperta di un verbale, fatta dalla giornalista mentre indagava su “Caso Moro” (di nuovo attenzione: il rapimento e l’omicidio del Presidente della DC e l’omicidio di Mino Pecorelli, paiono legati a filo doppio.) Qualcuno, infatti, ha definito l’omicidio Pecorelli il “secondo tempo” del delitto Moro. In questo Verbale d’interrogatorio del 1992 Vincenzo Vinciguerraterrorista non pentito di Ordine Nuovo prima e di Avanguardia Nazionale, poi – dichiarava di avere saputo da Adriano Tilgher (co-fondatore con Stefano Delle Chiaie, a Roma detto “Er caccola”, di Avanguardia Nazionale), con il quale aveva passato un periodo di comune detenzione, che un loro camerata detenuto, tale Domenico Magnetta, chiedeva insistentemente un aiuto per ottenere quanto meno gli arresti domiciliari. Altrimenti – diceva – avrebbe spifferato quello che sapeva di Avanguardia Nazionale e dell’omicidio Pecorelli e avrebbe consegnato la pistola Beretta calibro 7,65 con la quale Pecorelli venne freddato in Via Orazio (arma che avrebbe dovuto essere distrutta, ma della cui distruzione non esiste alcun Verbale) e che lui, Magnetta, deteneva; pistola che gli era stata sequestrata, con altre armi, nel 1995 a Monza durante una perquisizione della Polizia.

Va qui ricordato che Vincenzo Vinciguerra si è spontaneamente consegnato alle Forze dell’Ordine, dichiarandosi colpevole della strage di Peteano, del 31 Maggio 1972 (nella quale morirono tre Carabinieri e due altri rimasero feriti) e per questo sconta l’ergastolo, senza avere deciso di collaborare con gli Inquirenti e senza, per le sue dichiarazioni spontanee (ritenute veritiere perché riscontrate in tempi successivi dal Giudice Istruttore Guido Salvini, al quale le aveva rese e da altri suoi colleghi) avere richiesto e richiedere alcuno sconto di pena o beneficio di altro genere.

Prima di tornare sulle dichiarazioni di Vinciguerra e sul ruolo di Domenico Magnetta in questa storiaccia, occorre ancora rammentare che le prime indagini sulla scena del crimine in Via Orazio furono condotte dal Colonnello (poi promosso Generale) dei Carabinieri Antonio Cornacchia, tessera P2 N. 871, allora Comandante del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Roma. Va ancora ricordato che Cornacchia era stato l’Ufficiale dei Carabinieri che, per primo, aveva ritrovato il corpo di Aldo Moro in Via Caetani (sul “Caso Moro”, Cornacchia ha scritto, nel 2021, un libro: Uccidete Moro, verità celate tra spiritismo e depistaggi – Armando Curcio Editore). Ecco dunque che torna sulla scena il “primo tempo” dell’omicidio Pecorelli.

Quanto minacciato da Magnetta non si verificò perché il fascista ottiene i domiciliari senza alcun aiuto dei suoi camerati, ma la storia del coinvolgimento di Avanguardia Nazionale nell’assassinio di Pecorelli (e di quella pistola Beretta ancora sulla piazza e che utilizzava proiettili Gevelot, uguali a quelli ritrovati in Via Orazio) resta valida, come da resoconto di Vinciguerra. (***)

Che cosa racconta dunque, in questa storiaccia, quel Verbale letto, confermato e sottoscritto da Vinciguerra? Racconta, tra l’altro, che – anche se i NAR, come sigla dell’eversione nera, escono di scena da quell’omicidio, gli esecutori materiali restano comunque di estrema destra, e gli esecutori materiali di quell’omicidio possono, tranquillamente, essere gli stessi indicati da Buscetta, ovvero Fioravanti e Carminati, data l’intercambiabilità delle sigle e dei militanti, normale in quegli anni in quell’ambiente; o possono essere altri, ma l’attribuzione dell’omicidio è – e resta – nera.

 

Dunque, il Dossier sul delitto Pecorelli, costruito con attente ricerche documentali e numerose interviste, da Raffaella Fanelli – per altro finito anche nella Sentenza della Corte D’Assise D’Appello di Bologna che, nel 2022, ha condannato Gilberto Cavallini (ex NAR) per la strage fascista-piduista alla Stazione ferroviaria della città, del 2 Agosto 1980, insieme a Giusva Fioravanti e Francesca Mambro – potrebbe, come ho anticipato, far riaprire il Processo Pecorelli e dunque farci sapere, per nome e cognome, chi ha ordinato quell’omicidio e chi lo ha effettivamente eseguito.

Ora, in attesa degli sviluppi dell’Inchiesta della Procura della Repubblica romana e con l’invito di leggere il libro della Fanelli, metto in fila qualche altra riga e vi renderete conto da voi dell’importanza di quell’Inchiesta giudiziaria e del possibile Processo, perché la storia della vita professionale e della morte di Mino Pecorelli attraversa gli anni forse più oscuri e turbolenti della Storia del nostro Paese.

Gli articoli che Pecorelli scrive, prima per la sua Agenzia di Stampa poi per il Settimanale, affrontano temi come lo Scandalo Lockheed, del 1975/1976, (che farà finire alla sbarra due Ministri, il democristiano Gui e il socialdemocratico Tanassi e procurerà le dimissioni di Giovanni Leone, allora Presidente della Repubblica), il Golpe Borghese del 7-8 Dicembre 1970; lo Scandalo dei Petroli,(1972-1979) ovvero: armi alla Libia di Gheddafi in cambio dell’oro nero (in cui sarà implicato anche l’allora Comandante Generale della Guardia di Finanza, Generale Raffaele Giudice) e poi il rapimento e l’uccisone di Aldo Moro, da parte delle BR, e via scrivendo. Questi articoli tengono il giornalista (e la sua vita) sempre sull’orlo del precipizio, anche perché Pecorelli scrive condendo i pezzi che pubblica con riferimenti e segnali coperti e criptici, perché chi deve capire, capisca.

I suoi bersagli politici sono Giulio Andreotti (in uno dei suoi pezzi, Pecorelli scriverà, ad esempio, di Gladio e del “noto Servizio”, ovvero dell’Anello – (Servizio Segreto non ufficiale e parallelo a quello di Stato, composto da uomini fidati e preparati, nato per compiere azioni sporche che i Servizi ufficiali non possono permettersi di compiere) – e lo farà anticipando, di molto, le dichiarazioni in Parlamento con le quali Andreotti, allora Capo del Governo, renderà nota l’esistenza dell’Organizzazione paramilitare coperta denominata Gladio Stay-behind, messa in piedi dall’Italia con l’OK degli USA, in tempi di “guerra fredda” per contrastare un’eventuale invasione proveniente dal cosiddetto confine orientale.

Ancora, Pecorelli prende di mira diversi alti Ufficiali dei Servizi (che spesso vengono definiti “deviati”, anche se è risaputo che i Servizi non sono mai “deviati”, ma fanno sempre e soltanto ciò per il quale sono stati istituiti, pulito o sporco che sia); Licio Gelli, Gran Maestro Venerabile della Loggia Massonica Coperta, Propaganda 2 (Pecorelli si infiltrerà, per cinque mesi, nella P2 raccogliendo informazioni su Gelli e gli altri esponenti della Loggia Coperta, tutti pezzi da 90 della politica, delle Istituzioni, delle Forze Armate, del mondo imprenditoriale e via iscrivendo e, una volta uscitone, attaccherà con violenza il Venerabile Maestro (che si diceva fosse estremamente innervosito da quegli attacchi).

E ancora, Pecorelli, in un altro articolo, segnala l’esistenza, in Vaticano, di una Loggia Massonica coperta di cui fanno parte 121 alti Prelati, tra cui figurano il Cardinale Vicario di Roma Ugo Poletti, all’epoca Presidente della CEI e firmatario della Dispensa che permetterà a Enrico De Pedis (detto Renatino), capo della Banda della Magliana, di essere sepolto nella Basilica romana di Santa Apollinare, in quanto “Benefattore delle Chiesa”; Monsignor Piero Vergari, Priore di quella Basilica; il Cardinale Agostino Casaroli, all’epoca Segretario di Stato vaticano e il Cardinale Paul Marcinkus, all’epoca a capo dell’Istituto Per le Opere di Religione, IOR, la Banca del Vaticano, diremmo così, co-interessata ai “movimenti” finanziari, a dir poco truffaldini, delle Banche di Michele Sindona (altro bersaglio degli articoli di Pecorelli e altre tesserato P2), che morirà avvelenato, il 22 Marzo del 1986, nel Carcere di Voghera per un caffè al cianuro, modello Gaspare Pisciotta, il luogotenente di Salvatore Giuliano, così ammazzato, all’Ucciardone di Palermo, il 9 Febbraio del 1954).

Va qui segnalato che il 28 Settembre 1978 – regnante alla Santa Sede Papa Giovanni Paolo I, al Secolo il Cardinale Albino Luciani – Pecorelli si recò in Vaticano per consegnare al Papa la Lista dei 121 Prelati infedeli e massoni. E la sera di quel giorno, Papa Luciani era morto, dopo soli 33 giorni di pontificato. A lui succederà Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II (oggi Santo della Chiesa di Roma) che governerà la Chiesa per 27 anni di fila.

Nota: è interessante segnalare questa Lista e i nominativi dei quattro Prelati di cui sopra, in essa contenuti, soprattutto ora che il Parlamento ha approvato la costituzione di una Commissione d’Inchiesta sul rapimento e la scomparsa delle cittadine vaticane Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, avvenuti ormai quaranta anni fa.

 

Dunque, questo il quadro sommario del contorno (e non solo) dentro il quale nasce, si sviluppa e muore (è proprio il vocabolo adatto) la storia professionale e la vita terrena di Carmine (Mino) Pecorelli. In chiusura, torno sulla domanda cardine: Chi fu (o quali furono) il mandante (i mandanti) dell’omicidio Pecorelli?

E’ lecito supporre che la morte del giornalista – esecutori materiali estremisti di destra, avvezzi all’uso delle armi – possa ricercarsi in quello che Pecorelli sapeva (e scriveva con il suo abituale modo “cifrato”) sul Golpe cosiddetto “Borghese”, nato e abortito nella notte tra il 7 e l’8 Dicembre del 1970. In quell’impresa antidemocratica erano coinvolti – oltre a Junio Valerio Borghese – ex Comandante della X MAS , nonché fondatore e capo del Fronte Nazionale, Formazione dell’estrema destra terrorista – anche Stefano Delle Chiaie, Licio Gelli (con il suo Piano di Rinascita Nazionale), esponenti della mafia siciliana e della ’ndrangheta calabrese come Luciano Liggio e Girolamo Piromalli; Ufficiali delle Forze Armate, come il Colonnello (poi Promosso Generale di Brigata) Amos Spiazzi, con la sua Rosa dei Venti; uomini dei Servizi e del Viminale, come Federico Umberto D’Amato, Capo dell’Ufficio Affari Riservati, ex fascista e Tessera P2 N.554, accusato – con Gelli, Umberto Ortolani, banchiere e altro tesserato P2 e con l’ex saloino e Senatore missino, Mario Tedeschi – come mandante della Strage di Bologna di dieci anni dopo; nonché esponenti politici di peso, ancora in servizio permanente effettivo come Giulio Andreotti e Francesco Cossiga..

Tra l’altro, si era sempre sostenuto, anche negli ambienti golpisti, che al momento del tentato Golpe, Stefano Delle Chiaie non fosse in Italia. Ora, invece, grazie alle dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra, sappiamo che “Er caccola” quella notte era a Roma e si trovava con i congiurati: alcuni dei quali – è sempre bene rammentarlo – entrarono nell’Armeria del Viminale ed ebbero il tempo di impadronirsi – come souvenir dell’impresa – di una mitraglietta (ritrovata anni dopo in casa di un fascista, durante una perquisizione, come ha documentato il quotidiano L’Unità in un articolo pubblicato il 21 Ottobre del 1974) prima di essere rimandati tutti a casa, per una telefonata non si sa ancora oggi da chi partita, anche se si sospetta fortemente dell’allora Ambasciatrice USA a Via Veneto, Clara Booth Luce e si sostiene che dall’altro capo del filo vi fosse Licio Gelli o addirittura Giulio Andreotti. (****)

 

(*) Pecorelli è stato definito da molti come un ricattatore senza scrupoli. Non sembra lo fosse per davvero, almeno così sostiene la Fanelli nel suo libro. Ma, almeno in un caso, lo è stato. Quando mandò – a suo modo – un messaggio abbastanza in chiaro a Giulio Andreotti: con l’acqua alla gola per il suo Settimanale, Pecorelli fa sapere ad Andreotti che racconterà delle tangenti da lui ricevute dal Petroliere della SIR Angelo Rovelli (Pecorelli ha le fotocopie degli assegni) in un numero di OP dalla Copertina esplosiva, se non riceverà un finanziamento. La Copertina è chiara e recita: “Gli Assegni del Presidente”, con una foto di Giulio Andreotti (OP, N.5, del 6 Febbraio 1979). Ma non sarà mai stampata perché Pecorelli riceverà da Rovelli 30 milioni di Lire.

 

(**) Occorre ricordare che il Senatore a Vita Giulio Andreotti era stato condannato, insieme a Gaetano Badalamenti, a 24 anni di carcere per l’omicidio Pecorelli, dalla Corte D’Assiste D’Appello di Perugia, con propria Sentenza del 17 Novembre 2003. L’Anno successivo, la Corte Penale di Cassazione però lo assolse definitivamente per non aver commesso il fatto.

 

(***) Domenico Magnetta è il militante di Avanguardia Nazionale che, il 29 Aprile 1981, viene arrestato mentre accompagna Massimo Carminati nel suo tentativo di espatrio in Svizzera. Arrestati ad un posto di blocco, in località Gaggiolo (Varese) dopo un conflitto a fuoco (è qui che Carminati viene ferito all’occhio sinistro a guadagna così il suo soprannome) Magnetta sarà condannato per favoreggiamento e nel 1999 sarà condannato nuovamente a tre anni e dieci mesi di reclusione per detenzione abusiva di armi da fuoco e ricettazione. Successivamente, Domenico Magnetta diventerà leghista e sarà lo speaker di Radio Padania.

 

(****) Sono provati i rapporti tra la ’ndrangheta calabrese e la destra eversiva e terrorista, ad esempio quelli della cosca De Stefano e di quella Piromalli con Franco Freda, ma anche con Stefano Delle Chiaie. La ’ndrangheta ha sempre avuto legami strettissimi con i terroristi neri e lo prova anche il cosiddetto Golpe Borghese della notte tra il 7 e l’8 Dicembre del 1970. Ad adiuvandum, è nota, anche la Riunione del 26 Ottobre 1969 (poco più di 40 giorni prima della strage di Piazza Fontana, a Milano), tenuta in località Montalto (Aspromonte) durante la quale – presente l’anziano patriarca ’ndranghetista, Peppe Zappia – nasce la Santa, ovvero il legame tra le ’ndrine calabresi e la destra eversiva e terrorista, che aveva trovato un primo banco di prova comune con la Rivolta di Reggio Calabria per il Capoluogo di Regione (iniziata nel Luglio 1970) dei Boia Chi Molla di Ciccio Franco.

 

Ugo Fanti, Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”


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