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Sosta selvaggia o sosta “istituzionale”?

Come si deturpa il patrimonio artistico dell'eterna “Città-Museo”

In una delle mie passeggiate romane, mi reco sul Celio, dove, attraversato un giardino della mia infanzia, villa Celimontana ricca di specie vegetali, tra le quali pini e cipressi vertiginosi, mi  affaccio sulla piazza antistante la basilica di S. Giovanni e Paolo.

Posta sulla sommità del colle Celio, in una piazza irregolare, con testimonianze storiche distribuite lungo l’arco di due millenni, la basilica deve il suo nome a due ufficiali romani vittime della persecuzione dell’imperatore Giuliano l’Apostata che, secondo una leggenda, li fece seppellire nella loro stessa casa. Più volte saccheggiata e distrutta, la chiesa fu ricostruita dalle fondamenta nel XII secolo, epoca in cui furono aggiunti il portico e l’alto campanile, tra i più belli della città, impostato sui resti del Tempio di Claudio. Nel 1216 il cardinale Cencio Savelli (futuro papa Onorio III) fece sopraelevare il portico, creando la galleria soprastante e il portale cosmatesco.

Mi immergo in queste notizie e nei tanti ricordi evocati dal luogo, ma non posso non indignarmi per come mi si presenta: un vero e proprio parcheggio di auto, tra le quali una volante della polizia: mi dico che qui, prima del Clivo di Scauro, c’è l’ingresso di una sede dell’azienda che non nomino per non darle ulteriore visibilità, ma diamine! Su un angolo della piazza uno “spaventapasseri” – perché tale è – recita in simbolo e in scrittura “divieto di sosta su TUTTA la piazza”. Un altro esempio di vera e propria incomunicabilità.

Indubbiamente il parco veicoli di Roma, a fronte di aree sosta e parcheggi disponibili, è ormai sproporzionato e fuori controllo: ma almeno si abbia la serietà e l’onestà di togliere inutili e paradossali cartelli che “vietano la sosta”. Scatto qualche foto alla facciata, al bellissimo campanile romanico, sentinella in disparte sulla sacralità violata del luogo, o… per far rispettare divieti? No, semplicemente campanile di un secolo in cui c’erano carri, cavalli e si andava a piedi: forse anche allora era difficile far rispettare le regole; ma sono passati molti secoli di conquiste umane e sociali, anche se qualcosa dei “secoli bui” purtroppo è rimasto.

Per tornare, percorro la stretta via di S. Paolo della Croce, che termina con l’arco edificato dai consoli romani Dolabella e Silano, nel decimo secolo: in realtà fu un restauro della porta Celimontana delle mura Serviane e successivamente sostegno dell’acquedotto neroniano sovrastante. Anche qui contemplo perplesso due file di auto, una per lato, e altre che passano. Cerco lo “spaventapasseri” il cartello sentinella: c’è, in parte ombreggiato da un palo, ma chiaro monito anche se, poveretto, anche lui una “fregatura”.

Recentemente a Bologna, mi hanno inflitto una multa per divieto di sosta in una via riservata ai residenti, tra i quali mio figlio (distrattamente ignaro, nonostante del luogo). Ora mi chiedo: dove parcheggiare a Bologna per una settimana senza dover pagare la sosta e  fare chilometri a piedi, quando si va a trovare un parente? Ovvio, al Celio! Ma questa è un’altra cosa. Appunto, è un’altra cosa. 


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