Storia di un quartiere: alle origini di Torpignattara
Sviluppo urbanistico e sociale negli anni Venti e Trenta del ‘900. Il ruolo dell’immigrazione proveniente dal Lazio meridionale e da altre regioni“…dal 1924 in poi, l’insediamento popolare di Torpignattara, fino ad allora appartenente all’area extra-urbana, diviene territorio posto sotto l’elenco delle strade comunali, preso ad ogni effetto in regolare consegna dal Comune. E’ una specie di battesimo per il quartiere, presumibilmente tardo, perché le costruzioni e le strade, se non tutte in parte, già esistevano. Se fino a quel momento sono mancate le infrastrutture delle quali godono altri quartieri della capitale, ora si fanno sentire le ripetute richieste degli abitanti per un maggior decoro dell’abitato. E’ la fine degli anni Venti e Torpignattara ora deve mostrarsi pronto ad accogliere le centinaia di famiglie immigrate che giungeranno lungo tutto il decennio successivo, offrendo loro alloggi in affitto, servizi pubblici ed esercizi commerciali” (da: Stefania Ficacci, Torpignattara, Franco Angeli ed., Milano 2007).
Vi è una data precisa che può essere assunta come data ufficiale della nascita di un quartiere a noi molto caro (considerato il fatto che vi abitiamo da quasi mezzo secolo): è quella del 16 luglio 1924. In quel giorno il Comune di Roma (non ancora Governatorato) approva la Delibera n. 1087, con la quale vengono assegnati i toponimi che, ancora oggi, contraddistinguono le strade del quartiere di Torpignattara.
Leggiamo nella Delibera che, sul lato sinistro di via Casilina (zona detta “Marranella”), le strade dovranno prendere il nome dalle città che sono situate lungo l’antica via Labicana, diventata successivamente Casilina: e perciò via Capua, via Segni, via Labico, via Formia, ecc.
Sul lato destro della Casilina (zona propriamente detta “Torpignattara”, toponimo derivante dal rudere del Mausoleo di Sant’Elena situato nei pressi della chiesa dei Santi Marcellino e Pietro), invece, la Delibera distingue tra le strade sul lato sinistro di via Torpignattara (ex via Militare), che dovranno essere intitolate ad eroici aviatori della Grande Guerra: da cui via Baracca, via Cencelli, via Rovetti, via Palli, via Salomone, ecc.; e le strade poste sul lato destro che saranno intitolate a “ideatori e costruttori di fortificazioni e di opere militari in genere”. Da qui nascono le vie Galeazzo Alessi, Bartolino da Novara, Gabrio Serbelloni, Laparelli, Filarete, ecc.
Se quella è la data ufficiale, quella cioè nella quale l’Istituzione comunale riconosce ufficialmente l’esistenza di un nuovo agglomerato urbano, non si può dire però che l’agglomerato di cui trattasi nasca in quell’istante o poco prima. In realtà sono già alcuni anni, forse una quindicina, che lungo e intorno alla via Casilina e soprattutto a ridosso della ferrovia Roma – Napoli, sono sorte, spontaneamente e più o meno abusivamente, una serie di costruzioni, di tipo economico e popolare, dovute all’iniziativa di braccianti reclutati “a giornata” nelle grandi tenute che si estendono nell’Agro, di operai dipendenti da alcune fabbriche situate a non molta distanza (la Pantanella, l’Istituto Serono, i depositi ferroviari e tranviari), di manovali edili sempre più numerosi a causa della risorgente “febbre edilizia” diffusasi a Roma dopo la conclusione del conflitto mondiale.
Un’altra categoria di “autoproduttori” è costituita dai molti sfrattati che, cacciati (per effetto della fine della legislazione vincolistica applicata negli anni di guerra) dai quartieri centrali, cercano rifugio in una “casetta” costruita con mezzi e materiali di fortuna, in pochi giorni, su un piccolo lotto acquistato magari all’interno di una ex tenuta agricola appartenente ad una famiglia nobile decaduta (gli Ojetti, i Serventi, ecc., costretti a lottizzare i gioielli di famiglia al fine di mantenere l’antico decoro).
Dobbiamo quindi immaginare che, già all’inizio degli anni Venti, la zona Toprignattara – Marranella fosse abitata da alcune migliaia di persone, tanto è vero che la Chiesa cattolica (molto più rapida dell’Istituzione laica nell’accorgersi dei movimenti e dei rivolgimenti che avvengono nella società) aveva già provveduto, nel 1922, a consacrare la prima chiesa del nuovo quartiere: quella dedicata ai santi Marcellino e Pietro, costruita – su progetto dell’Arch. Guglielmo Palombi risalente al 1913 – a ridosso dell’antico mausoleo di Sant’Elena e sulle fondamenta di una preesistente basilica fatta costruire da Costantino nel IV sec. d. C.
Per conoscere però dati demografici meno aleatori e vaghi rispetto a quelli immaginari ed ipotetici che è sempre possibile formulare, è necessario consultare i risultati del censimento del 1931, dai quali emergono cifre che, tuttavia, non sono riferite ai quartieri storici ma a quelli stabiliti dalla burocrazia del Campidoglio, e cioè Prenestino-Labicano (nel quale si inserisce quella parte di Torpignattara che si estende a sinistra della Casilina, quella comunemente detta “Marranella”), e Tuscolano (nel quale si inserisce quella parte del quartiere che sorge sulla destra della Casilina, la zona denominata propriamente “Torpignattara”, essendo via Torpignattara la sua principale arteria).
Tali cifre, sebbene ufficiali (31.128 persone per il Tuscolano e 26.502 per il Prenestino-Labicano), non sono tuttavia attendibili, comprendendo esse anche la popolazione di quartieri storici diversi da Torpignattara (come ad esempio Pigneto per il Prenestino-Labicano, e Quadraro per il Tuscolano). Molto più attendili, invece, le cifre riferite alle “anime” della parrocchia di San Marcellino (l’unica per ambedue le zone del quartiere) che, per il 1931, danno una popolazione residente di 30.743 anime, con un aumento, rispetto al precedente censimento del 1921, di ben il 282,02%.
Di conseguenza la popolazione di Torpignattara, un quartiere nato da appena un decennio, rappresenta, rispetto all’intera popolazione romana del 1931 (dati ufficiali: 916.776 persone), una percentuale di circa il 3,3%; un dato a quei tempi ragguardevole.
Una cosa salta comunque subito agli occhi: l’enorme aumento fatto registrare in appena un decennio. E’ evidente che questo aumento non è dovuto soltanto alle iniziative spontanee. Ci sono stati effettivamente anche interventi di tipo programmatorio e urbanistico che hanno contribuito all’incremento demografico: il primo grosso intervento pubblico è relativo alla costruzione del sistema fognario, imperniato sul “collettore della Marranella”, vale a dire la trasformazione e la bonifica del cosiddetto “Fosso (o burrone) della Marranella” in vera e propria arteria sotterranea, lunga ben 6 Km che, partendo da Porta Furba e raccogliendo tutte le acque di scolo provenienti da destra e da sinistra lungo il suo percorso, andava e va tuttora a confluire nell’Aniene a monte del Ponte Nomentano. Con quest’opera, iniziata proprio nel 1931, scompariva quella fogna a cielo aperto che divideva, e ammorbava con i suoi miasmi, il quartiere in due parti.
Altri interventi riguardano l’edilizia pubblica programmata e gestita dall’ICP (Istituto Case Popolari) che, a partire dal 1925 fino alla metà degli anni Trenta, interessa il quartiere attraverso la costruzione di ben tre complessi di edilizia popolare.
Il primo è quello relativo a Villa Certosa, nell’area a forma di triangolo delimitata da via Casilina, via di Villa Certosa e il tratto iniziale di via Galeazzo Alessi: sono 76 appartamenti destinati prevalentemente al ceto impiegatizio; un complesso che, sul piano qualitativo, resta a tutt’oggi il migliore tra tutti quelli realizzati nel quartiere.
Il secondo, molto più popolare (è infatti destinato ad assorbire i cosiddetti “sfrattati” della Marranella) è quello delimitato da via Oreste Salomone, via Pietro Rovetti, via Giuseppe Cei e via dell’Acquedotto Alessandrino. I lavori, sebbene iniziati nel 1927, andranno avanti a spizzichi e bocconi e nel 1940, allo scoppio della seconda guerra, non saranno ancora ultimati; riprenderanno dopo la fine degli eventi bellici e termineranno agli inizi degli anni Cinquanta.
Ultimo intervento riguarda i cosiddetti Millevani, un complesso anch’esso molto popolare, delimitato da via Carlo della Rocca, via Oreste Salomone e via dell’Acquedotto Alessandrino. Anche questo intervento avrà una storia molto travagliata e abbastanza lunga. Ciò non toglie, tuttavia, che questi tre interventi di edilizia pubblica faranno da volano per centinaia di ulteriori interventi privati, alcuni dei quali anche di una certa qualità.
(Fine I Parte)
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abitavo ai Millevani via dell’acquedotto Alessandrino nr. 103 – li ho passato i migliori anni della mia gioventù. Bella descrizione storica del quartiere.
Io sono nato in via acquedotto allesandrino alle ..barche nel 57 dove abbitavano i miei nonni e zii .un un secondo tempo siamo andati ad abitare in via Pietro rovetti.frequentavo la chiesa di San Marcellino dove ho fatto la comunione e freguentavo assiduamente il patronato dove ho imparato a giocare a calcio. Con mio padre andavo a vedere le partite di calcio al campo San Gallo .dov’è il nonno del mio amico faceva il custode .e spesso volentieri giocavano a pallone il mio amico si chiamava Antonio fontana..poi nel 1969 mio padre e venuto a lavorare in veneto a venezia ( porto Marghera) avevo solo poche che dodici anni .sono ormai 51 anni che vivo qua a venezia.quando sono venuto via da Roma da Torpignattara .mi sembrava di aver perso tutto i parenti gli amici che giocavo a pallone . purtroppo dopo dopo molti anni sono tornati solo quando si va in ferie quella via che giocavo le case erano state demolite non c’erano più i miei amici di gioco .si era poveri ma il mio cuore e rimasto la in via acquedotto allesandrino e in via Pietro rovetti.sono passati molti anni ora sono un uomo di 63 anni con il cuore penso sempre a quei ragazzini che giocavano nelle baracche.poveri ma non ci mancava nulla… cordiali saluti.a chi viveva a Torpignattara
Ho abitato ai Millevani al n°103 da quando sono nato nel 1958 fino al 1972 quando mi sono trasferito in un’altra citta’:
Ero al 4° piano, ma non ricordo di quale scala .
Ricordo benissimo pero’ i due amici piu’ cari che avevo, Danilo e Massimo.
Purtroppo li ho persi di vista dopo che i primi anni del mio trasferimento invece ci siamo tenuti sempre in contatto.
Li’ ho vissuto tutta la mia infanzia nel bene e nel male e prima o poi ho intenzione di ritornare almeno a visitare questo luogo sperando di ritrovare o avere notizie dei miei amici.