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Teatro in carcere: la libertà dietro le sbarre

Ritornano le lezioni in presenza nel carcere di Rebibbia femminile a Roma grazie al progetto “Le Donne del muro alto”. La testimonianza di Francesca Tricarico, regista e coordinatrice del progetto

L’esperienza nella casa circondariale femminile di Rebibbia a Roma nasce sette anni fa grazie a Francesca Tricarico, incuriosita dalla poca diffusione delle attività culturali nelle carceri femminili rispetto a quelli maschili. I progetti organizzati riguardavano il cucito, la cucina, ma pochi di questi erano a sfondo culturale. La coordinatrice del progetto ha iniziato la sua avventura nel carcere femminile di Rebibbia, che non aveva mai incontrato l’esperienza teatrale. Questo progetto ha avuto un impatto fortissimo sulle detenute, che offre loro un incontro con il mondo, oltre le sbarre, e la libertà.

Che impatto ebbe sulle ragazze la proposta di un tale progetto?

C’era molta diffidenza tra le ragazze con cui abbiamo lavorato perché temevano che fossimo lì per interesse personale, finché è nata una meravigliosa collaborazione. La voglia di scoprirsi fu più forte e la dedizione al lavoro fu grande nel processo creativo, dalla scrittura fino alla messa in scena.

Cosa ha significato il teatro per queste ragazze?

Come spesso dicono, l’incontro con il mondo e la libertà. Noi siamo la finestra sul mondo perché si relazionano con persone che non parlano di processi, salute, detenzione, problemi familiari. Inoltre è la scoperta di sé stessi attraverso l’altro, la possibilità di essere libere che le appassiona. Dopo ogni spettacolo mi raccontano di stare male perché tornano a sentirsi davvero detenute: durante la messa in scena vivono un momento nel quale si dimenticano di essere in carcere. Il laboratorio è uno spazio e un tempo altro che offre loro una sensazione di libertà all’ennesima potenza, ma è anche uno spazio per superare i preconcetti e le diffidenze. Da sempre il teatro fa abbattere questa barriera, come cade nel momento in cui lo spettatore va a vedere lo spettacolo, che dimentica che sul palco le protagoniste sono recluse.

C’è un copione che preferiscono o hanno preferito su cui si sono maggiormente impegnate, attratte da dialoghi e trama?

Noi le facciamo lavorare sui testi di grandi autori che ci fanno da struttura ma poi li riscriviamo per vedere cosa risuona nella storia di ognuna nel momento che vivono. L’ultimo a cui stiamo lavorando è una rivisitazione di Romeo e Giulietta, ma abbiamo lavorato anche su Medea, dove abbiamo deciso di parlare dell’abuso dei farmaci all’interno degli istituti penitenziari, oppure di cosa vuol dire per una donna vivere l’allontanamento dei figli.

 

Camilla Dionisi


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