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Un aereo alleato di nome “Pippo” e il suo sosia nero

Una storia di guerra

“Ma Pippo, Pippo non lo sa / Che quando passa, ride tutta la città, ah-ah  /

E le sartine dalle vetrine / Gli fan mille mossettine / Ma lui con grande serietà
Saluta tutti, fa un inchino e se ne va / Si crede bello come un Apollo / E saltella come un pollo //. 
(“Pippo non lo sa”, 1939, parole e musica di Nino Rastelll, Gorni Kramer e Mario Panzeri)

Curiosità: il Maestro Gorni Kramer, che diverrà un famoso Direttore d’orchestra e solista della fisarmonica grazie anche alla televisione, in realtà era italiano, di Rivarolo mantovano (Lombardia) si chiamava Francesco Kramer, in omaggio ad un famoso corridore ciclista americano dell’epoca e il suo cognome era Gorni. “Pippo non lo sa” era un brano musicale reso famoso dal Trio Lescano, formato da tre sorelle ungheresi, ma nate in Olanda, di origine ebraica. Fu Benito Mussolini in persona, nel 1942 a proporre a Vittorio Emanuele III di conferire alle sorelle Leschan la cittadinanza italiana, fatto che le fece diventare Lescano e probabilmente le salvò da una sicura deportazione ad opera dei tedeschi occupanti.

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Quasi sicuramente fu proprio “Pippo non lo sa”, la canzone di Rastelli, Panzeri e Kramer – divenuta molto famosa negli anni dal 1939 al 1943 grazie all’interpretazione di Alexandra, Judik e Kitty, le tre sorelle Lescano – a dare origine al nomignolo con cui venne chiamato,  in Italia, l’aereo (anzi gli aerei, perché erano più di muno) che, in volo notturno, durante l’ultima guerra mondiale, sorvolavano a volo radente le nostre città e campagne, bombardando tutto ciò che mandava una luce, meglio “luccicava”, come ricordano le decine di testimonianze raccolte, dopo la guerra, da cronisti e Storici-

Di  quell’aereo vi fu anche – al tempo della Repubblica Sociale Italiana – una pessima imitazione andata in scena a Roma, ad opera dei fascisti di Salò. Si racconta, infatti, che il 5 Novembre 1943, intorno alle 20,10, un aereo militare senza insegne distintive, bombardò Roma, meglio la Città del Vaticano. La prima bomba esplose vicino alla Stazione ferroviaria vaticana; la seconda colpì in pieno il Laboratorio del Mosaico, provocando ingenti danni e distruggendo un patrimonio artistico di enorme valore. La terza bomba interessò un lato del Palazzo del Governatorato vaticano, colpendo alcuni uffici infine, un quarto ordigno scoppiò sulla piazzola di Santa Marta rompendo le vetrate posteriori della Basilica di San Pietro.

L’intento era quello di colpire la Radio Vaticana che diffondeva notizie poco lusinghiere per i tedeschi e i fascisti, ma in quell’azione di guerra c’era anche un intento propagandistico: addossare la  colpa del bombardamento agli alleati, secondo i nazifascisti una banda di atei e negroidi assassini, che colpiva impunemente il centro della Cristianità. Per diversi giorni il bluff fascista resse, assecondato dall’Agenzia di Stampa di regime, La Stefani e dai Quotidiani della Capitale e non solo, poi – siccome, come si dice, le bugie hanno le gambe corte – i romani scoprirono che quello strano “Pippo” era in realtà stato guidato da un fascista, il sergente pilota Parmegiani, decollato da Viterbo, sembra su ordine di Roberto Farinacci, per questa azione militare, a metà tra il propagandistico ed il terroristico che doveva  dare fiato alle trombe del regime saloino, ma si rivelò, alla fine, un boomerang per la RSI.

                          Cartolina / Manifesto di propaganda antiamericana della RSI, disegnata da Gino Boccasile (1901-1952) che era stato l’autore anche delle copertinone della Rivista razzista e antisemita “La Difesa della Razza”, fondata da Benito Mussolini, diretta da Telesio Interlandi, il cui Capo Ufficio Stampa si chiamava Giorgio Almirante, in seguito diveentato Capo di Gabinetto del Ministro della Cultura Popolare di Salò, Ferdinando Mezzasoma e fucilatore di partigiani, in quanto firmatario dei Bandi della RSI che comminavano la pena di morte ai renitenti la leva fascista e ai “banditi”, come i nazifascisti definivano i partigiani.

Ma torniamo al vero “Pippo”. Così ne scrive Davide Bartoccini in un pezzo pubblicato su Il Giornale, il 23 Febbraio del 2023:

“Un rombo di motore solitario e solitarie eliche, poi la picchiata, e distante un grande botto, o una mitragliata. Faceva lo stesso. Laggiù, distante da chi l’aveva scampata, qualcun altro doveva essersela vista brutta forse, o forse non l’avrebbe vista più, l’alba. Una luce lasciata accesa per dimenticanza, qualcuno che era uscito con il coprifuoco, che aveva messo il muso fuori dall’uscio, ed ecco che il Pippo, il Pippetto, il Notturno – come lo chiamavano in Toscana – se n’era accorto: l’aveva visto al volo, e le bombe, quella notte, erano per lui.

Dalla seconda metà del 1943 fino al terminare della guerra, a nord della Linea Gustav e della successiva Linea Gotica, in Toscana e soprattutto in quella che gli americani rinominarono la “Po valley”, la Pianura Padana, formazioni di appena cinque aeroplani, caccia pesanti adibiti al volo notturno e talvolta dotati delle prime delicate apparecchiature radar, compirono pressoché indisturbati centinaia di sortite nell’ambito delle Night Intruder: una sofisticata e subdola attività d’intelligence e guerra psicologica.

Perché il Pippo, che secondo il folklore popolare era un unico solitario aeroplano, sempre lo stesso, che ogni notte “..se la spadroneggiava per le vie dell’aria” scaricando “le bombe ed i colpi della mitraglia di bordo, ovunque trapeli una luce” (la frase originale era al presente, ndr) erano in realtà molti aerei. Si trattava essenzialmente di caccia bimotore Bristol Beaufighter e De Havilland Mosquisto della forza aerea britannica, meno frequentemente P-61 Black Widow o A-20 Havoc della forza aerea statunitense, impegnati in missioni di interdizione e disturbo, che decollavano dalle basi nel sud Italia per suddividersi sui settori che avrebbero sorvolato individualmente per sganciare ordigni esplosivi di ridotte dimensioni (“spezzoni”, ndr) su obiettivi prefissati di varia natura – piccoli ponti, strade, snodi ferroviari – o per condurre raid su obiettivi improvvisati.” (https://www.ilgiornale.it/news/storia/pippo-laereo-fantasma-degli-alleati-che-terrorizzava-litalia-2108346.html).

Così, invece, inizia il pezzo di Filippo Colombara, pubblicato su Patria Indipendente, il Mensile dell’ANPI Nazionalenell’Ottobre del 2012:

«All’imbrunire […], puntuale come ogni sera – scrive Irene Perlini di Reggio Emilia – ci veniva a trovare un aereo chiamato Pippo ed era un mistero [perché] era da ogni parte, non si è mai capito questo [mistero], so solo che dove vedeva una lucina sganciava bombe. Era tremendo, abbiam dovuto inscurire le finestre […], ma una sera ce l’ha fatta, era passato un carrettiere e sotto al biroccio aveva un lumino per la strada, che non si vedeva niente. Per fortuna la bomba è scoppiata nel fossato, se scoppiava nell’asfalto certo non ero qua a raccontare». Anche Ines Montemezzani di Venezia ricorda: «Tutti lo conoscevano come Pippo; quando si sentiva Pippo tutti diceva- no: “Niente luci, niente luci!”. Sì, pro- prio, che è rimasto molto impresso questo Pippo, perché tutti avevano paura. Per esempio, c’erano tutte le tende chiuse e tutto perché non fil- trasse ma se, fatalità, dovevi aprire la porta per uscire, faceva il fascio di luce e magari lui passava, sganciava! Beh, in campagna ha fatto tanti morti, ha fatto. Passava tutte le sere. Tutte le sere. Di giorno no, ma passava di notte, girava tutta la notte. Senti, che mi è talmente rimasto impresso ’sto nome che non me lo sono mai di- menticato! Mai!»

(il resto completo del pezzo di Colombara lo potete leggere qui: https://www.anpi.it/patria-indipendente/media/uploads/patria/2012/27-32_FILIPPO_COLOMBARA_trastoriaememoria.pdf).

Sulla storia dell’aereo alleato denominato “Pippo” c’è stato anche uno sceneggiato RAI, andato in monda parecchi anni fa, ma si trattava di una commedia leggera non certo rappresentativa della realtà dell’azione di  quell’aereo che era una vera e propria azione di guerra e non un’azione dimostrativa, come potete leggere dal pezzo riportato sotto.

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Pippo”: le operazioni alleate “Night Intruder” in Italia 

di Andrea Dotti

DALLE ORIGINI AGLI SVILUPPI SUL FRONTE ITALIANO

Le operazioni “night intruder”, traducibile nella nostra lingua come “intruso o intrusione notturna”, videro la loro prima applicazione durante la battaglia d’Inghilterra. I bombardieri della Luftwaffe che nella notte colpivano le città Britanniche furono seguiti da caccia notturni della R.A.F. lungo la rotta di rientro verso gli aeroporti di decollo. Gli aerei della Royal Air  Force, in prossimità dei campi di aviazione tedeschi, colpirono i bombardieri in atterraggio e mitragliarono le infrastrutture nel tentativo di ridurre le capacità operative avversarie. In un breve intervallo questa tattica fu adottata anche dalla Luftwaffe; operando con le stesse modalità Britanniche gli intercettori notturni tedeschi si infiltrarono tra i reparti della R.A.F. raggiungendo anche i loro aeroporti. Dopo la fase del conflitto che coinvolse i cieli della Manica ed Inglesi le tattiche “night intruder”  tornarono ad essere applicate durante le battaglie che infuriarono in nord Africa. Nel teatro bellico africano gli obiettivi si ampliarono; gradualmente, ma rapidamente, ed oggetto delle operazioni notturne diventarono anche truppe avversarie, depositi di ogni genere, artiglierie, infrastrutture e retrovie del fronte in generale con bersagli sia pianificati che casuali. Per questo genere di attività furono impiegati bombardieri leggeri e cacciabombardieri. Il “night intruder” da operazione di contrasto di forze aeree si trasformò in azioni di attacco al suolo. In Africa settentrionale la tecnica fu utilizzata da tutte le parti in causa,  ma la fase finale delle operazioni la vide applicata con maggiore frequenza dagli alleati ed in particolare dagli Statunitensi. Con la fine delle operazioni sul territorio africano ed il completo ritiro delle truppe dell’Asse la componente aerea alleata iniziò a pianificare ed attuare azioni rivolte verso il territorio Italiano. Dopo lo sbarco in Sicilia ed il successivo progredire delle operazioni militari nella penisola Italiana le operazioni “night intruder” tornarono alla ribalta. Nella notte tra il 16 e 17 Luglio 1943 nell’area riferibile a Catania, Paternò e Riposto, aerei alleati attaccarono la ferrovia e colpirono bersagli di opportunità; fu probabilmente la prima azione “night intruder” in Italia. In rapida successione nelle ore notturne tra il 19 ed il 20 Luglio 1943 bombardieri medi e leggeri bombardarono i campi di aviazione di Aquino, Capodichino, Randazzo, Orlando, Nicosia raggiungendo anche svariati obiettivi casuali. Con le stesse modalità, nella notte tra il 12 e 13 Settembre 1943, furono attaccati aeroporti nell’area di Roma mentre, nello stesso anno, l’arrivo della sera tra 27 e 28 Novembre vide una azione di attacco al suolo alleata di grande entità nella zona di Lanciano, Fossacesia, Castelfrentano e Casoli. I bombardieri si dedicarono a postazioni di artiglieria, strade, ferrovie, veicoli ed ogni genere di possibile obiettivo di opportunità. Durante la fase della campagna d’Italia che si svolse nel sud e centro della nostra Nazione anche i tedeschi impiegarono svariati reparti di caccia bombardieri per l’attacco al suolo notturno e colpirono generalmente la linea del fronte alleato e le immediate retrovie.

Nel corso del 1943, e per una parte del 1944, le forze aeree alleate impiegarono le operazioni di attacco al suolo notturne esclusivamente in modo tattico. Ma a partire dai primi giorni del mese di Luglio 1944 furono pianificate in una strategia organizzata.

Lo sbarco in Normandia, il 6 Giugno 1944, aprì di fatto il fronte di guerra occidentale destinato a puntare direttamente al cuore della Germania. In pratica  le operazioni in Italia, rispetto a quelle in territorio Francese, diventarono secondarie e questo portò ad una inevitabile riduzione delle risorse di ogni genere a disposizione delle armate alleate operative nella penisola. Allo stato maggiore alleato in Italia fu anche evidente che la loro offensiva verso nord tendeva a perdere lo slancio iniziale e che le forze germaniche si sarebbero arroccate lungo l’Appennino tosco-emiliano a protezione dell’Italia settentrionale da loro occupata. Agli eserciti alleati in Italia rimase sicuramente favorevole la forza della componente aeronautica che aveva già ampiamente contribuito allo sforzo delle truppe a terra. L’analisi dei risultati delle operazioni di bombardamento, in particolare quelle tattiche e di attacco al suolo, rese evidente che la loro efficacia era ridotta dalle contromisure prese dallo stato maggiore tedesco. Colonne e convogli militari germanici furono  composti da non più di 15 o 20 veicoli ed iniziarono a muoversi di notte; gli itinerari scelti interessarono strade e ferrovie considerate secondarie mentre, sempre con il favore del buio, si attuarono le riparazioni alle infrastrutture stradali e ferroviarie duramente colpite dagli attacchi aerei angloamericani. Fu probabilmente la visione di un quadro di insieme di questo genere che indusse i vertici militari alleati ad intensificare le azioni di bombardamento sull’Italia settentrionale aumentando il numero sia delle azioni diurne che delle missioni notturne “night intruder”. Lo scopo fu quello di mantenere elevata la pressione contro l’avversario, riducendo le sue capacità di trasporto, logistica e risorse in generale; si sperò così di indebolire il più possibile lo schieramento tedesco anche in vista dell’offensiva finale alleata. I bersagli per le azioni “night intruder” furono chiaramente individuati; oltre agli eventuali obiettivi indicati e definiti dovevano essere colpiti trasporti di ogni genere, veicoli, treni e ferrovie, infrastrutture, luci sparse e qualsiasi obiettivo di opportunità. Con queste premesse fu evidente che la possibilità di coinvolgere civili o forze amiche, in particolare missioni O.S..S. e S.O.E. e forze della resistenza, fossero praticamente certe.
Fondamentalmente non si trattò di azioni di attacco progettate con fini di “guerra psicologica” per tentare di accrescere il già esistente malcontento della popolazione dell’Italia settentrionale verso i vertici della Repubblica Sociale Italiana ed i tedeschi. Dal punto di vista dei comandi alleati la certezza degli effetti collaterali, anche se forse ne fu sottovalutata l’entità, ebbe un valore inferiore rispetto ai presumibili grandi vantaggi che si  riteneva fosse possibile ottenere.

Le operazioni “nignt intruder” si moltiplicarono con il progredire del conflitto fino a quando a partire dai primi giorni del mese di Luglio 1944 alla notte del 30 Aprile 1945 lo spazio aereo dell’Italia settentrionale divenne lo sfondo di almeno 150 missioni notturne di attacco al suolo. Solo per un breve arco di tempo, dal 21 Agosto 1944 al 26 Agosto 1944, per esigenze tattiche il baricentro si spostò leggermente verso il territorio francese con puntate degli aerei attaccanti nell’area di Nizza e della valle del Rhone; in questo periodo la parte centrale e centrosettentrionale della Val Padana fu comunque interessata dalle operazioni. In questo scenario nacque anche la leggenda di “pippo”; l’aereo alleato isolato, si presumeva fosse in volo solitario, che sorvolò nelle notti di guerra la pianura padana ed attaccò luci e movimenti di qualsiasi genere. Non fu mai accertato chi o che cosa ne determinò il nomignolo così come non fu possibile sapere se furono gli organi della R.S.I. a spargere la voce che si trattava di un velivolo solitario, magari nel tentativo di mascherare la ennesima rappresentazione della forza aerea alleata. Rimane vivo, dopo decenni dalla fine del conflitto, il tragico ricordo di notti accompagnate da ansia e paura tramandato verbalmente da una generazione all’altra.

(Fonte:https://www.gracpiacenza.com/pippo-il-terrore-delle-notti-di-guerra.html)


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