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Un giorno nella Storia, venerdì 29 settembre 1944

La strage nazifascista di Marzabotto-Monte Sole

“Giornale Radio: ieri, 29 Settembre…”. Questa la frase che lo speaker Rai pronuncia nella canzone di Mogol (al secolo Giulio Repetti) e Lucio Battisti “29 Settembre”, da loro scritta nel 1966 e portata al successo, l’anno dopo, dall’Equipe 84 di Maurizio Vandelli.

Non è di quel 29 Settembre che scriverò qui, bensì di un altro 29 Settembre di ormai 80 anni fa, quello che, nel 1944, vide l’inizio della strage nazifascista di Marzabotto-Monte Sole (Bologna) strage che al suo termine, il 5 Ottobre 1944, lascerà sul terreno 770 vittime innocenti, tra cui 216 bambini. Scriverà al riguardo il Poeta Salvatore Quasimodo, Premio Nobel per la Letteratura nel 1959, nell’Epigrafe posta alla base del Faro Monumentale che sorge sulla Collina di Miana, sovrastante Marzabotto:

«Questa è memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo, voluto dai nazisti di von Kesselring, e dai loro soldati di ventura, dell’ultima servitù di Salò, per ritorcere azioni di guerra partigiana.».

Vediamola meglio allora questa Memoria “di sangue e di fuoco” e “di martirio”.

Dopo il massacro di Sant’Anna di Stazzema (Appennino Toscano) commesso il 12 Agosto 1944, gli eccidi nazifascisti contro i civili sembravano essersi momentaneamente fermati. Ma il Feldmaresciallo Albert Kesselring aveva scoperto che a Marzabotto agiva, con successo, la Brigata Partigiana “Stella Rossa” e voleva dare un duro colpo a questa Formazione armata e resistente e ai civili che la appoggiavano. Già in precedenza Marzabotto aveva subito rappresaglie, ma mai così gravi come quella dell’autunno 1944.

A dirigere quell’azione di guerra ai civili c’era il Maggiore Walter Reder, comandante del 16° Battaglione Corazzato Ricognitori della 16^ SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS (comandata dal Generale SS Max Simon condannato a morte nel 1954, condanna poi commutata in carcere a vita. Simon verrà successivamente trasferito in Germania e sarà rilasciato per morire in quel Paese nel 1961). Reder – che a suo tempo era stato sospettato di essere uno tra gli assassini del Cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss, assassinato dai nazisti, il 25 Luglio del 1934 – non era nuovo a quel genere di azioni criminali.

Nella zona delle Alpi Apuane, infatti, Reder – supportato da elementi militari della RSI e sempre al comando della medesima Unità militare delle Waffen-SS – compì l’eccidio di San Terenzo Monti (159 morti), l’eccidio di Vinca (oltre 170 morti) e l’eccidio di Bergiola Foscalina (70 morti)

Nota: la guerra contro i civili fu attuata dai nazisti attraverso un sistema di ordini che derivava la sua spietatezza dalla radicalità della Disposizione, emanata da Hitler il 18 Ottobre 1942,  per la condotta di guerra contro le ‘Bande all’Est’. Quanto stabilito in quella Direttiva politico-militare fu applicato scrupolosamente anche nell’Italia occupata. Nel “Bandenkampf in der Operationszone Adriatische Kunstenland” (“Lotta contro le Bande nella Zona Operativa del Litorale Adriatico”, territorio che – pur essendo sotto amministrazione della RSI  – era, di fatto, incorporato nel Reich tedesco) si legge, infatti: “Le nostre operazioni dovranno perciò superare ulteriormente la misura della totalità”.

Ovvero si deve essere spietati nella repressione del “banditismo partigiano” non dimenticando i civili che – sicuramente per i tedeschi – aiutavano i combattenti partigiani. Ma occorre evidenziare che molte delle migliaia di stragi di civili compiute dai nazifascisti nel nostro Paese durante i 20 mesi di occupazione, non avevano come “scusa” la presenza partigiana, ma erano effettuate solo e soltanto per odio verso i “traditori badogliani” italiani.

Va ricordato che L’”Atlante delle Stragi Nazifasciste in Italia”, voluto dall’ANPI, ha consentito di censire, tramite la raccolta bibliografica, il lavoro di archivio e la consultazione di database già noti, 5.607 episodi di violenza, nazifascista verso i civili e i militari italiani per un numero complessivo di 23.669 persone uccise e con una media di 4,2 per episodio.

La mattina del 29 Settembre Reparti della Wehrmacht, accerchiarono e rastrellarono una vasta area di territorio compresa tra le Valli del Setta e del Reno, utilizzando anche armamenti pesanti. Quindi – ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle Frazioni di Panico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle cascine, delle scuole», e fecero terra bruciata di tutto e di tutti. Nella Frazione di Casaglia di Monte Sole, la popolazione atterrita si rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di mitragliatrice il sacerdote, Don Ubaldo Marchioni, e tre anziani.

Le altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 195 vittime, di 28 famiglie diverse tra le quali 50 bambini. Fu l’inizio della strage. Ogni località, ogni Frazione, ogni casolare fu setacciato dai soldati nazisti e non fu risparmiato nessuno. La violenza dell’eccidio fu inusitata: alla fine dell’inverno fu ritrovato sotto la neve il corpo decapitato del Parroco Don Giovanni Fornasini.

Fra il 29 Settembre e il 5 Ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il bilancio delle vittime civili si presentava spaventoso: oltre 800 morti. Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio furono negate dalle Autorità fasciste della zona e dalla stampa locale (Il Resto del Carlino), indicandole come diffamatorie; furono minimizzate anche presso Mussolini, che chiedeva conferme (e che protestò per l’inaudita crudeltà tedesca).

Solo dopo la Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro: le vittime accertate saranno 770. Tutto questo noi oggi – 80 anni dopo quella strage, la più tremenda compiuta dai nazifascisti nei 20 mesi di occupazione dell’Italia – ricordiamo e non dimentichiamo.

Qualche approfondimento

Per più di trent’anni, dal 1960, la strage nazifascista di Marzabotto-Monte Sole è rimasta “archiviata provvisoriamente” in un Armadio piazzato in uno scantinato di un Palazzo romano, Palazzo Cesi-Gaddi, sede della Procura Generale Militare. L’Armadio, di modello ministeriale in legno marrone, fu trovato parecchi anni dopo quel 1960, durante le ricerche del materiale del Processo ad Albert Kesselring (1947-1948) avviate dall’allora Procuratore Generale Militare di Roma, Dottor Antonino Intelisano, che si stava occupando di istruire il Processo ad Erich Priebke, Il boia delle Ardeatine, che era stato appena estradato in Italia dall’Argentina, dopo essere stato rintracciato da una Troupe giornalistico-televisiva americana, su segnalazione dell’Ufficio di Vienna di Simon Wiesenthal.

Quell’Armadio fu trovato con le ante rivolte verso la parete, chiuso a chiave, con un lucchetto e posizionato dietro un cancelletto di ferro posto a protezione ulteriore dei “segreti” che esso conteneva e che tali avrebbero dovuto restare nelle intenzioni dell’allora Procuratore Generale Militare di Roma, Enrico Santacroce che a “quell’archiviazione provvisoria” illegale aveva provveduto, apponendo la sua firma su ognuno dei Decreti di archiviazione del materiale che quell’Armadio conteneva. L’hanno chiamato “l’Armadio della Vergogna”. (copyright Franco Giustolisi). 

La ricerca del materiale processuale per il Dottor Intelisano si svolge nel 1994 e – una volta scopertane l’esistenza – quell’Armadio viene, finalmente, girato. Le sue ante vengono aperte ed è così che vedono di nuovo la luce ben 695 Fascicoli con oltre due migliaia di ‘notizie di reato’ mai diventate – dalla fine della guerra e per bieche “Ragioni di Stato” che così “violentavano” di nuovo le 15mila vittime innocenti di cui quelle carte raccontavano le storie (tra cui le 770 di Marzabotto-Monte Sole) – Inchieste giudiziarie e Processi.

Dopo il Processo a Walter Reder del 1951, presso il Tribunale Militare di Padova, la strage di Marzabotto-Monte Sole è diventata nuovamente un Processo solo nel 2006. In quell’anno infatti, l’allora Procuratore Militare di La Spezia, il Dottor Marco De Paolis, portò alla sbarra alcuni Ufficiali, ancora in vita (per l’esattezza 17) facenti parte del Reparto tedesco delle SS che aveva compiuto la strage (il Maggiore SS Walter Reder che, come avete letto sopra, comandava quell’azione era stato, nel 1951, condannato all’ergastolo per poi essere liberato e morire a Vienna, nel 1981, avendo ritrattato la dichiarazione di pentimento e la lettera di scuse, a suo tempo, inviata agli abitanti di Marzabotto). Nel 2008 il nuovo iter giudiziario relativo alla strage di Marzabotto-Monte Sole si concluse in Appello con la condanna all’ergastolo di nove tra i 17 imputati (uno era, nel frattempo, deceduto e un altro era stato dichiarato innocente). 

Il Procuratore De Paolis – grazie alle carte ritrovate a Palazzo Cesi-Gaddi e inviate alla sua Procura Militare per competenza territoriale – istruirà oltre 600 Processi ai militari nazisti e della Wermacht, autori di diverse altre stragi criminali di civili. Molti di questi militari risiedevano in Germania e – sebbene condannati – non vennero mai né estradati, né processati in loco, perché la Germania non tenne affatto conto di quanto la Magistratura Militare italiana aveva deciso. Di seguito, trovate una Scheda sul libro che lo stesso  Dottor De Paolis ha scritto per raccontare il suo lavoro per la Verità e la Giustizia.

Marco De Paolis, “Caccia ai Nazisti”, Rizzoli, 2023

«Nonostante il lungo tempo trascorso dalla data del fatto anzidetto, non si sono avute notizie utili per la identificazione degli autori e per l’accertamento delle responsabilità.» Recita così la formula contenuta nel Decreto di archiviazione del 1960 per i fascicoli dell’«Armadio della Vergogna», con il quale la Procura Generale Militare di Roma negherà la giustizia per le stragi compiute dai nazifascisti in Italia dopo l’8 Settembre 1943. 

Non era vero.

Le «notizie utili» c’erano eccome, ma qualcuno aveva scelto, arbitrariamente, di non andare avanti con le indagini. A fare una scelta diversa, a oltre quarant’anni da quell’archiviazione, sarà il giovane Procuratore Militare di La Spezia, Marco De Paolis. In questo libro è lui a raccontare i quindici anni, tra il 2002 e il 2018, di indagini, interrogatori, sopralluoghi, esami dei testimoni, Processi che hanno portato a oltre 600 Procedimenti giudiziari contro i criminali di guerra nazisti e fascisti per gli eccidi di civili e militari.

Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Civitella in Val di Chiana, ma anche Kos e Leros, Cefalonia: sono solo gli episodi più conosciuti tra quelli di cui De Paolis si è occupato, consapevole che «il dolore non va in prescrizione» e che la sete di verità dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime era stata ignorata per troppo tempo. Una storia avvincente, una caccia ai colpevoli tra Italia, Germania e Austria per interrogare gli ex SS ancora in vita e stabilirne le responsabilità, portarli alla sbarra, farli condannare. E insieme un racconto intimo e privato di cosa ha significato immergersi in «un dolore così immenso», come lo definirà uno dei sopravvissuti, il dolore di chi ha dovuto subire l’ulteriore ingiustizia «del mancato assolvimento da parte dello Stato del primario e doveroso compito di ricercare, processare e punire i responsabili di quella brutale violenza». Con la Prefazione di Liliana Segre.


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