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Vignette sataniche

Umorismo, fantasia e rispetto per una satira efficace e pungente

Ideare vignette satiriche richiede umorismo, fantasia e rispetto. Perché siano efficaci e pungenti non occorre andare fuori dalle righe, ossia smarginare. Tutt’altro. Una vignetta satirica è apprezzabile quando riesce a restare nel percorso limitato dalle tre condizioni dettate prima. Sembra facile, ma è più difficile di quanto si possa immaginare.

È come portare a termine uno slalom gigante, dove oltre alla preparazione, la velocità e la compostezza, devi saper restare all’interno del percorso, delimitato dalle porte. Per garantirti il successo non puoi ignorare nessuna delle tre prerogative. Colpire nel segno con una vignetta satirica, pubblicata su un quotidiano, non è come postarla (si dice cosi?) sul social network, dove più o meno conosci i tuoi followers (è corretto intendere chi ti legge?), le loro tendenze politiche, la loro educazione (o elasticità permissiva) e soprattutto la loro cultura, trave su cui poggia il rispetto per il prossimo, ossia il limite riguardo al quale è  lecito, o non lo è, espandere la tua libertà, perché non vada a ledere quella altrui. Pubblicare invece la vignetta su un quotidiano a tiratura nazionale non può essere soltanto il consenso che riceverai da coloro ai quali la testata si rivolge perché, in fondo, sono i suoi lettori. No, la valutazione la devi fare con te stesso, col tuo buon senso, chiedendoti se ti puoi permettere di insultare, diffamare, offendere con illimitata leggerezza chiunque, al fine di riscuotere il successo da quei lettori.

Se non ne sei capace, se la satira richiede a tutti i costi la punzecchiatura che deve invelenire il destinatario, come le banderillas inflitte nella collottola del toro, ritengo che allora è bene che anche in democrazia sia rispettato per legge il limite oltre il quale la libertà scade nella diffamazione che non può, non deve essere lasciata impunita. Se questo significa censura, mi dispiace. Significa che ho vissuto inutilmente non riuscendo a distinguere l’umorismo, dall’ironia, dalla satira, dal sarcasmo.

È anche mio convincimento che troppi dibattiti televisivi procedano con liberi insulti, respinti al mittente con accresciuta ferocia lessico vocale ,ché alla fine, anziché parlare un imbecille per volta, si naufraga nella più volgare canizza, dove parlandosi addosso con tono e volume della voce crescente, chi si trova di fronte al segnale audio visivo dell’apparecchio, per sua fortuna non comprende niente delle idiozie che i due paladini si sono vicendevolmente scambiate, secondo un galateo cavalleresco in itinere, ogni giorno sempre più permissivo e teso a consentire uno scontro sempre più becero, per favorire l’audience (si abbrevia così l’indice di gradimento?) dei poveri utenti della televisione che alla fine possono soltanto esprimere il loro voto, oggi tanto di moda (Quant’è bello se si vota da Sanremo in giù. L’importante è farlo tutti, come lo vuoi tu…).

“Argìa, mi pare che ’l cavaliere giallo abbia urlato di più. ’N sei d’accordo?”

“No, ber mi’ Pipi, non son d’accordo. È ’l cavaliere vestito di scuro, quello nero, c’ha strillato di più per fassi sentì dagli spettatori a casa!”

E in questo modo, la disfida si conclude senza vincitore, né vinto, in uno sproloquio scuregiallo che non ha comunicato niente di utile ai destinatari del messaggio Socio-Cul-Tural-Politico.

Il problema è che la comunicazione, un tempo demandata ai quotidiani in edicola, dove il destinatario sceglieva la testata (con rispetto parlando) di suo gradimento, oggi viaggia sgarbatamente, suddivisa tra internet e TV, due entità che avrebbero bisogno di una profonda revisione fondata sulla cultura – prerogativa che non puoi richiedere a tutti – ma soprattutto sul buon senso, che l’UNESCO, invece, attribuisce a tutti, come patrimonio dell’umanità.


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