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10 febbraio: Giorno del Ricordo

No alle strumentalizzazioni e alle omissioni. si alla verità storica

Per celebrare questo giorno, così importante per quanto riguarda la storia italiana (e non solo italiana, ma anche dei nostri vicini sloveni e croati e, in genere, ex jugoslavi), ho voluto inserire, come immagine, la copertina di un libro, “Adriatico amarissimo”, di uno dei più importanti e esperti scrittori di storia italiani, Raul Pupo, profondo conoscitore delle vicende che hanno insanguinato (ma anche avvicinato e fatto convivere popoli e culture differenti) il nostro confine orientale. Consigliandone vivamente la lettura, voglio comunque cercare di offrire un sintetico quadro di riferimento.

Il 10 febbraio è la data che il Parlamento italiano ha scelto per ricordare gli eventi sanguinosi che – nel settembre del 1943, dopo la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre, si verificarono nel territorio al confine tra le province di Trieste e Gorizia e la Carniola interna e il territorio dei comuni istriani Pisino, Albona e Gimino. Episodi analoghi accaddero nella stessa zona nel maggio-giugno del 1945, a guerra finita e con la città di Trieste e l’intera Istria occupate militarmente, a seguito della cacciata dell’esercito invasore nazista, da parte della IV Armata jugoslava. Si trattò, sia in un caso che nell’altro di atti gratuiti di violenza (dai processi sommari alle fucilazioni, seguite dall’occultamento dei corpi nelle cosiddette “foibe”) e di vendette nei confronti di italiani che, o perché accusati di varie responsabilità nella guerra scatenata contro la Jugoslavia nella primavera del 1941, o perché ritenuti collaborazionisti dei nazisti, dovettero pagare con la vita la volontà di vendetta che animava i combattenti dell’esercito di liberazione jugoslavo che in maggioranza aderivano alle formazioni politiche comuniste il cui leader era il maresciallo croato Josip Broz Tito.
Secondo le più accreditate fonti storiografiche, furono circa 5.000 le vittime complessive di quelle due ondate di vendette e violenze consumate contro gli italiani che, in moltissimi casi, o non potevano essere imputati di collaborazionismo nei confronti della guerra fascista del 1941 e dell’occupazione nazista del 1943, o, addirittura, avevano fatto parte delle formazioni partigiane italiane impegnatesi nella guerra di Liberazione (come il famoso dirigente del Partito d’Azione Angelo Adam).
Ai processi sommari e alle fucilazioni di massa seguì, dopo la firma del trattato di pace del 10 febbraio 1947 – che assegnava l’Istria e la Dalmazia alla Jugoslavia, costituendo inoltre il Territorio libero di Trieste (solo nel 1954 la città di Saba e di Svevo, ma amata anche da Freud, Rilke e Joyce, ritornerà all’Italia) – il grande esodo di massa della maggioranza degli italiani, che si protrasse fino al 1958: 300.000 profughi dalle ex province di Fiume, Pola e Zara, che furono “sistemati” provvisoriamente in 109 campi sparsi per tutta la penisola.
Questi eventi furono soltanto l’epilogo di una tragedia che era cominciata già negli anni Venti: a partire dal gennaio del 1925, con l’introduzione delle leggi “fascistissime” nella legislazione italiana, le popolazioni “allogene” delle province al confine nord-orientale furono colpite da provvedimenti che proibivano l’uso delle lingue slovena e croata negli atti pubblici, abolivano l’insegnamento di queste due lingue nelle scuole, imponevano la chiusura delle scuole “alloglotte”, dei giornali, e delle associazioni culturali non italiane, fino ad imporre l’italianizzazione dei cognomi di origine slava. Dal 1926, con l’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, cominciarono ad essere comminate centinaia di anni di carcere sugli oppositori “allogeni” delle 3 province; su 42 condanne a morte pronunciate ed eseguite fino al 1943, ben 33 riguardavano sloveni e croati.
Il 6 aprile del 1941, infine, nel quadro della “guerra parallela” decisa dal fascismo per inseguire l’espansionismo nazista in Europa, l’Italia aggredì la Jugoslavia in contemporanea con l’invasione da parte dei nazisti. L’esercito italiano occupò Lubiana e una lunga striscia costiera che andava dal confine del 1924 fino a Dubrovnik (Ragusa). Nel restante territorio croato, intanto, nasceva lo stato fantoccio degli “ustascia” di Ante Pavelic, alleato della Germania e dell’Italia. Il resto della Jugoslavia divenne dominio degli eserciti di Hitler.
La resistenza jugoslava cominciò a operare contro tutte le truppe d’occupazione e contro le formazioni collaborazioniste. A tali azioni l’esercito italiano rispose con l’istituzione di un Tribunale straordinario, con l’apertura di numerosi campi di concentramento (tra cui quelli di Gonars e di Arbe), con le deportazioni indiscriminate, centinaia di condanne a morte, migliaia di esecuzioni sommarie in ossequio alla Circolare 3C del primo marzo 1942, sottoscritta dal generale Roatta, che precisava che alle azioni dei partigiani si doveva rispondere con la logica della “testa per dente”.
La guerra in Jugoslavia divenne ancora più dura quando, dopo l’8 settembre ’43, tutto il territorio passò sotto il diretto controllo dell’esercito tedesco, anche nelle province ormai ex italiane (Udine, Trieste e Gorizia, che andavano ad aggiungersi a quelle di Bolzano, Trento e Belluno già annesse al Reich), nelle quali formazioni della Repubblica Sociale Italiana svolsero un triste ruolo di fiancheggiamento nelle azioni di rappresaglia compiute tanto dalla Wehrmacht quanto dalle SS. Fu in questo periodo che cominciarono le deportazioni degli ebrei delle province ex italiane, parte dei quali finirono, insieme ad altri oppositori e partigiani, nella risiera di San Sabba, unico campo in Italia dotato di forno crematorio.
Ciononostante il movimento partigiano jugoslavo continuò nelle sue azioni contro gli occupanti, con l’obiettivo dichiarato della cacciata di italiani e tedeschi da tutto il territorio a sovranità jugoslava prima della guerra, ma anche dell’annessione dell’Istria e di Trieste. Ciò determinò la frattura tra la resistenza jugoslava e la resistenza italiana.
Il primo maggio del 1945, quando Trieste venne occupata militarmente dall’esercito di liberazione jugoslavo, si verificarono scontri armati tra partigiani italiani e partigiani jugoslavi, questi ultimi intenzionati ad escludere gli italiani dal controllo della città. Fu in quei giorni di maggio e nei primi giorni di giugno che si verificò la seconda ondata di arbitrarie vendette ed atroci esecuzioni sommarie che vennero poi simbolicamente denominate “foibe”.
La storia successiva, svoltasi tra Trattato di Pace del 1947 e il successivo Accordo o Memorandum di Londra dell’ottobre 1954, registrò la progressiva dimenticanza su tutta la vicenda relativa alle “foibe” e all’esodo delle popolazioni italiane.
Solo dagli anni ’90, in coincidenza con l’implosione della Federazione jugoslava, è ricominciata la ricerca storica contrassegnata da numerose pubblicazioni di grande valore scientifico, dovute a specialisti quali i professori Valdevit, Spazzali, Cattaruzza, Oliva, Crainz, Pupo.
Contemporaneamente sono stati stipulati accordi a livello statale, tra l’Italia e le nuove repubbliche di Slovenia e di Croazia, per la definizione del contenzioso e della triste eredità del passato, e per la tutela delle minoranze slovene e croate in Italia, e italiana in Slovenia e Croazia. Frattanto, dal 2004, la Slovenia è entrata a far parte dell’Unione Europea, mentre l’adesione della Croazia è del 1° luglio 2013.
Anche in Slovenia e in Croazia la tragedia delle “foibe” è riemersa da alcuni anni dopo un lungo oblio, con il conseguente avvio di ricerche storiografiche dalle quali può giungere, anche per noi, un contributo per ristabilire la verità storica in tutti i suoi aspetti. D’altra parte, la comune appartenenza all’Europa e la commistione e la pacifica convivenza nelle rispettive zone di confine, inducono a ridurre ed a mettere da parte gli opposti risentimenti, nella prospettiva di un comune avvenire all’interno dell’unica patria europea. Non a caso si è stabilito che capitale della cultura europea nel 2025 sia la città di Gorizia-Nova Goritza (una sola città per due comunità).
I motivi di ricordare e di approfondire tutte le vicende relative ai rapporti tra il nostro paese e le repubbliche ex jugoslave, così come quelli per riparare ad una dimenticanza per troppi decenni protrattasi, sono quindi molteplici. La scuola deve sentirsi particolarmente impegnata in quest’opera di conoscenza che faccia pulizia anche delle numerose e interessate “strumentalizzazioni” che, su queste vicende, si sono manifestate nel corso del tempo. E’ positivo il fatto che alcune scuole del nostro territorio, abbiano organizzato viaggi d’istruzione in quelle località che ricordano quelle tragedie, con visita alla Risiera di San Sabba, al campo di Gonars e alla Foiba di Basovitza (2009), inserendo questi viaggi nei percorsi sulla memoria che hanno portato migliaia di giovani in visita anche nei lager nazisti di Auschwitz, Dachau, Mauthausen, Terezin e altri.
E’ fondamentale che, su un tema storica come questo, nelle varie celebrazioni, si dia spazio agli storici e alle ricostruzioni storiche, frutto di serio lavoro di ricerca operato da specialisti, e si evitino interessate strumentalizzazioni di carattere politico da parte di coloro che tendono a mettere sullo stesso piano la Shoah e la vicenda delle foibe e dell’esilio giuliano-dalmata. Solo così è possibile ristabilire la verità e una memoria condivisa e da tramandare alle future generazioni.

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