A spasso per Roma (11). Da Armando al Pantheon la storia della cucina romana

Il volto del Pantheon è un po’ come quei reel di immagini che scorrono veloci per mostrare il volto dell’uomo che cambia: bambino, adolescente, giovane, adulto, anziano e ricomincia.
Quando Agrippa lo fece costruire, fu rettangolare e orientato in direzione opposta all’attuale. Dopo l’incendio dell’80 d.C. Adriano lo ricostruì ruotandone la facciata di 180° e nel 609 d.C. da tempio dedicato a tutti gli Dei si trasformò in chiesa cristiana. Gossip dell’epoca: il foro della cupola era chiuso da una pigna di bronzo dorato e quando papa Bonifacio IV consacrò il tempio trasformandolo in chiesa, i demoni volarono fuori dalla cupola, portandosi dietro la pigna. Ma la pigna non fu l’unica cosa di cui il Pantheon fu nel tempo spoliato. Quando ci si mise pure papa Urbano VIII Barberini, Pasquino non si tenne più, “Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini” – disse. A un certo punto del 1500 ci seppellirono Raffaello e da allora, con quell’epigrafe che ancora oggi ci commuove, tutti gli artisti desiderarono seguirlo lì, ci furono sepolti comunque i Re d’Italia. C’è anche un’immagine del volto del Pantheon che non si può dimenticare, è di quelle domeniche tra l’Ascensione e la Pentecoste in cui piovevano, dalla cupola, petali di rose sui fedeli per ricordarne il miracolo. E sembra un miracolo che oggi, questo monumento che è una sfera perfetta e che dà il nome alla piazza che lo accoglie, nonostante ne abbia passate davvero tante, si porti gli anni così bene. Che non lo chiameresti certo anziano, imponente com’è e con tutta quella vita intorno.

Al suo fianco, per esempio, proprio sulla Salita de’ Crescenzi, c’è chi nel 1961 rilevò un vecchio ristorante e gli diede un volto nuovo, ricominciando così una storia che viene da lontano. È quella della cucina romana proposta da Armando al Pantheon.

“Era una bottiglieria con cucina – racconta il titolare Claudio Gargioli – e papà, Armando, mantenne la tradizione romana della cucina del quinto quarto perché era la cucina che si faceva a casa nostra.
Io mi sono affiancato a lui negli anni ‘70, all’epoca studiavo Scienze Politiche, poi un giorno mi disse: vieni a darmi una mano. Sono entrato dentro e non sono più uscito. Poi l’attività è cresciuta ed anche mio fratello Fabrizio, che era iscritto alla facoltà di Fisica e Matematica, ha lasciato perdere per dedicarsi al ristorante. Così è venuta fuori questa realtà di Armando al Pantheon che adesso è conosciuta in tutto il mondo.

Dei primi tempi cosa ci racconti?

Ho raccontato molte cose nel mio libro “Il menu letterario tipico romano”, dove ogni personaggio che è venuto da Armando è legato a vari aneddoti e ad una ricetta. Questo locale è stato frequentato da persone fantastiche, innanzitutto c’erano i clienti del posto, che erano soprattutto artigiani e avevano una storia, poi c’erano persone importanti, veniva Jean Paul Sartre quando ancora nessuno lo conosceva, Ugo Gregoretti, Gian Maria Volontè, persone che all’epoca erano molto vicine alla realtà popolare, poi le cose sono cambiate.
In seguito ho scritto un secondo libro che è “La mia cucina romana”, più centrato sui personaggi famosi che sono venuti e che amavano mangiare un certo tipo di piatto. In questi due libri c’è tutta la storia di Armando al Pantheon.

Ci racconti uno degli aneddoti che possiamo trovare nei tuoi libri?

Allora, noi avevamo un cliente soprannominato ‘il cinese’ perché aveva delle sembianze asiatiche. Un giorno il cameriere andò da papà e disse “una pasta e ceci al cinese”. Pasta e ceci è il tipico piatto del venerdì nella cucina romana. Papà quindi mandò la pasta e ceci ma, proprio mentre il cliente la stava mangiando, entrò un cinese vero. All’epoca non era così usuale che venissero clienti stranieri, specialmente cinesi, quindi, quando il cameriere andò nuovamente da papà e disse “una pasta e ceci al cinese”, papà pensò che si trattasse sempre dello stesso cliente. Pensò “vabbè gli è piaciuta e se ne mangia un’altra”, e così mandò la seconda pasta e ceci. A questo punto al cinese nostrano venne voglia di fare il bis e, quando il cameriere tornò ripetendo la stessa ordinazione, papà credette di mandargli il terzo piatto e pensò “questo s’è svegliato con una fame che non finisce più!”. Non ci crederete ma il cinese vero volle un’altra pasta e ceci, così, quando il cameriere andò a dire “Armando un’altra pasta e ceci al cinese”, Armando prese la pila della pasta e ceci, andò al tavolo del cinese falso e disse “e vattene affan… magnatela tutta!”, e lasciò la pila là sopra.

Ecco, Sartre amava passare il pomeriggio da Armando, con un goccio di vino e la sua compagna storica, immerso in questa umoralità romana.

Come è cambiato il menù?

All’inizio c’era il quinto quarto, io poi cominciai a fare esperimenti studiando la cucina Apiciana, ovvero una cucina di 2000 anni fa, quando Apicio era il cuoco di Tiberio. Apicio è stato il primo fondatore di una scuola di cucina a Scauli ed ha lasciato degli scritti, io ho ripreso da quegli scritti alcune ricette e le ho riportate in Armando.

Ad esempio?

Ad esempio la faraona ai funghi porcini e la birra nera; il moretum, un formaggio molto fresco lavorato con il miele e varie erbe; le polpettine di farro; le puntarelle condite con la salsa di alici, aglio e aceto che si faceva già a quei tempi. Apicio è un personaggio tra leggenda e realtà, si racconta che contese all’asta una triglia da un kilo e tre per una enormità di sesterzi! Anche se era all’asta, questa solitamente era priorità dell’Imperatore perché era una rarità, lui invece la contese e per questo dovette poi andarsene da Roma. Tanti dicono che fu per questo motivo ma c’è anche chi dice che se ne andò perché lui era un esattore e per soddisfare la sua passione per la cucina avesse fuorviato un po’ di soldi dell’Imperatore …

Insomma la cucina di Armando è davvero storica…

Ho fatto fare un percorso alla cucina romana non fermandola a quella del quinto quarto, che è una cucina bella ma dell’ultimo momento perché risale al ’600 o ’700. Ho riscoperto anche la cucina di Bartolomeo Scappi che era il cuoco del Papa, non dimentichiamo che a Roma c’è stata sempre la cucina papale e i Papi hanno sempre mangiato bene! Ho anche ripreso alcune ricette riportate dal Belli in alcune sue poesie, mi sono divertito a fare questo lavoro di ricerca.

La vostra è una attività di famiglia, la famiglia nel tempo si è allargata e ciascuno ha un proprio ruolo, ci sono stati momenti di conflitto?

Io e mio fratello, abbiamo perso mamma in età molto giovane, io avevo dieci anni e mio fratello Fabrizio ne aveva soltanto nove, questo ci ha reso molto uniti, i nostri figli sono stati educati allo stesso modo e non abbiamo mai avuto momenti di contrasto tra di noi. Abbiamo avuto ruoli diversi, io ho fatto lo chef, quindi una vita da protagonista, mentre mio fratello ha fatto una vita da mediano, ma io senza di lui non avrei potuto fare quello che ho fatto, lui mi dava la tranquillità dei conteggi, io non dovevo badare all’andamento economico del locale.
Poi il figlio di mio fratello Flavio, ha fatto le veci del padre, perché noi ci siamo un po’ ritirati per lasciar vivere ai nostri figli la realtà di Armando al Pantheon, li seguiamo solo a distanza. C’è mia figlia Fabiana, che è una delle sommelier professioniste più brave d’Italia, e c’è la mia figlia più piccola, Claudia, che si è laureata in lingue orientali e infine ci ha sorpreso dicendo di voler fare un corso di cucina. Così l’ho mandata da Nico Romito a Casadonna dove ha preso il diploma da chef, e dove ha conosciuto il marito, Graziano Roscioli, che adesso ha preso il mio posto e quindi è lui che cucina. Poi c’è Mario, l’ex marito di mia figlia Fabiana che, nonostante si siano lasciati, è rimasto a lavorare con noi e si può dire che è il mio alter ego perché è l’uomo di fiducia e sta anche bene in cucina. Sia Graziano che Mario sanno mandare avanti la cucina, altrimenti io non potrei ora stare qui a parlare tranquillamente …

Vivete molto il centro storico, cosa dovrebbe migliorare?

Pretenderei più pulizia. Vorrei che Roma prendesse esempio da Parigi, perché Parigi non è intransigente ma è pulita. Ricordo ad esempio che lì scorre dell’acqua sotto al marciapiede che porta via i residui. In questo momento poi Roma è presa d’assedio dai gabbiani, sono una croce, quando buttiamo l’immondizia che deve poi essere ritirata al mattino, questi bucano il sacco e si mettono in combutta con i topi, perché pure i topi purtroppo sono una realtà che c’è, e fanno un pasticcio!
Riguardo i dehors, naturalmente devono essere messi rispettando le norme. E’ ovvio che se io ho uno spazio, a questo devo attenermi, tanti si allargano, esagerano … e ci vanno di mezzo poi tutti.

 

“Sentite cosa avessimo da pranzo.

Zzuppa a mminestra cor brodo di pollo

Der pollo allesso: arrosto di ripollo…

Ah, un passo addietro: ci fu ppuro ir manzo.

Pessce fritto pescato a pporto d’Anzo

Co ggobbi e ppezzi de merluzz’a mmollo:

ummido d’un crapetto senza ir collo,

c’affogò ttutti e nn’arrestò d’avanzo. (…)”

Giuseppe Gioachino Belli – 1835

 

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