

Secondo i calcoli dell’Istat, il mercato del sesso in Italia nel 2022 valeva 4,7 miliardi di euro
Dal primo aprile 2025, qualcosa è cambiato nei freddi codici numerici che l’Istat assegna alle attività economiche italiane.
In mezzo a astrologi, spiritisti e grafologi, ora trova spazio anche un settore da sempre al centro di polemiche, leggende e tabù: quello del sesso a pagamento. Sì, anche escort e accompagnatori hanno ora un loro codice Ateco.
Il numero in questione è 96.99.92 e rientra tra i “servizi di incontro ed eventi simili”, una voce che – nero su bianco – include le attività di escort, l’organizzazione di servizi sessuali, gli incontri di speed networking, le agenzie di accompagnamento e persino la gestione di locali di prostituzione.
Una rivoluzione silenziosa, ma dalle potenziali implicazioni gigantesche. Perché se è vero che la prostituzione in Italia non è illegale, lo è tutto ciò che la organizza, la favorisce o la sfrutta.
Ecco allora che la decisione di inserire ufficialmente queste attività tra le categorie statistiche riconosciute ha acceso un acceso dibattito tra giuristi, politici e associazioni.
Secondo i calcoli dell’Istat, il mercato del sesso in Italia nel 2022 valeva 4,7 miliardi di euro, ed è cresciuto del 4% in un solo anno. Numeri che fanno girare la testa.
Ora che questo giro d’affari ha una voce statistica autonoma, si apre anche la porta – almeno teoricamente – a un possibile tracciamento fiscale.
Ed è proprio qui che si fa strada il cortocircuito.
“L’introduzione del codice potrebbe portare l’Agenzia delle Entrate a contestare l’evasione fiscale a chi opera nel settore”, si legge nei commenti a caldo degli esperti.
Ma l’avvocata Maddalena Claudia Del Re, penalista, mette subito un punto fermo: “In Italia è ancora vietato ogni tipo di sfruttamento, induzione o favoreggiamento della prostituzione. La legge è chiara, ed è quella Merlin, del 1958”.
L’Istat, travolta dal clamore della notizia, ha cercato di chiarire: “La classificazione Ateco 2025 riguarda solo le attività legali svolte da operatori economici residenti in Italia”. Ma la realtà è più complessa.
Perché il nuovo codice è stato recepito da Eurostat, l’istituto europeo di statistica, e serve – almeno nelle intenzioni – a rendere comparabili le informazioni tra tutti i Paesi UE, a prescindere dai diversi sistemi normativi.
Il punto è che così facendo, si rischia di legittimare – almeno fiscalmente – ciò che il nostro codice penale condanna penalmente.
Il Codacons parla apertamente di “cortocircuito fiscale”: “Se il fisco inizia a riconoscere queste attività, entra in contraddizione con le leggi italiane che puniscono chi trae profitto dalla prostituzione”.
A infiammare la vicenda è stata la vicecapogruppo del M5S al Senato, Alessandra Maiorino, che ha annunciato un’interrogazione parlamentare al ministro delle Imprese Adolfo Urso:
“È gravissimo che si preveda l’organizzazione di servizi sessuali in un codice Ateco. Questo significa normalizzare il favoreggiamento, che resta un reato in Italia. Chi lo ha deciso? Chi ha autorizzato questa svolta silenziosa?”
A replicare è arrivata la risposta tagliente del senatore di Fratelli d’Italia Matteo Gelmetti:
“La collega Maiorino ha preso un granchio. L’Istat ha solo recepito la classificazione europea dell’Eurostat, non c’entra nulla il governo, né il ministro Urso. La finalità è statistica, non normativa”.
Resta il fatto che, per la prima volta, i lavoratori e le lavoratrici del sesso sono stati inseriti nei conti ufficiali dello Stato. Non come fantasmi del mercato grigio, ma come attori economici.
Il codice Ateco 96.99.92 è una fredda stringa numerica. Ma dietro quelle cifre si agitano questioni di diritti, etica, economia e giustizia che da decenni l’Italia evita di affrontare con decisione. E che ora, grazie a una semplice tabella statistica, tornano prepotentemente al centro del dibattito.
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