Arte povera urbana
Perché alcuni continuano a protestare per mancanza di ordine e pulizia, a denigrare la nostra bella Città? Ma non vedono che Roma è una mostra a cielo aperto, non solo per le chiese, le colonne, i monumenti, che – diciamolo pure – stancano ormai con la loro monotona e stucchevole antichità?
Roma è finalmente divenuta un esempio di “Arte povera urbana” nella quale i vari quartieri – specie, ma non solo, periferici – fanno a gara con fantasia e originalità.
Perché avere quei cassonetti così ordinati, così dritti e perpendicolari alla sede stradale? Che noia, mettiamoci un bel saccone sotto, pieno di carta (riciclabile) tolta da casa restaurata e diamogli un’inclinazione, quel tanto che basta al colpo d’occhio!
Perché insaccare contenitori vari e plastica dentro il cassonetto apposito, quando appendendo una bella busta ad una bottiglia infilata a metà nello stesso, si ottiene un effetto…straniante?
E poi, quanto sono originali quei cartoni impilati l’uno sull’altro, belli, integri, invece di quelle brutture da imballo dell’ikea smontate e accatastate dentro il “Carta, cartone e cartoncino”, dove nessuno le può ammirare? E maglioni rossi in pendant con barattoli semivuoti di conserva, pennellati di sugo, esempio di creazione a quattro mani (pizzeria e privato/a cittadino/a)?
Ma credo che il massimo dell’arte siano i materassi single e matrimoniali, adagiati mollemente a terra per mostrare le belle macchie di urina (d’artista, ovviamennte!) o appoggiati alla campana del vetro, per riposare dopo la fatica di aver sostenuto per tante notti il peso dei sogni.
Aspettiamoci dunque altre composizioni di “Arte povera urbana” – povera, perché fatta utilizzando materiali della vita quotidiana e raccolta “indifferenziata” frammista alla “differenziata”; ma viene spontanea la domanda: faremo in tempo ad ammirare tutte queste originali ed educative esposizioni, prima che qualche altra “fatina” o “maghetto” minacci pulizia, ordine e bellezza per Roma nostra e si impegni a raccogliere quella che gli anziani, incompetenti d’Arte, chiamavano “monnezza”?