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Ecco cosa c’è nella “Strenna dei Romanisti” 2018

La presentazione della prestigiosa pubblicazione (79° anno di pubblicazione) a cura di Ugo Onorati

Grande successo di pubblico alla presentazione della Strenna dei Romanisti 2018 mercoledì 23 maggio alle ore 17,00 presso l’Istituto Centrale per la Grafica a Palazzo Poli, in piazza Poli 54, nella stupenda Sala Dante dalla quale si gode un’eccezionale ed unica vista della Fontana di Trevi.

Alla presenza dell’editore Francesco Piccolo e di una platea di amici e simpatizzanti dell’iniziativa, hanno illustrato la pubblicazione Maria Antonietta Fusco, dirigente Istituto centrale per la grafica e Ugo Onorati, storico e curatore del volume

L’onore e l’onere dell’impresa è toccato a Ugo Onorati che con il consueto garbo e disinvolta leggerezza unita ad una invidiabile capacità di sintesi (l’opera è di ben 492 pagine!) ha svolto quella che con understatement ha definito una “non” presentazione della  “Strenna dei Romanisti” 2018.

Ed ecco, dopo aver tributato un caloroso ringraziamento a Francesco Piccolo che cura la pubblicazione giunta al 79° anno,  a qui di seguito, a beneficio soprattutto di chi, per vari motivi non ha potuto partecipare all’evento, il testo dell’intervento di Ugo Onorati gentilmente offertoci.

Buonasera a tutti, Romanisti e non Romanisti, Romani e non Romani, Burini e Buzzurri, perché, in fin dei conti, tutti, ma proprio tutti apparteniamo, in un modo, o in un altro, a questa stupenda e terribile Città che è Roma. Non solo il viaggiatore e il pellegrino, non solo l’abitante col burino, ma anche il forestiero e l’immigrato, da vicino o da lontano, vale il detto del Toscano: “Qui sarai tu poco tempo silvano; / e sarai meco sanza fine cive / di quella Roma onde Cristo è romano”. Scusate se la citazione non è del tutto originale. Chissà quante volte è stata usata nelle decine e decine di presentazioni della “Strenna”, che altri ben più titolati di me hanno fatto in passato. Fatto sta che questa volta è toccata a me. Un piacere e un onore, ma con un pizzico di angoscia, perché puoi dare poco spazio a un autore, o a un argomento, puoi sintetizzare troppo o troppo poco e le parole dette possono essere passate al setaccio. E poi, come organizzare l’esposizione dei saggi raccolti in questo 79° volume dedicato a Roma? Per autore? Per argomento? Per periodi storici? Credo che in passato siano state già tentate e brillantemente affrontate tutte le soluzioni che offre la fantasia e l’intelligenza del bravo presentatore. Dunque non ci potrà essere nulla di nuovo sotto questo bel sole di Roma, se non i contributi, nuovi ogni anno, che autori di diversa formazione, studi, temperamento e stile, hanno dedicato  con “amor” a “roma”: un palindromo scontatissimo, che però mi consente di partire dall’editore RomAmoR e di proseguire poi con i contenuti della Strenna 2018. L’editore, dicevamo, di questo volume, non è un imprenditore qualsiasi. Francesco Piccolo in questo caso non è soltanto quello che si assume un rischio di impresa, che pure fa, ma è uno di noi, un Romanista che ha a cuore la Strenna tanto quanto chi vi scrive, o chi cura l’edizione; perché questo lavoro di 492 pagine è un lavoro collettivo e non la somma di tanti contributi individuali. E perdonatemi la battuta retorica: è un atto d’amore per l’Urbe che si perpetua negli anni, essendo passato il testimone di questa interminabile staffetta da una generazione di studiosi di cose romane all’altra. Esternamente il volume si presenta nella sua solita veste formale impeccabile e simile ai precedenti volumi nel formato, nella carta patinata opaca, nel chiaro carattere di stampa, con la copertina cartonata e plastificata, tale da ben figurare sul palchetto di una biblioteca, ultimo arrivato di una famiglia prolifica: quella dei Romanisti. Eccolo il frutto del parto di quest’anno, sulla fronte e sul dorso porta impressa l’immagine che lo contraddistingue dai fratelli: La veduta del Tevere e del Colle Aventino da Ponte Sublicio, riproduzione di un dipinto di Paolo Anesi, vedutista e decoratore rococò romano, che ben ci dispone con il suo già arcadico paesaggio a conoscere il corpo del neonato libro. 34 scritti di 34 autori. Ogni pezzo è originale e rappresenta un prezioso sassolino da aggiungere alla piramide della bibliografia romana. Ognuno tratta in modo competente un argomento diverso, con diverso stile, per materia e per epoche differenti, ma tutti con un denominatore comune: Roma. Potrei provare a esaminare gli scritti in base alle epoche. Scegliendo questa impostazione potrei dire che in questa miscellanea di saggi abbiamo scritti che si riferiscono all’attualità come: I muri parlano di papa Francesco scritto da Letizia Apolloni Ceccarelli, Resurrezione opera di Pericle Fazzini da Sandro Bari, Le donnine di Barbara da Marzio Bartoloni, Piazza del Popolo 1970 da Livia Borghetti, Il museo della scuola e dell’educazione a Roma Tre da Lorenzo Cantatore, I rondoni americani da Alessandra Lavagnino, ma dove collocare l’articolo di Francesca Di Castro, L’importanza del modello. Storia di una chiave, che va dal Cinquecento ai giorni nostri? Per Plautilla Bricci e la consulenza di Gian Lorenzo Bernini da Carla Benocci è evidente il secolo: il Seicento, come pure dello stesso secolo è il pezzo di Marcello Fagiolo: La furia e il tormento: il David pittorico di Bernini e le Notizie biografiche sull’architetto Giovanni Paolo Maggi di Maria Barbara Guerrieri Borsoi, anche se un po’ a cavallo del Cinquecento. Riconducibile al Settecento è Il programma dei Padri Dottrinari riflesso nel progetto decorativo della chiesa di Sant’Agata in Trastevere di laura Gigli; ma a cavallo del Settecento e Ottocento è lo scritto di Renato Mammucari: Più che guide sono Compagni di viaggio. Decisamente all’Ottocento vanno ascritti gli articoli Il panorama delle arti a Roma all’apparire di D’Annunzio da Maurizio Berri, Francesco Scaccioni, scultore e mercante d’arte tra Roma e Abruzzo da Alberto Crielesi, Una accesa controversia ottocentesca sui disegni del Circo Massimo da Elisa Debenedetti, Osterie caffè alberghi e locande romane nell’Ottocento da Pier Andrea De Rosa, Il giuramento di Simon Bolivar nella querelle tra Aventino e Montesacro da Gianni Fazzini, Gogol e la cripta dei Cappuccini da Rita Giuliani, Charles Gounod e Roma: un caso di affinità elettive da Franco Onorati, la Scuola di musica dell’orfanotrofio di Santa Maria degli Angeli da Andrea Panfili; ma già Il gazometro Colosseo di acciaio che tratta soprattutto dell’Urbe industriale di Pio IX da Romano Bartoloni sconfina nel Novecento e da qui all’attualità, tra Ottocento e Novecento è l’articolo su Attilio Taggi da Girolamo Digilio, Archeologia (romana) e misticismo da Luigi Domacavalli, ma anche quelli di Pier Luigi Lotti sulla Chiesa di Santa Maria Immacolata alla Cervelletta, di Mario Moretti sull’omonimo ingegnere capo dell’Ufficio tecnico municipale, la scoperta dei raggi cosmici scritto da chi vi parla. Sicuramente al Novecento attengono gli scritti: Il cinema e l’aviazione di Giuseppe Ciampaglia, Sante Bargellini di Marco Impiglia, Troppa grazia sant’Antonio di Carolina Marconi, Pasolini e Roma di Marco Onofrio, la medaglia annuale del Comune di Roma di Andrea Marini di Subiaco. Per non parlare poi dei pochi articoli che afferiscono alla Roma antica: quello dei Trionfi navali di Domenico Carro, quello su Giulia Domna di Stefania Severi e quello sul Saluto romano di Romolo Augusto Staccioli, dove il dato erudito di tutti e tre sconfina nell’effettività del rimando il Primo (dal trionfo navale degli antichi a quello moderno di Marcantonio Colonna), slitta nella leggerezza narrativa del monologo la Seconda, nell’attualità della storia viva il Terzo. Insomma se volessimo fare una sciocca statistica potremmo notare che dei contributi di questa Strenna 2018 soltanto questi ultimi 3 trattano dell’età antica, 3 del Seicento, 2 del Settecento, 12 dell’Ottocento, 8 del Novecento e 6 l’Attualità. Nessun articolo tratta l’Età di Mezzo, tra alto e basso Medioevo, che pure per Roma fanno mille anni pieni zeppi di storia e di personaggi. No. Una presentazione fatta così non serve a niente. Potrebbe andare meglio se trattassimo i contributi per materia. 2 sono gli articoli di storia romana: quelli di Domenico Carro e di Romolo Augusto Staccioli; 1 della Severi di narrativa storica, 1 di chi vi parla biografico e di storia della scienza; 1 di Cantatore di museologia e storia dell’educazione; 1 della Lavagnino di ornitologia; 1 di Marini di Subiaco di numismatica; 1 di Impiglia di storia del giornalismo sportivo e delle attività agonistiche; 2 sulla poesia romanesca e la critica letteraria, l’articolo di Digilio su Taggi e quello di Carolina Marconi sul rapporto Dell’Arco/Baldini; 1 di Ciampaglia sulla storia del cinema; 3 articoli di costume, quelli di Letizia Apolloni Ceccarelli, di Marzio Bartoloni, di Livia Borghetti; 1 di Marco Onofrio di letteratura e poesia; 1 di De Rosa sulle tradizioni popolari e gastronomia; 2 di storia della musica, quello di Franco Onorati, che incrocia anche il Grand Tour e il genere biografico, e quello di Panfili, interessante anche l’argomento “architettura”; Il tema del Grand Tour è nettamente ritagliato in un articolo di Mammucari, ma compare anche in quello di Fazzini intrecciato al genere storico e biografico,  come pure in quello di Giuliani che tocca anche la letteratura straniera; 1 articolo, quello della Di Castro, è specificamente sull’antiquariato e sul collezionismo, ma con vari riferimenti alla storia, all’artigianato, all’arte; 1 articolo, quello di Domacavalli di carattere biografico, che però interessa da vicino la storia della Chiesa e la tradizione religiosa romana; il resto, ma in questo caso: “il grosso” degli articoli, tratta dell’urbanistica, dell’architettura e della storia dell’arte, come il pezzo della Debenedetti, che però incrocia l’archeologia, quello della Gigli, quello di Romano Bartoloni, che sconfina benissimo nella storia dell’industria romana, quello di Lotti che tratta molto anche della campagna Romana, quello della Guerrieri Borsoi di valore biografico, quello di Moretti che vale anche per le opere pubbliche e l’amministrazione comunale, più propriamente alla storia dell’arte vanno ascritti gli articoli di Alberto Crielesi e di Sandro Bari a carattere biografico, di Marcello Fagiolo,  della Benocci e infine di Maurizio Berri con interessanti addentellati nella letteratura e nella poesia della Roma fine Ottocento. Anche in questo modo non mi sembra di aver detto nulla di interessante. Ma non vorrei essere nei panni di chi dovesse fare un catalogo a soggetto. Ancora, però, ci sfugge il contenuto dei singoli saggi. Occorrerebbe descriverli, come si fa di solito nelle presentazioni, facendo una specie di riassunto di ciascuno con i relativi elogi per questo o per quello. Ma era proprio ciò che non volevamo fare fin dall’inizio, volendo aggirare, o saltare a piè pari la consuetudine.  Che fare, allora? Mi proverò a riferire, breviter, soltanto cosa ho trovato di interessante, di eccezionale, di curioso in ciascuno dei singoli saggi. Ovviamente lo farò da lettore comune, non potendo essere allo stesso tempo esperto di arte, di musica, di cinema, di architettura, di archeologia, al punto da rilevare pregi e difetti.

Forse, così, andrà bene per tutti.

  • Con l’ultimo verso del Carme Arvale apre si apre il saggio storico di Domenico Carro sugli antichi trionfi navali. Il curioso Triumpe ripetuto 5 volte in apertura evoca l’immagine dei fratelloni devoti a Marte nel corso delle cerimonie per la vittoria riportata dai Romani sui nemici. Mi sembra di vederli, col capo velato, prima della battaglia battere il piede a ritmo di anapesto sulle parole enos Marmor iuvato e poi, dopo, scortare il vincitore sul colle capitolino. Il pregio dell’articolo è quello di aver dettagliatamente spiegato la natura e le modalità dei trionfi conseguiti in occasione di vittorie navali, una ventina su un totale di 350. Al console Gaio Duilio spettò di ricevere il primo trionfo di questo genere, quando Roma da potenza eminentemente terrestre, per sopravvivere nello scontro con Cartagine, iniziò ad evolvere anche nell’impero del mare. Delle illustrazioni al testo più di tutte mi ha incuriosito il trasporto di un bastimento a vela su di un carro dipinto in affresco.
  • Del “saluto romano”, descritto con grande competenza, ma anche con massima leggerezza da Romolo Augusto Staccioli, secondo il suo stile da salotto erudito, credevamo di sapere. E invece eccoci sbattuti di fronte ai loci communes con garbo e con finezza di argomenti. Il saluto romano i Romani non lo hanno mai fatto, tranne che nelle nostre rappresentazioni teatrali o cinematografiche. L’autore ci spiega poi la “favola” del cavallo senatore di Caligola, l’origine vera del vespasiano, l’errata espressione “forche caudine”, la differenza fra Hortus e Hortulum e perfino il corretto uso del modo di dire “vittoria di Pirro”. Insomma un pezzo godibilissimo.
  • Lo studio dei raggi cosmici non finisce di riservare sorprese ed è una delle grandi frontiere aperte dell’astrofisica attuale. A p. 437 si viene a sapere che questi per la prima volta furono scoperti proprio a Roma da uno scienziato italiano. C’è da dire che l’autore, che poi è chi vi parla, non perde occasione di infilare negli scritti della Strenna: Marino e i Castelli Romani.
  • “Come era bella la mia Èmesa e come erano belli quei giorni. E tu Sole, benedivi mio padre facendo brillare le gemme sul suo diadema… E lui, il nobile Bassiano, tuo sommo sacerdote, ritto e possente, ammantato di porpora, ti rendeva grazie invocandoti: “El Gabal!”. Un pezzetto, questo, del breve ma intenso saggio narrativo di Stefania Severi, che leggendolo mi ha fatto tornare in mente antiche letture da me fatte sul culto del Sole Invitto e su Mitra. in particolare quel bel libro di Antonin Artaud, che è Eliogabalo, o l’anarchico incoronato.
  • Non so quante volte sia stato affrontato nella storia della strenna l’argomento “pedagogia ed educazione a Roma e dintorni”. Lo fa Lorenzo Cantatore, parlando del Museo della Scuola istituito presso l’Università degli Studi di Roma Tre, che ha raccolto un’importante eredità dal vecchio Dipartimento di Scienze della Formazione, la Facoltà di Magistero a piazza della repubblica per intenderci. Con la scusa dello stipetto della Montessori l’autore ci introduce alle questioni della cultura da trasmettere, dei modi e degli strumenti pedagogico-educativi da utilizzare, che alla fine dell’Ottocento agitavano la classe dirigente del nuovo stato nazionale italiano.
  • L’intervento fulmineo (due pagine soltanto!) di Alessandra Lavagnino, parlando del passaggio su Roma dei rondoni americani svolazza (è il caso di dire) tra dati biologici ornitologici e impressioni sentimentali.
  • Dopo quello più corto, ecco l’articolo più lungo della Strenna di quest’anno, quello di Andrea Marini di Subiaco, battuto per la lunghezza, ma solo del cognome dalla Guerrieri Borsoi e dalla Apolloni Ceccarelli. Per leggerlo tutto (e lo abbiamo fatto) ci vuole un interesse numismatico, che io non ho. Però bisogna dire che, intanto il saggio è competentissimo nella materia e dettagliatissimo nei dati. Quindi rappresenta un punto fermo sull’argomento consegnato alla Strenna, che sarà utilizzato da appassionati del genere, ma difficilmente superato. Il tema trattato è la medaglia annuale che il Comune di Roma ha coniato ogni anno nuova per 55 anni. Anche se non si è numismatici, l’articolo è comunque interessante, perché si intreccia con mezzo secolo di storia amministrativa e politica della nostra città. Una foto da segnalare: quella dove il sindaco di Roma Amerigo Petrucci consegna una nuova emissione al presidente del Consiglio Aldo Moro.
  • Con la scusa di un engramma (andatevi a leggere che significa in apertura dell’articolo, non sarò io a dirvelo!) Marco Impiglia traccia il profilo di Sante Bargellini, uno scrittore che ha messo le mani un po’ dappertutto, anche nel giornalismo sportivo. E questo dà modo all’autore di farci scorrazzare per lungo e per largo non solo nella cronaca sportiva dei primi decenni del secolo scorso. Ma non pensate che l’articolo sia solo dedicato allo o meglio agli sport. Se così fosse mi sarebbe piaciuto di meno. La mole di informazioni, di riferimenti di aneddoti e di rimandi è talmente tanta da coinvolgere chiunque. Basti ricordare il primo volo su Roma fatto da Wright nella zona di Centocelle. Di questo articolo, che trasuda conoscenza e competenza della materia, segnalo la grafica affascinante della testata “Lo Stadio”.
  • Con l’intervento di Girolamo Digilio sul poeta Attilio Taggi e con quello di Carolina Marconi, già gioco meglio, in casa, per i miei interessi rivolti alla poesia romanesca. Nel primo saggio si racconta di questo straordinario poeta, che non fu un grande, ma che seppe dare una veste romanesca ai suoi versi in dialetto ciociaro e poi l’autore ricorda pure l’importanza di quei due luoghi ospitali di tutta la poesia dialettale laziale, oltre che romana, mai più ripresi da altri, che furono le due rivistine di Leone Ciprelli: La Voce del Lazio e Ghetanaccio. Invece l’articolo della Marconi mi e ci conduce su un più alto versante, quello della poesia di Mario dell’Arco nei primi preziosi giudizi critici di Antonio Baldini e quindi dall’esame del carteggio fra i due è chiaro che il contenuto verte piuttosto sulla storia della critica letteraria.
  • Straordinariamente accattivante è l’articolo di Giuseppe Ciampaglia sul rapporto fra cinema e aviazione, e potere, e società, aggiungerei io; quasi un percorso parallelo nel momento in cui il regime volle dare un impulso senza pari a entrambi i settori da cui poteva ricavare anche consenso. Due industrie, due culture che si intersecano nella prima metà del Novecento con la storia e con il costume non solo di Roma ma dell’Italia intera. Per le immagini da segnalare sicuramente da vedersi sono le locandine dei film dell’epoca con Amedeo Nazzari nella pellicola Pilota, ma si osservi attentamente anche la particolare grafica di quegli anni nella locandina del film I tre aquilotti. Dopo l’assidua presenza sulla “Strenna” dei saggi di storia della cinematografia, che in passato ci regalava Verdone, diamo senz’altro il benvenuto a Giuseppe.
  • Non vorrei usare aggettivi, ma lo scritto di Letizia Apolloni Ceccarelli è davvero spigliato, fresco, giovanile con quel suo argomentare intorno alla Street Art (una volta si chiamavano murales) la più attuale che c’è o c’è stata a Roma sulla figura di papa Bergoglio. Tante e curiose (effimere, ma ormai affidate alla carta stampata) le fotografie di corredo. Ne segnalo una ma senza far torto alle altre: il bacio del papa angelo a Trump diavolo ripresa su un muro di via Banco di Santo Spirito.
  • Un altro articolo godibile non poco è quello di Marzio Bartoloni, sospeso fra cronaca e costume, che tratta del lavoro fantastico del giornalista disegnatore Mameli (di nome) Barbara (di cognome) ai tempi ormai lontani dei paparazzi a Roma. Le donnine non sono altro che le vignette satiriche, umoristiche, di commento, che Barbara disegnava con un tratto unico e inconfondibile. Per intenderci, un sottoprodotto di quel genere di donnine erano affidate, anno dopo anno, ai calendarietti profumati che ci dava il barbiere a fine anno dopo il taglio di capelli. E grazie per la mancia. Quella di Barbara fu arte e artigianato intellettuale e manuale, condiviso, ad esempio con il primo Fellini giunto a Roma nel dopoguerra, sulle mitiche testate come Marc’Aurelio e Il Travaso.
  • Un altro articolo di costume è il pezzo di Livia Borghetti sulle frequentazioni pittoriche di piazza del Popolo fatte da Livio Apolloni. Una chicca di articolo, che intreccia ricordi personali a fatti che sembrano appartenere a un passato lontanissimo e invece siamo, ahimè, appena negli anni Sessanta del secolo scorso.
  • Oh! Con l’articolo di Marco Onofrio entriamo nelle vicende romane di Pier Paolo Pasolini dal suo arrivo alla sua morte (complice il fatale anniversario in questo 2018), su cui sembra si sia detto tutto. E invece in un articolo ben strutturato l’autore – veleggiando fra storia, letteratura, cronaca, biografia e critica – ci riserva molte, anzi moltissime sorprese romanistiche. Davvero bravo.
  • Dopo Livio Jannattoni è difficile soltanto azzardarsi ad aggiungere qualcosa alla vasta letteratura sulle osterie, caffè e locande romane nell’Ottocento. Ma chi scrive, Pier Andrea de Rosa, è competentissimo nel suo settore e quindi c’è ancora molto da imparare e da scoprire sull’argomento, specialmente se si continua a scavare ulteriormente negli archivi e nella diaristica di quell’epoca. Un’immagine va segnalata assolutamente, perché credo inedita: la rappresentazione del nano di nome Bajocco ritratto in un acquerello su carta al Caffè Nuovo.
  • Aspettavamo al varco Franco Onorati per conoscere il pezzo di quest’anno su chi e su cosa l’avrebbe fatto. Perché credo che ormai sia difficile anche per lui, autorità indiscussa in materia letteraria-musicologica (leggi libretti d’opera) trovare argomenti sempre nuovi, come Strenna comanda, da proporci in versione romanistica, cioè attinenti a Roma. Questa volta è il turno di Charles Gounod, un pezzo scritto come sempre da Franco in punta di penna, ed è un’altra pietra miliare sulla strada ormai solitaria e senza concorrenti per competenza e specializzazione, che tratta di musica e musicisti in rapporto con Roma.
  • L’orfanotrofio di Santa Maria degli Angeli, detto anche di termini, aveva attiva una sua scuola di musica per pueri. Questa è la scoperta di Andrea Panfili, che come spesso accade nelle ricerche archivistiche è casuale. Un fitto carteggio conservato all’Archivio Capitolino mette in luce un aspetto musicale inedito della Roma dell’Ottocento. Tale che ha attirato l’attenzione del noto musicologo Rostirolla. Ma non basta l’autore ci fornisce anche tante notizio di carattere architettonico, storico, artistico, istituzionale sul complesso che va dal 1575 tempo di papa Gregorio, ad alcune parziali demolizioni del 1879 per allargare via Cernaia. Un saggio fitto di informazioni (date, nomi, eventi), che faranno la gioia di chi vorrà utilizzarle da questo momento in poi.
  • Che le guide turistiche, intese non come persone (i ciceroni) ma i baedeker potessero essere personificati Compagni di viaggio ce lo dimostra un grande (forse il più grande) esperto del Grand Tour, interessante non solo per la letteratura, ma per il costume, la storia, i personaggi, i mezzi di viaggio, l’abbigliamento, la gastronomia, di un’epoca fantastica e irripetibile, quando Roma era caput mundi nell’immaginario collettivo degli europei. Il brano denso di riferimenti colti ed eruditi (faccio ancora questa distinzione) è scritto con leggerezza e accattivante bravura. Il lettore non potrà che divertirsi e imparare allo stesso tempo.
  • Gianni Fazzini, parlando della presenza a Roma di Simon Bolivar, anche lui giunto a Roma nello spirito del Grand Tour, che su Montesacro pronunciò nel 1805 il suo celebre giuramento sulla libertà della patria America Latina, coglie l’occasione per parlarci anche di tante altre cose curiose, come della questione dei luoghi/ termini espressivi: Aventino e Montesacro, a partire da Menenio Agrippa con la sua secessione nel 494 a. C. che passò poi nell’improprio termine “aventinismo” dal nome del monte Aventino. Anche qui si accavallano un’infinità di notizie, di curiosità, di scoperte, di citazioni e di ragionamenti, che l’autore dipana senza difficoltà per il lettore, il quale però – avverto – può rimanere come me allibito da tanta conoscenza.
  • Similmente al precedente articolo, anche quello di Rita Giuliani, parlando di Nicolai Gogol a Roma, compie una vasta escursione letteraria con notevole competenza della lingua russa, sulla simbologia criptica, nascosta nella grafica del disegno della copertina del libro Anime morte del 1842. Un grande articolo. Attinente alla romanistica, ma anche alla letteratura russa e alla complessa psicologia di Gogol. Qui l’immagine principe da vedere con attenzione è proprio la copertina a p. 229 con tutti quei disegnini in silhouette fatti da Gogol di cui si parla nel testo.
  • Erede di una sensibilità e di un’attenzione respirate in famiglia rivolte al collezionismo e all’antiquariato, ma con un’aggiunta di femminile curiosità Francesca Di Castro ci prende per mano e ci fa viaggiare nel tempo e nello spazio di un artigianato d’arte assolutamente unico, che è quello delle chiavi per serrature di tesori o d’altro. Un viaggio straordinario, quasi da Indiana Jones, intorno all’Art de Serrurier, dall’Italia alla Francia e oltre, dal Rinascimento a Cambellotti, dai principi ai papi, dagli Strozzi ai Medici, misure, forme, stili, tecniche, materiali, bibliografia… Mai avremmo immaginato un mondo così vasto, curioso e intrigante come quello che si può scoprire intorno alla fattura delle chiavi. E anche qui tutto l’argomentare gira intorno a Roma.
  • “Roma, 21 settembre 1865, un bel giovinetto di 15 anni Vincenzo Ruoppolo di Vico Equense […] a 12 anni aveva sostenuto una tesi di filosofia … e [aveva] una profonda attitudine all’ascetismo (scacciò a sassate una ragazza che lo circuiva)”.  Inquietante per me la figura del giovane padre passionista Vincenzo Ruoppolo in religione fra’ Germano, che appare in prima pagina dell’articolo di Luigi Domacavalli. Inquietante, perché mi appare spiritato, invaso di quella religione fondamentalista e un po’ fanatica della metà dell’Ottocento, quando all’avanzata degli atei francesi in armi i papi elevavano agli altari santi e beati di cui oggi nemmeno ricordiamo i nomi. Eppure questo articolo ci fa respirare un clima di ascetismo e di religiosità, perfettamente còlto dall’autore, che caratterizza un’epoca, una società, un visione del mondo e della storia di cui ci diede un grande saggio Davide Silvagni.
  • Come nella migliore tradizione della Strenna, un articolo che riguarda Roma, non si fa specialistico di un argomento, ma coinvolge il lettore nella molteplicità delle questioni senza annoiarlo. Così fa bene Elisa Debenedetti, quando tratta di una controversia sui disegni del Circo Massimo. Apparentemente roba da esperti. Eppure ci troverete una montagna di curiosità archeologiche, archivistiche e di storia dell’architettura. Lascio al lettore la curiosità di avventurarsi piacevolmente in questa ottocentesca disputa.
  • Altrettanto vale per un altro grande articolo, vuoi per l’estensione, vuoi per gli argomenti toccati, quello di Laura Gigli, fedelmente suffragati da immagini appositamente riprodotte nel libro dell’apparato iconografico e quindi della simbologia dei soggetti religiosi rappresentati nella chiesa di Sant’Agata a Trastevere. Un articolo per storici dell’arte, sì, un pezzo che lascia poco spazio ad altre scoperte e interpretazioni ulteriori, ma che affascina dall’inizio alla fine per la dovizia di citazioni di ragionamenti, di soluzioni. Uno di quegli articoli che danno a chi li scrive una soddisfazione immensa per aver messo a dura prova se stessi in vista di un risultato scientifico impeccabile. Per tutte valgano due immagini a corredo del saggio: la pianta della chiesa (si tratta di un eidotipo) a p. 212 appositamente disegnata dall’arch. Marco Setti, che non pochi problemi ha dato ai redattori e al tipografo in fase di stampa perché apparisse leggibile al massimo e le mammelle di sant’Agata riprodotte su un capitello della chiesa, a p. 207.
  • Un altro saggio di notevole studio e interpretazione di simboli contenuti nelle opere pittoriche, in questo caso barocche, è quello di Marcello Fagiolo, il quale con un piglio giocoso tratta del David dipinto, rispetto a quello scultoreo del Bernini, che si trova a Palazzo Barberini. Lo studio non è soltanto storico critico, che pure è il campo specifico dell’autore, ma anche esegetico nel senso più ampio del termine, cioè attento ai codici linguistici di quella pittura barocca che giocava volentieri con i diversi livelli di lettura e interpretativi. L’autore ricorre anche ad accostamenti al fotodinamismo futurista per meglio far comprendere i particolari, t di Davide e di Golia dipinti nel quadro, trattati credo io in modo inedito e straordinario. Il testo va letto assolutamente e non è facile da sintetizzare in poche righe. Molto conta l’apparato illustrativo di corredo al testo. Fa pendant una nota di Fabio Colonnese sul calcolo dell’altezza di Golia nei quadri di Caravaggio e di Bernini, che è un modo più americano che europeo di affrontare l’esegesi dell’opera d’arte, ma quanto intrigante!
  • Le notizie biografiche sull’architetto Giovanni Paolo Maggi, pittore, incisore, architetto del XVII secolo, scritto da Maria Barbara Guerrieri Borsoi, sono un’occasione per effettuare un’ampia escursione nel campo dell’architettura delle acque durante il Seicento.
  • Due articoli ci portano sul filo dell’architettura e delle opere pubbliche alla Roma a cavallo tra Ottocento e primi Novecento. Il primo dei due è di Romano Bartoloni, che parla del Colosseo di acciaio, altrimenti detto il gazometro dell’Ostiense. Lo tratta come se fosse la biografia di una persona, lo anima, con il suo quartiere intorno di vita propria, elevandolo a simbolo di un’industria e di un’ingegneria, di cui non pensavamo la sonnacchiosa Roma fosse dotata, a partire dalla nascita di una Roma industriale progettata ai tempi di papa Pio IX a seguire fino ad oggi. Due immagini raccomando: la lapide degli operai gasisti trucidati per le loro attività di resistenza agli occupanti tedeschi durante la seconda guerra mondiale a p. 42 e la curiosa vignetta sul Gas-tone di Petrolini a p. 32. L’altro articolo è di Mario Moretti, sull’omonimo ingegnere romano che trasformò Roma Capitale all’indomani del 1870. Un capo ufficio tecnico Municipale geniale e onesto, le cui soluzioni furono di grandissima levatura e che faremmo bene a conoscere per ancor più apprezzare Roma e i romani (almeno quelli del passato).
  • L’articolo di Maurizio Berri tratta delle arti a Roma sul finire dell’Ottocento, in quella Roma umbertina, già decadente della Cronaca Bizantina, nella quale sguazzava in tutti i sensi il giovane Gabriele D’Annunzio. Questa panoramica, piacevolmente osservata, ci fa immergere in quella temperie da Belle époque, tra pittori, come Nino Costa, e architetti, urbanisti, poeti e scrittori. Ci sembrava di saperne abbastanza, invece non si finisce mai di sapere. Un bell’articolo sulla Terza Roma, che bene o male si avviava a diventare Capitale d’Italia, aprendosi alle istanze europee, anche culturali, dopo essersi lasciata alle spalle i ghetti maleodoranti e i suoi 20.000 mendicanti.
  • Una Roma decisamente attuale, quella di Sandro Bari, che nel suo articolo parla d’arte e parla d’amore. Quelli di Pericle Fazzini per un suo grande lavoro (un capolavoro?): la Resurrezione di Cristo. Una enorme istallazione collocata nella Sala Nervi. L’articolo rivela i retroscena di questo capolavoro, dall’ingegnosità e dalla tenacia uniche dello scultore alle soluzioni tecniche (vedi il polistirolo), che solo la genialità italica poteva trovare. Si legge con grande curiosità e si arriva alla fine senza accorgersi di averlo letto tutto d’un colpo. Merito anche della scrittura di Sandro, che rende piacevole, quasi un racconto, una cronaca, anche quello che ormai appartiene alla storia di Roma e alla storia dell’arte. Le immagini, tutte di corredo al testo, sono credo, inedite, o comunque molto poco note. Mi piace quella dell’artista seduto su un blocco di polistirolo sagomato a mo’ di poltrona con l’aria decisamente soddisfatta.
  • Un piccolo capolavoro di ricerca certosina, e di grandi risultati, che lasciano il segno indelebile sta nel documentatissimo profilo biografico di Francesco Scaccioni (chi era costui?) di Alberto Crielesi, non nuovo affatto a scoperte che colmano lacune per altri incolmabili: le date esatte, i luoghi, le attribuzioni di opere, ma soprattutto questa volta un ritratto dell’artista che visse nella prima metà dell’Ottocento e che operò oltre che a Roma, anche ad Albano, nei Castelli Romani, lasciando traccia significativa della sua arte scultorea. Anche qui ci troviamo di fronte a un pezzo che può essere avvincente solo per gli specialisti, ma la scrittura di Alberto semplice e chiara sa catturare la nostra attenzione e comunque rimane per documentazione e per questioni trattate un punto fermo sulla figura dello Scaccioni nell’ambito degli specialisti, di cui la Strenna può essere fiera di essere stata ospitale.
  • Infine, ma non per importanza, l’articolo di Carla Benocci su una consulenza di Gian Lorenzo Bernini per la Villa del Vascello. Si tratta di un nuovo disegno del 1664 relativo al progetto. L’autrice non lascia indietro nulla nel suo studio, esaminando con scrupolosa cura la bibliografia sull’argomento che non è poca, per ricostruire tutto il percorso decisionale e progettuale della realizzazione del fabbricato, a partire dai committenti fino all’esecuzione dei lavori. Anche questo è un bel punto fermo sull’argomento. Delle immagini di corredo sono da vedere i disegni dei prospetti, perché ci rimandano indietro nel tempo, quando si sapevano fare le cose veramente grandi e belle.

 

Anche trattando gli articoli uno per uno, ho soltanto dato una breve notizia, sicuramente incompleta. Soprattutto manca quello che ciascun autore avrebbe da dire sul pezzo, sulle sue scoperte, sull’entusiasmo delle sue ricerche, sulle intenzioni più riposte, sulle peculiarità che avrebbe voluto fossero messe in luce nel corso della presentazione di questa Strenna. Nonostante i vari tentativi, proprio non sono riuscito a trovare un modo per presentare la Strenna di quest’anno. Forse è la prima “non” presentazione della Strenna che sia mai capitata. Scusate.


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