Il sangue di Gesù non mi ha ancora mai deluso

Gavin Bryars - Jesus’ blood never failed me yet (1975/1993). Un barbone in classifica

È venuta a trovarmi una donna che viveva per strada e non vedevo da tempo. Abbiamo chiacchierato; un po’ di conversazione e poi di botto mi chiede: «ma tu preghi per chi non ha casa? per la loro anima? perché molti – mi ha detto lei – sono cattivi». Avevo sempre e solo pensato alle loro necessità umane: vivono l’inferno qui, alcuni di loro lo vivranno anche dopo? L’ho ringraziata. E ho pensato a un disco di vent’anni fa: un’altra epoca; chi ascolterebbe oggi settantatré minuti continui in cui per circa 150 volte viene ripetuta la stessa frase? «Il sangue di Gesù non mi ha ancora mai deluso». Allora fu un successo.

Nel 1971 Gavin Bryars girava a Londra un documentario sui senza fissa dimora alla stazione Waterloo; quando erano ripresi, molti vagabondi si mettevano a cantare canzoni tradizionali o brani d’opera o canzoni oscene: si davano un tono, recitavano una parte, volevano lasciare qualcosa di sé. Uno di questi, un anziano, cantò invece una canzone religiosa che non venne inclusa nel film. La canzone era breve, ma messa a ciclo continuo funzionava. Bastava aggiungerci un’orchestra per farne un disco e Gavin Bryars lo fece. Lo incise nel 1975, ma pochi si accorsero della sua pubblicazione.

Nel 1993 lo reincise; Bryars era ora diventato famoso e il suo stile era di moda. In questa seconda versione il vecchietto canta da solo tra i rumori della metropolitana, ma dopo un paio di minuti circa arriva da lontano un’orchestra che ne avvolge la voce; ora lui è in mezzo a una folla. All’improvviso, quando ormai sei ipnotizzato, arriva la voce cavernosa di Tom Waits: è straziante e confortevole insieme. È un duetto col vecchietto, mentre piano piano gli strumenti si allontanano, la voce si spegne e rimane qualche violino a ricordare che lì c’era qualcuno che, per dare un’immagine di sé a un cineasta di passaggio, aveva cantato di Gesù. Gavin Bryars è membro di un’associazione che ha come scopo prendersi gioco della religione. Brian Eno si dichiara ateo. Tom Waits non si sa. Eppure hanno sentito il fascino di quella voce, di quel canto pieno di fede. E di quella strana frase.

Il sangue di Gesù non ha mai deluso chi lo abbia invocato sulla propria vita: è un’espressione cruda. Per chi ha perso tutto e non ha fede in nulla, la strada è una prigione tra le più dure. Non hai speranza di uscirne; si direbbe: «fine pena: mai»; e Gesù lo bestemmi. Non hai amici, hai solo compagni, finché non ti possono derubare di qualcosa; non hai dignità, chi ti conosce ti chiama per nome e ti dà del tu. Il sangue di Gesù per chi ha fede è invece fonte di speranza, quella del buon ladrone: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno». È uno che si ricorda di te e ti aspetta con piacere, Gesù, e ti dà una meta e una casa verso cui andare. Il sangue di Gesù è segno di dignità, perché si dice che lo abbia sparso per amore tuo: puoi non capire, non sapere cosa significhi, ma capisci di essere prezioso ai suoi occhi, almeno ai suoi. Gesù non si è fatto forte della sua divinità, ha voluto fare la vita che faccio anche io. Si dice che abbia sparso il suo sangue per i tuoi peccati, ma sulla strada i peccati non li conti, ci sei immerso, non hai come evitarli; eppure il suo sangue è stato versato per liberartene e toglierti quella disperazione che porti sulle spalle come una croce.

Questo anziano barbone, grazie a quel sangue, ha vinto, a modo suo, sull’incredulità di molti: centinaia di migliaia di persone che hanno comperato l’album hanno sentito 150 volte ad ogni ascolto quella frase così inusuale, e avranno pensato a lui e a Gesù. Avranno pensato al tanto sangue che si sparge nel mondo per puro odio, e a questo strano sangue che dona il bene. Voglio immaginare ora Gesù e il vecchietto insieme, sorridenti, a canticchiare quel brano vicino a ogni persona senza un tetto e senza una meta in questo mondo, e allora alla fine mi sono ritrovato anch’io a canticchiare: «Jesus’ blood never failed me yet».


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