La tradizione del Mărțișor, simbolo di rinascita, purezza e amore
Dal 2017, Patrimonio immateriale mondiale UNESCOMentre oggi, 1° marzo 2022, l’Accademia di Romania a Roma inaugura la 5^ Mostra Internazionale del Martisor, noi vogliamo svelare ai nostri lettori connazionali una simpatica tradizione dalle radici antichissime e ancora molto cara al popolo romeno.
Tanto cara che proprio ieri sera, al periodico “scannetiello”, il salotto letterario romeno di Tatiana Ciobanu, ci siamo visti appuntare sul risvolto della giacca, un martisor.
Abbiamo così appreso dalle nostre amiche, valenti letterate romene, che il colorito ciondolo è l’emblema della festa dallo stesso nome di Martisor e, giusto come prescrive la tradizione, ci è stato simpaticamente offerto proprio ai primi giorni di marzo, che si voleva fin dal tempo degli antichi romani o forse anche prima, inizio della primavera.
Martisor, ovvero “Marzolino”
Martisor, che è il vezzeggiativo di Marzo, viene tradotto in Marzolino è, mi assicurano, molto atteso perché, con l’inizio della primavera, riprende vita il villaggio, le amicizie si riallacciano e, mentre tutta la natura si riscuote dal letargo invernale, nascono infine nuovi amori.
In questa festosa eccitazione c’è l’uso, anch’esso ancestrale, di donare, il primo di marzo, l’amuleto detto martisor, piccolo ciondolo che porta lo stesso nome della festa.
A scambiarsi i martisori, sono molto attivi i giovani, mentre in alcune regioni della Romania, anche le nonne regalano alle nipoti martisori confezionati con le loro mani, augurando loro fortuna e amore.
Consigliamo a questo punto i maniaci del collezionismo di desistere dal cercare di collezionare martisori, come ha tentato di fare chi scrive, constatata la miriade di forme e materiali ispirata esclusivamente alla fantasia. Però, pur se di forme le più diverse e immaginose, ad identificare questi amuleti c’è una sottile treccina di lana di due soli colori: il bianco e il rosso.
Che siano essi nastrini, fascetti, treccine, fiocchetti od altro, l’imprescindibile è che siano dei due soli colori, il rosso e il bianco intrecciati.
I giovani recentemente hanno preso a donare anche solo un ramoscello di mimosa, ma sempre con annodata la treccina di bianco e rosso.
Feste ancestrali legate alla rinascita della natura
Nell’antica Roma si festeggiava l’inizio dell’anno al primo di marzo. Mese che porta il nome di Marte che non era solo il dio della guerra, ma anche il protettore della campagna e del bestiame, e della rinascita della natura.
Presso i Traci le stesse attribuzioni erano del dio Marsyas Silen (Sileno) figlio di Pan mitico inventore del flauto, il cui culto era legato alla “gleba”, la terra materna, alla vegetazione e quindi anche alla consacrazione delle feste della primavera, dei fiori e della fecondità della natura.
Da scavi archeologici in Romania sono riemersi martisori datati più di 6000 anni, fatti con piccoli sassi di torrente infilati su un filo a mo’ di collana, verniciati di bianco e rosso.
Dove il colore rosso rappresenterebbe il fuoco, il sole, la vita e la donna; il bianco l’acqua, le nuvole e la saggezza dell’uomo; i due colori intrecciati, il vincolo dei due principi femminile e maschile e il ciclo della natura con le sue forze vitali.
Su tutto il territorio romeno, questi colori appaiono ai matrimoni, alla nascita dei bambini. Sempre di bianco e rosso si addobbano le prime pecore che entrano in malga e il primo aratro che esce nel campo.
Il “mărțișor” come simbolo di rinascita, purezza e amore, con le pratiche culturali associate al 1° Marzo sono, dal 2017, Patrimonio mondiale immateriale dell’UNESCO.
Federico Carabetta
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