Le tracce di Pasolini attraverso i quartieri del V Municipio

“Più volte nel pertugio contro il biancore/ della notte che si perdeva/ oltre le Casiline del mondo,/ sparì e riapparve la testa del destino,/ con la dolcezza ora della madre meridionale/ ora del padre alcolizzato, sempre la stessa/ testolina arruffata e polverosa, o già/ composta nella vanità di una giovinezza popolare:/ e io,/ ero coi sensi ad ascoltare/ la voce di un altro amore/ – la vita nei secoli – / che si alzava purissima nel cielo. (P. P. Pasolini, da Una disperata vitalità, nella raccolta Poesia in forma di rosa, 1964)

 

È in Ragazzi di vita, romanzo pubblicato nel 1955, che si possono cogliere, nell’educazione sentimentale e intellettuale di Pier Paolo Pasolini, nonché nel suo patrimonio linguistico e antropologico-culturale, le incancellabili impressioni ed esperienze che, dal momento del suo forzato trasferimento a Roma, egli ha maturato relativamente a: 1) la conoscenza della città e delle sue sterminate periferie (le borgate beduine); 2) la realtà sociale, fortemente differenziata e squilibrata, tra una borghesia rapace e perbenista da una parte, e un proletariato e un sottoproletariato ancora in qualche modo legato ai costumi delle campagne e delle province di provenienza, espressione di quell’“umile Italia” che, un decennio dopo, sarà spazzata via da un turbo-capitalismo omologante, alienante, privo di valori che non siano quelli del profitto e del consumo ossessivo; 3) la prevalente realtà giovanile delle borgate, costituita spesso da ragazzi che vivono alla giornata, disoccupati o occupati in attività precarie e occasionali, e che, pur di sbarcare il lunario, non esitano a compiere piccoli furti e rapine, con l’ovvia conseguenza di periodi più o meno brevi di detenzione nel carcere minorile o a Regina Coeli o a Rebibbia.

I personaggi di Ragazzi di vita non si riconoscono, in genere, attraverso un nome proprio, bensì con un nomignolo (o un diminutivo-vezzeggiativo) spesso derivante da qualche caratteristica o difetto fisico: Riccetto, Lenzetta, Caciotta, Alduccio, Begalone, Sgarone, ecc. Dal punto di vista anagrafico sono adolescenti di 15-16 anni o giovani non ancora maggiorenni (all’epoca la maggiore età si acquisiva a 21 anni), ma già in cammino verso “professioni” che si muovono, pericolosamente, sul limite che separa e insieme collega legalità e delinquenza. La principale loro caratteristica è il continuo, frenetico e nevrotico movimento da un quartiere all’altro, dalla periferia al centro storico, lungo strade consolari e/o per vicoli utili ad evitare loro brutti incontri con le “madame” (forze dell’ordine); un movimento che, per lo più, utilizza gli arti inferiori come mezzo di locomozione, a cagione della totale mancanza di moneta dei loro portafogli e delle loro “saccocce”; un movimento che preferisce le ore notturne per spostarsi da un luogo all’altro, dalle casupole di Ponte Mammolo e Rebibbia a Villa Borghese e a San Giovanni, passando più volte per i quartieri dell’attuale V Municipio: Villa Gordiani, Pigneto, Centocelle, Torpignattara, Quadraro, ecc..

Questa sorta di “moto perpetuo” in orari notturni (le cui fonti ispiratrici sono forse da ricercarsi in romanzi classici come Satyricon di Petronio e Le Metamorfosi di Apuleio, ma anche nei racconti picareschi spagnoli del ‘500 e del ‘600) è causato dalla fame, quella vera dello stomaco da riempire, quella altrettanto reale provocata dalle tempeste ormonali tipicamente adolescenziali, e infine quella suscitata dalla mancanza di quattrini atti a soddisfare tanto la prima quanto la seconda fame. Questa connessione “motoria” tra borgate situate lungo la Tiburtina (Tiburtino III, Ponte Mammolo, Rebibbia), luoghi di residenza dei protagonisti del romanzo, e le borgate e i quartieri che si estendono tra la Prenestina e la Casilina, non è casuale: è la medesima che contrassegnava gli spostamenti di Pasolini tra il 1951 e il 1954.

Via Tagliere 3

Egli, infatti, abitava in quegli anni nella modesta casa di via Tagliere n. 3 a Rebibbia, ma i suoi legami con gli ambienti del proletariato e del sottoproletariato romano erano nati e si erano sviluppati tra la Marranella e Torpignattara, tra il Quarticciolo e il Pigneto, tra Centocelle e la Borgata Gordiani. I suoi ritrovi preferiti erano la pizzeria-trattoria L’Aquila d’Oro a Torpignattara, il baretto Necci al Pigneto, il bar detto della “Pugnalata” alla Marranella (largo Perestrello), i campetti e i prati polverosi e fangosi tra Centocelle e Borgata Gordiani, il “pratone” sulla Casilina (odierno Parco Archeologico di Centocelle) e pochi altri.

Pertanto, non stupisce che i capitoli IV (titolo: Ragazzi di vita) e V (titolo: Le notti calde) del romanzo si svolgano, in un continuo via vai quasi sempre notturno lungo la direttrice costituita da via Acqua Bullicante – via di Torpignattara, tagliata trasversalmente da via Casilina. Il racconto narrato nel Capitolo IV inizia a Tiburtino III, in una bisca clandestina nella quale il Riccetto, insieme ad Amerigo e al Caciotta, perde i pochi soldi che si ritrovava in saccoccia; continua poi con la sua improvvisa e fortunosa separazione dagli altri due compari, proprio alcuni attimi prima che nella bisca irrompano i carabinieri che arrestano sia Amerigo che il Caciotta, e con la sua fuga lungo via Boccaleone e via di Tor Sapienza. Si ritrova così sulla Prenestina dove sale sull’autobus che collega Quarticciolo con Largo Preneste; qui sceso, non sapendo dove andare, viene attratto da una musica, amplificata da un altoparlante, proveniente dalla Marranella. Comincia così a percorrere a piedi via dell’Acqua Bullicante, arrivando fino all’incrocio con via Formia (strada che collegava la malfamata Borgata Gordiani alla Marranella e al retrostante Pigneto).

All’altezza della stradina che voltava in su, tra i muriccioli di due fabbriche, verso la Borgata Gordiani, comparve una fila di ragazzi che se ne venivano avanti, riempiendo la strada quant’era larga, senza fretta, gridando e facendo i malandri, in disordine come uno sciametto di mosche s’un tavolo sporco”. Tra questi “malandri”, Riccetto riconosce un ragazzo che aveva conosciuto la sera prima a Villa Borghese: “Era uno con le labbra carnose e screpolate, e una faccetta da delinquente, sotto la nuca piccola piena di ricci come un cavallo”. È il Lenzetta, nel quale Riccetto trova un nuovo compagno di avventure in una serata nella quale si era ritrovato improvvisamente e disperatamente solo. I due compari decidono così di raggiungere la Casilina, all’altezza del grande quadrivio di piazza della Marranella, e qui si imbattono in una processione religiosa proveniente dalla chiesa di San Marcellino e che, al momento dell’incontro con i due malandri, si era fermata, per una sosta, “all’altezza del cinemetto dei Due Allori …, tutta punticchiata dalle luci rette in mano”.

Cinema Impero anni ’40

Tra i partecipanti alla processione Lenzetta riconosce un ragazzo che interpella con il nomignolo di Mozzone (lo stesso nomignolo con il quale era conosciuto, a Torpignattara, il giovane pittore edile di nome Sergio Citti). A questo punto Riccetto e Lenzetta decidono di tornare indietro, lungo via dell’Acqua Bullicante, per fare una visita alla prostituta Elina, che esercita il mestiere su una specie di montarozzo nei pressi di Largo Preneste. “Chiacchierando si rifecero tutta la via dell’Acqua Bullicante, mentre alle loro spalle le sambe suonate al fonografo e i canti della processione si andavano smorzando. C’era ormai solo qualcuno che tornava dal Preneste o dall’Impero verso la Borgata Gordiani o verso il Pigneto, oppure qualche ubbriaco che rincasava cantando ora Bandiera Rossa ora la Marcia Reale”. Dopo la visita alla Elina, Riccetto e Lenzetta decidono di passare la notte dentro due bidoni “arruzzoniti”, in un recinto costellato di ferrivecchi.

Qualche giorno dopo ritroviamo il Lenzetta, il Riccetto e Alduccio di nuovo alla Marranella – ad un appuntamento fissato in precedenza dal Lenzetta – come base di partenza per andare da lì, a piedi (dopo che già Riccetto e Alduccio, provenienti da Pietralata, si erano fatti quattro chilometri sempre a piedi) fino a via dell’Amba Aradam dove dovrebbero “prelevare”, in un deposito di ferraglia, vario materiale da rivendere ad un ricettatore della Marranella, tale Remo lo stracciarolo. Di conseguenza altri chilometri a piedi fino al luogo individuato, un sopralluogo di perlustrazione del terreno, la decisione di ritornare alla Marranella per chiedere a Remo un triciclo atto al trasporto del materiale da prelevare. Per non ritornare a piedi i tre compari si ritrovano nei giardinetti di via Carlo Felice, davanti alla basilica di San Giovanni, luogo frequentato da omosessuali a caccia di prede giovani e fresche. Grazie ad Alduccio, che si sacrifica per l’occorrenza, riescono a rimediare i pochi spiccioli per ritornare con il tranvetto fino alla Marranella, a casa di Remo. “Remo lo stracciarolo fu un macello. Il triciclo già l’aveva portato a casa, dentro un cortile pieno di gente come un formicaio, al Pigneto, e lui se n’era andato all’osteria”.

In sintesi: i tre malandri, dopo aver concluso un patto con Remo, che prevede che una quota parte del bottino vada allo stracciarolo, ripartono con il veicolo a tre ruote (“piano piano, attento a non farsi urtare, perché alla Maranella lì all’incrocio dell’Acqua Bullicante e la Casilina c’era più via di macchine e di gente che in via Veneto”) per il deposito di via dell’Amba Aradam e mettono a segno il “colpo”, sia pure con impreviste difficoltà che li costringono a darsi ad una fuga precipitosa, questa volta lungo via Appia Nuova fino a giungere all’incrocio con via dell’Arco di Travertino. Durante il percorso, però, fanno conoscenza con un “vecchio” (in realtà un cinquantenne) che essi scambiano per un malandrino della loro risma, con la differenza che si tratta di un padre di famiglia, con ben cinque figlie femmine (questa notizia suscita, ovviamente, l’interesse subitaneo dei tre giovani ladruncoli), costretto a rubare verdure nei vari orti della zona per sfamare la numerosa famiglia.

Ma, a questo punto, Alduccio viene inviato alla Maranella da solo e con la responsabilità della consegna del triciclo, refurtiva compresa, allo stracciarolo, mentre Riccetto e Lenzetta seguono l’anziano Antonio attraverso un percorso che, attraversando il Quadraro passando per Porta Furba e l’Acquedotto Felice (… c’erano qua e là due grandi ammucchiamenti di bicocche di cui, camminando per la strada, si godeva magnificamente la vista. Erano tante casupole rosa o bianche, con in mezzo baracche, catapecchie, carrozzoni di zingari senza ruote …) ha come meta le case popolari di via degli Angeli, dove Antonio ha in affitto un piccolissimo appartamento nel quale ha stipato una famiglia composta da ben sette persone. In questa casa, tra una conversazione e l’altra, Riccetto e Lenzetta fanno la conoscenza delle belle figlie di Antonio e, mossi a compassione dalla miseria nella quale versa la famiglia, al momento del congedo, consegnano ad Antonio i pochi soldi di cui dispongono.

La loro meta è adesso il Bar della Pugnalata, sito in fondo a via della Marranella, in quello slargo denominato Largo Perestrello, davanti al mercatino rionale. Il Bar della Pugnalata diventa così, nei giorni successivi, il punto di ritrovo della nuova compagnia di malandri della quale Riccetto è diventato membro a tutti gli effetti, essendosi nel frattempo fidanzato con la terza figlia di Antonio e avendo trovato un posto di lavoro, come garzone del banco del pesce, nel prospiciente mercatino rionale. Ciò, però, senza rinunciare alle scorribande notturne con gli altri compagni di avventura. Il capitolo delle notti bianche, finisce, dopo l’ennesimo tentativo di furto, con l’arresto di Riccetto e la sua condanna a tre anni di reclusione nel carcere minorile di Porta Portese, e ciò “per imparargli la morale”.

Cinque anni dopo aver pubblicato Ragazzi di vita, Pasolini tornerà a raccontare, nel suo primo film Accattone, le peripezie, lungo i medesimi percorsi periferici di quartieri che cominciano a riempirsi di palazzoni, di quegli ex ragazzi che, non più “pischelli”, sono rimasti tuttavia alle prese con situazioni al limite tra legalità e piccola malavita, situazioni e azioni che hanno come obiettivo la sopravvivenza quotidiana.


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