Le valche al Gianicolo

Piccolo polo industriale in età Romana, poi decaduto, il Colle del Gianicolo dal 1700 al 1861 ospitò mulini e alcuni opifici

Il colle del Gianicolo era stato già in epoca romana un piccolo polo industriale, grazie alla presenza dell’Acquedotto Traianeo costruito nel 109 d.C. dall’imperatore Traiano per rifornire di acqua l’ultima delle quattordici regioni augustee, in cui era divisa la città di Roma: la Regio Transtiberim, zona che si estendeva oltre il Tevere compreso il colle.

Con la caduta dell’impero romano nel V secolo la conduttura fu interrotta, poi ripristinata e, infine, abbandonata nel IX secolo. Nel 1612, però, grazie al restauro dell’acquedotto e all’edificazione della Fontana Paola (entrambi voluti da papa Paolo V Borghese e ultimati simultaneamente, il primo dopo quattro anni e la seconda dagli architetti Giovanni Fontana e Flaminio Ponzio dopo due anni), il polo industriale riprese la sua attività mutando nei settori. Se nel II secolo d. C. l’acqua fornita dal solo acquedotto garantiva la funzione di alcune mole per la macina del grano, dal ‘700 l’acqua fornita anche dalla Fontana Paola permise lo sviluppo di una cartiera, di una ferriera e di alcune valche, per la lavorazione del tessuto (il termine ‘valca’ deriva dalla lingua longobarda in cui “walkan” significa rotolare con riferimento al movimento dei rulli utilizzati per lavare la lana).

Il terreno su cui sorgevano gli opifici costituiva la proprietà dei Padri di San Pietro in Montorio, donata nel 1693 alla Presidenza delle Acque e concessa in enfiteusi a diversi proprietari: una parte a Francesco Maria Vaini, commendatore dell’Ordine dei Santi Lazzaro e Maurizio, che commissionò la costruzione della villa Vaini nel 1705 all’architetto Romano Carapecchia, il quale sottostando ad una serie di obblighi imposti dal Vaticano terminava a stento l’opera. Passata in eredità ad Antonio Vaini, Ammiraglio della Flotta del Sovrano Ordine di Malta, la villa fu oggetto di vendita attraverso diversi proprietari, tra cui nel 1710 il cardinal Pietro Ottoboni, nel 1749 il conte Giraud, poi i soci Bartolomeo Forti e Vincenzo Gaeta, nel 1826 gli eredi Gaeta, nel 1861 Gaetano Papari Venturini.

L’altra parte della proprietà fu concessa a diversi enfiteuti, tra cui, nel 1747 Giovanni Battista Sampieri, nel 1795 Giuseppe Vescovi e nel 1806 Pietro Paolo Papari (1780-1834).

Tre mole preesistenti denominate San Paolino, San Benedetto e San Venanzio, situate lungo il lato sinistro della Via di San Pancrazio in direzione della mostra dell’Acqua Paola, furono installate tra il 1678 e il 1682 da papa Innocenzo IX e concesse in enfiteusi, ad alcuni molinari che contestarono la scarsezza dell’acqua fornita dal Vaticano, la quale danneggiava gli impianti e costringeva gli stessi alle spese di riparazione, restando invariato il canone di locazione.

A queste tre mole si aggiunsero la cartiera e la ferriera richieste a Giovanni Battista Sampieri nel 1747 e quando questi venne meno al divieto di cedere in subappalto gli impianti e di favorire un mercato esterno al concedente, il Vaticano alienò gli opifici a favore dell’impresario Pietro Paolo Papari, per ridurre il credito di 34 mila scudi dovuti alla fornitura dei mezzi di trasporto necessari al passaggio in Italia dell’armata francese. La prima cessione del 1806 all’impresario riguardò le tre mole e la seconda del 1822 la cartiera e la ferriera lasciate in stato fatiscente dal precedente enfiteuta. Con la morte dell’impresario, nel 1835 l’erede fu il nipote Gaetano Venturini Papari il quale nel 1844 acquistò anche le valche costruite nel 1795 da Giuseppe Vescovi, come confermato dall’inventario dell’Eredità Papari Venturini del 1861.

Infine la Villa Vaini, insieme a tutta la serie di edifici e opifici che oggi costituiscono il cosiddetto “Complesso Spagnolo”, fu di proprietà della famiglia Ruspoli che la restaurò nel 1925, e dal 1947 fu eletta dal Governo Spagnolo a residenza del proprio rappresentante diplomatico in Italia.

In conclusione il Gianicolo ebbe il suo massimo splendore come polo industriale soltanto nei due secoli antecedenti il XIX secolo, durante i quali, oltre a produrre il pane, considerato il bene primario per la sussistenza della popolazione romana, ha prodotto anche la carta nei vari formati e spessori, il ferro e la lana. Lo Stato inizialmente assecondò tali attività manifatturiere ma ben presto ne limitò la produzione per mancanza di capitali e ciò si rivelò essere un deficit per la gestione, impoverita dall’impossibilità di competere con gli altri stati europei quali l’Olanda e la Francia, per esempio, che usufruivano di macchinari tecnologicamente più avanzati.

Il tentativo dei due soci Forti e Gaeta che introdussero un macchinario olandese in grado di trasformare l’energia idraulica in energia meccanica, rimase isolato e non fu sufficiente per la mancanza di una mentalità imprenditoriale basata soprattutto sulla capacità gestionale e sulla lungimiranza.

Con l’insorgere delle guerre risorgimentali, che hanno visto il Gianicolo scenario delle battaglie a favore della Repubblica Romana, svoltesi proprio sul dolce promontorio monteverdino, il polo industriale che si era creato cesso definitivamente di esistere.


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