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Martha Argerich in un pirotecnico concerto finale all’Auditorium Parco della Musica

La regina mondiale del pianoforte chiude la stagione con il Secondo concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven e la fantasmagorica Nona Sinfonia. Debutto del giovane direttore Lahav Shani

Martha Argerich (Buenos Aires, 1941), la leggendaria e intramontabile pianista argentina (naturalizzata svizzera), è tornata ad esibirsi a Roma dopo 4 anni e dopo che, nella stagione 2022/2023, aveva dovuto rinunciare ad una sua esibizione, insieme con il Maestro Antonio Pappano, a causa della recrudescenza della sua malattia, contro la quale già da più di un trentennio (nel 1990 le fu diagnosticato un melanoma maligno) combatte vigorosamente e finora vittoriosamente.

La celebre pianista è considerata una delle più autorevoli interpreti della nostra epoca, dotata, oltre che di possibilità tecniche fuori del comune, di grandi qualità evocative e di ricerca timbrica, e capace al tempo stesso di segnare le proprie interpretazioni con leggerezza e spontaneità.

Mi piace ricordare che il suo primo grande maestro di piano fu il crotonese di scuola napoletana Vincenzo Scaramuzza. Ha debuttato in concerto all’età di otto anni. Dopo il suo trasferimento in Europa con la famiglia nel 1955, studiò prima in Austria per poi seguire, in Italia, i corsi di perfezionamento di Arturo Benedetti Michelangeli nel 1960. Nel 1965 vinse il Concorso Chopin di Varsavia.

Da allora ha avuto inizio una carriera concertistica che l’ha condotta sul podio dei più celebri teatri e sale da concerto di tutte le principali città del mondo, mietendo successi e riconoscimenti che nessun altro pianista, probabilmente, anche se d’altissimo livello, ha mai ottenuto. E tutto ciò a dispetto (o forse anche per reazione) della presenza aggressiva di una malattia che non le ha dato se non brevi periodi di tregua. Martha Argerich è giustamente considerata la più grande pianista vivente e interprete di riferimento per il repertorio pianistico del XIX e XX secolo. A Santa Cecilia ha debuttato nel 1978 e nel 1997 è stata nominata accademica.

Il concerto da lei eseguito questa sera (secondo concerto per pianoforte e orchestra di Ludwig van Beethoven) considerato il n.1 come anno di composizione dei concerti scritti da Beethoven per pianoforte, entra di prepotenza tra i migliori componimenti per tale strumento. Esso segue le tematiche e gli schemi formali già tracciati da Franz Joseph Haydn e da Wolfgang Amadeus Mozart (sicuramente mozartiano è il primo movimento, Allegro con brio) a fine secolo XVIII.

Con tutta probabilità esso fu composto tra il 1787 e il 1789 ma la sua prima esecuzione in pubblico avvenne il 29 marzo del 1795, al Burgtheater di Vienna, ed ebbe Antonio Salieri (il celebre compositore italiano al quale fu ingiustamente attribuita la morte per avvelenamento di Mozart) come direttore d’orchestra e lo stesso Beethoven, all’epoca venticinquenne, come pianista. Venne successivamente rielaborato e riproposto a Praga nel 1798 per poi subire un’altra correzione nel 1801 ed è, quest’ultima, quella definitivamente giunta a noi.

Martha Argerich – per un pubblico che ha riempito tutti i posti disponibili della Sala Santa Cecilia acquistando e esaurendo i biglietti fin da gennaio scorso – ha eseguito tutti e tre i movimenti del secondo concerto beethoveniano con una levità e con una grazia veramente inaudite, rendendo al massimo grado le modulazioni, le sospensioni, la cadenza in stile di recitativo della parte finale, duettando con lirico e a volte giocoso trasporto con l’orchestra, ed entusiasmando così tutto il foltissimo pubblico presente in sala (con una massiccia rappresentanza giovanile) fino all’inverosimile; un pubblico che, alla fine dell’esibizione, ha tributato alla celeberrima artista un’autentica ovazione di fragorosissimi e inarrestabili applausi, restando in piedi per parecchi minuti.

Una prima parte del concerto, quindi, letteralmente dominata dalla straripante presenza della regina mondiale del pianoforte e, di conseguenza, poco si è notato l’apporto indispensabile e decisivo dell’orchestra, diretta magistralmente dal giovane (35 anni appena) direttore israeliano Lahav Shani, pupillo di Zubin Metha e di Daniel Barenboim, dal 2020 direttore musicale della Israel Philharmonic e recentemente nominato Direttore principale dei Münchner Philharmoniker; per la prima volta sul podio di Santa Cecilia, ha avuto di mostrare la sua immensa bravura nella seconda e più lunga parte del concerto di questa sera, dedicata all’esecuzione del capolavoro beethoveniano: la universalmente nota e amatissima Nona sinfonia, detta “La Corale”, partorita dal genio di Bonn nel 1824, quando era già completamente sordo.

Quest’opera, che rappresenta il culmine e l’irrangiungibile vetta dell’arte sinfonica di tutti i tempi, ha da poco compiuto duecento anni dalla prima esecuzione avvenuta al Kärntnertortheater di Vienna, dove oggi sorge l’Hotel Sacher, il 7 maggio 1824. Con essa Beethoven realizzò il sogno di mettere in musica, nel suo quarto lunghissimo movimento, l’Inno alla gioia di Friedrich Schiller, pubblicato nel 1786, che esalta i valori illuministici di libertà e fratellanza.

Il musicista, ormai completamente sordo, non si rese subito conto dell’entusiasmo in sala dopo la première, finché non fu fatto voltare verso il pubblico dal mezzosoprano Caroline Unger e vide gli spettatori commossi sventolare i fazzoletti bianchi.

Lo stesso entusiasmo lo si è visto questa sera, al termine dei settanta minuti circa della sua esecuzione da parte di un’orchestra di Santa Cecilia al gran completo e di un altrettanto amplissimo e agguerrito Coro dell’Accademia magistralmente diretto dal Maestro Andrea Secchi; all’Orchestra e al Coro si sono aggiunte le potenti (e imponenti) quattro voci soliste: Chen Reiss (soprano), Okka von der Damerau (mezzosoprano), Siyabonga Maqungo (tenore) e Giorgi Manoshvili (basso).

Orchestra, Coro e voci soliste guidate con sicurezza, e con “comandi” insieme potenti e soavi, dal Direttore Lahav Shani che sicuramente rivedremo volentieri fin dalla prossima stagione sullo stesso podio. Un’esecuzione, questa della celeberrima “Corale”, che conclude degnamente, e al massimo livello espressivo, una stagione 2023/2024 che non era cominciata molto bene ma che, nel corso del tempo, ha acquistato via via forza e, soprattutto, consensi, con un pubblico sempre crescente e motivato e con un repertorio di opere e di interpreti di indiscutibile qualità.

Con questo ultimo scoppiettante ed entusiasmante concerto, l’Accademia di Santa Cecilia ci dà appuntamento alla prossima e si spera mirabile stagione 2024-2025.


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4 commenti su “Martha Argerich in un pirotecnico concerto finale all’Auditorium Parco della Musica

  1. Non ho potuto fare a meno di emozionarmi senza riuscire a frenare lacrime di gioia per tanta bellezza esecutiva .

  2. Quello di Schiller non è un inno, ma un’ode. È una differenza importante, in quanto l’ispirazione musicale del maturo Beethoven è il suo tributo alla esaltazione laica della gioia, come è di Schiller, cui insieme sublima il sentimento universale che ci rende partecipi della realtà a noi intorno, senza travisamenti di religioni, di ideologie politiche o di supremazie culturali.

  3. Su you tube ancora si dovrebbe trovare Chopin suonato da Martha giovanissima che si commuove suonando il finale. Penso che il miracolo di questa donna sia tutto in quelle lacrime… Che non riesco a non condividere ogni volta che l Scolto.

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