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Memoria bianca e migrante: i primi 49 bianchi sudafricani arrivano negli USA come “rifugiati”

Ma non è un’”anomalia” nella politica antimmigrazione dell’attuale Amministrazione Trump

Essereliberi non significa solo sbarazzarsi delle proprie catene, ma vivere in un modo che rispetta e valorizza la libertà degli altri.” (Nelson Mandela, 1918-2913)
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“Quando i missionari giunsero nelle nostre terre africane tenevano la Bibbia in mano e ci dicevano di pregare. Riaperti gli occhi, eravamo noi a tenere la Bibbia in mano e loro a  possedere le nostre terre.” (Desmond Tutu,1931-2021, primo Arcivescovo Anglicano nero del Sudafrica e attivista per i diritti umani dei “coloured” del suo Paese)
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Il Sudafrica Paese del “Genocidio bianco”?

Ci sono notizie che ti fanno pensare come davvero il mondo si stia rivoltando sottosopra. La notizia che 49 bianchi sudafricani (noti anche come “afrikaner”) sono arrivati negli USA per chiedere asilo come rifugiati è una di queste, possibilità gentilmente offerta dall’attale governo USA che per niente si accosta alla deportazione di alcuni altri non bianchi a cui abbiamo assistiti tempo addietro.

Questo arrivo è stato considerato da molti come un’”anomalia” nella politica antimmigrazione dell’attuale Amministrazione USA (di solito la procedura di ingresso degli immigrati negli States dura dai 18 ai 24 mesi, questi afrikaner ce ne hanno messi solo 3). Ma io non direi. Infatti si dice dalle mie parti “tra cani nun se mozzicheno” e questi 49 individui dalla pelle bianca sono certamente ben accetti da Trump e dai suoi accoliti che considerano il Sudafrica (da quando è governato dalla maggioranza nera, i coloured) un inferno per i bianchi che vivono lì, tanto che Elon Musk – che da quel Paese è emigrato negli Stati Uniti nel 1995 – ha definito il Sudafrica un “non paese” nel quale sarebbe in atto un “genocidio dei bianchi”.

L’odore (o se preferite la puzza) dei soldi

E’ qualche tempo che Elon Musk – il potente Capo del Doge che ha licenziato un considerevole numero di dipendenti federali USA accusati di “battere la fiacca” – è scomparso dai radar della politica americana e starebbe meditando di lasciare il posto che occupa nell’Amministrazione Trump. Il motivo? La sua Tesla è quasi sull’orlo del fallimento (-50 % delle vendite in California e -60% in Europa) e sebbene Musk sia l’uomo più ricco del mondo, il tracollo economico della sua Azienda certamente lo spaventa di più delle maledizioni certamente inviate al suo indirizzo dai dipendenti pubblici da lui mandati a casa (senza stipendio e/o pensione).

“Pecunia non olet”, dicevano i Latini, ma certamente quello che puzza dalle parti di Musk e soci è ben altro e quel fetore è difficile da far sparire o mascherare e anche se puoi permetterti di comprare quello che vuoi,  un prodotto per coprire quel fetore non lo hanno ancora inventato in nessuna parte del mondo.

Al riguardo, così scrive Marina Catucci su Il Manifesto del 13 Maggio scorso:

È CHIARO che per Trump esistono due diverse tipologie di richiedenti asilo: i sudafricani discendenti principalmente dai coloni olandesi, bianchi come l’amico Elon Musk, e il resto del mondo.

Proprio mentre i 49 cittadini sudafricani atterravano a Washington, la segretaria alla Sicurezza interna, Kristi Noem, annunciava formalmente che l’amministrazione Trump porrà fine allo status di protezione temporanea voluto dal presidente Joe Biden dopo la caduta del governo di Kabul per gli afghani che si trovano negli Stati uniti. Noem ha affermato che «la sicurezza dell’Afghanistan ora è migliorata, la sua economia si è stabilizzata e niente impedisce più ai cittadini afghani di tornare nel loro Paese d’origine».

Per tutti i migranti, inoltre, la Casa bianca sta considerando la sospensione dell’habeas corpus, la procedura legale che consente alle persone di contestare la propria detenzione in tribunale. Si tratta, come ha confermato l’assistente di Trump Stephen Miller, di una risposta alle ingiunzioni dei tribunali contro le azioni del presidente in materia di deportazioni ed espulsioni. La Costituzione però chiarisce che la sospensione dell’habeas corpus deve essere riservata a casi di insurrezione o invasione che rappresentano delle «gravi minacce alla sicurezza pubblica».

Una mossa simile da parte del governo verrebbe sicuramente contestata in tribunale ma, almeno per un po’, la sospensione dell’habeas corpus potrebbe essenzialmente consentire all’amministrazione Trump di arrestare e deportare arbitrariamente le persone senza fornire giustificazioni.“.

Mandela (e Tutu) l’Apatheid e il Sudafrica

27 anni sono davvero tanti, rifletteteci un po’. Nelson Mandela, uno dei componenti più importanti dell’ANC (African National Congress, partito politico di centro-sinistra) e già membro fondatore della sezione giovanile del partito (ANC Youth League), subì tra il 1955 e il 1962 diversi arresti dovuti alla sua lotta contro l’apartheid, il regime di segregazione razziale nei confronti dei neri (i “coloured”) portato avanti dal partito al potere (dal 1948), il National Party, il partito dei Boeri bianchi (gli “afrikaaner”).

Mandela, che inizialmente aveva provato, insieme ai militanti del proprio Partito, a proporre politiche di antirazzismo basate sulla non-violenza, dovrà poi ricorrere all’azione “clandestina” quando il proprio Partito verrà messo al bando dal governo. Essendo illegale il partito, era abbastanza facile incastrarne i dirigenti e i militanti per portarli in carcere: Nelson Mandela, con altri compagni, fu arrestato con l’accusa di alto tradimento(era fuggito dal Paese verso l’Inghilterra, sotto falso nome, per ottenere supporto per una eventuale lotta armata), di sabotaggi e di incitamento alla lotta degli operai sudafricani.

Ho lottato contro la dominazione bianca, e ho lottato contro la dominazione nera. Ho amato l’ideale di una libera e democratica società nella quale tutte le persone vivono insieme in armonia e con le stesse possibilità. È un ideale per cui spero di vivere e di raggiungere. Ma se ci dovesse essere bisogno, è un ideale per cui sarei pronto a morire.” (Nelson Mandela, “Speech from the Dock”, 20 Aprile 1964)

Infine tornò in Patria fu arrestato e si fece bel 27 anni di carcere, pur essendo stato insignito nel 1983, del Premio Nobel per la Pace.

Apartheid”: voce della lingua afrikaans, ramo dell’olandese parlato dai coloni bianchi nell’Africa meridionale (misto con l’inglese e le lingue locali); composto da: “apart” = “separato”, probabilmente a sua volta dal francese: à part, a parte, e dal suffisso “-heid” che denota uno stato o una condizione. Il termine “apartheid” indica quindi uno stato o una condizione di segregazione razziale attivo, in particolare, nella Repubblica Sudafricana.

Era la politica (ora formalmente abolita) messa in atto dal governo dopo il 1948, nei confronti dei cittadini di colore, caratterizzata da una serie di Leggi che regolavano la separazione sociale, residenziale, economica e politica tra il gruppo bianco e quello di colore, con il fine ultimo del mantenimento della supremazia bianca e dello sviluppo di comunità separate relativamente autonome, controllate dal governo sudafricano.

Il termine è stato anche usato per indicare la politica della Rhodesia nei confronti della popolazione di colore, dopo la proclamazione d’indipendenza del 1965. Per estensione, il termine “apartheid” indica qualsiasi tipo di emarginazione attuato nei confronti di persone o gruppi considerati diversi o inferiori.

Insieme a lui lottava Desmond Tutu, primo Arcivescovo anglicani nero del Paese e Premio Nobel per la Pace 1984. Il Governo bianco sudafricano non ebbe il coraggio di arrestarlo, ma nel 1980 arrivò a ritirargli il passaporto. Riacquistata la possibilità di viaggiare Tutu continuò la sua lotta non violenta al fianco di Nelson Mandela che nel 1994 fu eletto Presidente del Sudafrica nelle prime Elezioni a suffragio universale tenute nel Paese, carica che tenne fino al 1999.

Un consiglio musicale: per gli amanti del Jazz il consiglio è quello di ascoltare o ri-ascoltare il 33giri del trombettista e compositore jazz Miles Davis (1926-1991)intitolato “Tutu” e dedicato all’Arcivescovo anglicano di cui sopra. L’Album, Etichetta Warner Records, è stato pubblicato nel 1986 e raggiunse la prima posizione nella Classifica Jazz Albums statunitense e nel 1987 fece vincere a Davis il “Grammy Award for Best Improvised Jazz Solo”. Qui, il brano intitolato appunto “Tutu”: https://youtu.be/0Jnqz62d9oM  .

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Da quel 1994 il Sudafrica è governato dalla maggioranza nera del Paese e la destra mondiale ha iniziato a “fare caciara” su di un presunto quanto irreale “genocidio” della minoranza bianca che abita il Paese. Mai parola fu utilizzata più a sproposito. Al riguardo, è interessante leggere il pezzo che trovate riportato integralmente sotto. Lo ha scritto il 4 Febbraio 2020. Andrea Virga – Classe 1987, Laureato in Filosofia e Storia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e Docente di queste Materie nei Licei – per l’Osservatorio Globalizzazione.

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Il mito razzista del “genocidio dei bianchi” in Sudafrica

Torna sulle nostre colonne Andrea Virga, che oggi sulle nostre colonne confuta il mito secondo cui, dopo la fine dell’Apartheid, il Sudafrica avrebbe conosciuto un vero e proprio “genocidio” della minoranza bianca.

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La fine del regime d’apartheid in Sudafrica è stata conseguenza di un lungo scontro politico interno al Paese, a sua volta strettamente connesso alla decolonizzazione violenta dei Paesi dell’Africa meridionale: Angola, Mozambico, Zambia e Zimbabwe (Rhodesia). La fine della Guerra Fredda e il collasso del blocco sovietico portarono ad una generale stabilizzazione dell’area, dopo circa un quarto di secolo di conflitti anticoloniali.

Negli ultimi trent’anni, la  stampa di destra  ha insistito sulle conseguenze catastrofiche di questo evento, sia dal punto di vista economico che sociale. Questa narrativa, che riprende quella dei Conservatori sudafricani, contrari alle riforme varate dal Presidente de Klerk, unisce, alla solita retorica anticomunista, una forte componente razzista, secondo la quale le popolazioni africane indigene sarebbero intrinsecamente incapaci di governare efficientemente e avrebbero quindi peggiorato le loro condizioni di vita rispetto al periodo dell’apartheid. Queste tesi, oltre ad essere moralmente disgustose, sono anche – come vedremo – smentite dai fatti. Questo non significa, naturalmente, che il Sudafrica non abbia effettivamente dei gravi problemi sociali ed economici. Tuttavia, il quadro reale resta ben diverso dalle esagerazioni della propaganda colonialista e neofascista.

Prima di tutto, occorre chiarire come il rivoluzionario socialista Nelson Mandela non abbia dato luogo a nessuna rivoluzione. Tra il 1992 e il 1996 ha avuto luogo essenzialmente un compromesso tra le vecchie élite bianche, rappresentate dal National Party, e le nuove élite nere, rappresentate dall’African National Congress: mentre le prime hanno essenzialmente conservato il proprio potere economico, le seconde hanno monopolizzato, sulla base del proprio netto vantaggio demografico, il potere politico, con le relative prebende. Da quando è al governo, l’ANC ha adottato politiche economiche neoliberali e ha marginalizzato gli esponenti più radicali, come Winnie Mandela e Julius Malema. Anche la Commissione per la Verità e la Riconciliazione è stata fortemente criticata per le sue misure giudicate eccessivamente blande.

Dal punto di vista economico occorre tenere presente che il Paese era stato duramente colpito dalle sanzioni (inflazione a doppia cifra per tutti gli anni ’80), e aveva accumulato un forte debito pubblico (48%). Negli anni successivi, la situazione macroeconomica è da principio migliorata notevolmente: l’inflazione è stata ridotta a un minimo dell’1,4% (2004) e il debito pubblico al 26% (2008).

Con la Grande Recessione e la Presidenza Zuma, la situazione è di nuovo peggiorata. Tuttavia, il Paese non ha mai smesso di crescere. Rispetto al 1990, a parità di potere d’acquisto il PIL complessivo è più che triplicato, e quello pro capite è più che raddoppiato[1]. Sono aumentate anche le riserve di valuta estera, grazie all’esportazione di materie prime, ed è cresciuto anche il settore manifatturiero, specie nel settore automobilistico, anche se resta minoritario[2].

Nel frattempo, è cresciuta anche la popolazione (da 36 a 57 milioni in trent’anni), per cui il tasso di disoccupazione è comunque aumentato. Le diseguaglianze sociali restano impressionanti, anche perché, come è stato detto, i rapporti di proprietà preesistenti non sono stati pressoché intaccati.

Dunque, a fronte dell’affermazione di una consistente borghesia nera (i “Black Diamonds”), oltre metà della popolazione rimane sotto la soglia di povertà, come nel 1990[3]. Di conseguenza, gli indici di criminalità restano estremamente alti. Tuttavia, è dagli anni ’60 che il tasso di omicidi è superiore ai 30 su 100.000.

Era aumentato vertiginosamente dal 1978, fino a toccare l’apice nel 1993 (oltre 66 su 100.000), dimezzandosi poi nel corso degli anni ’90[4]. Inoltre, i crimini commessi tra neri all’interno dei Bantustan erano normalmente esclusi dalle statistiche, il che aumenterebbe ulteriormente il tasso di omicidi durante il periodo dell’apartheid.

Il contesto è indubbiamente problematico, anche rispetto ad altri Paesi in via di sviluppo, tuttavia la minoranza bianca resta a tutti gli effetti privilegiata. Rispetto al 1994, nonostante i proclami sulla riforma agraria, la percentuale di terre private possedute dai bianchi è scesa appena dall’85% al 72%[5].

In termini economici, il reddito famigliare medio è tuttora molte volte quello di una famiglia nera (oltre sei volte nel censimento 2011)[6]. Anche le percentuali di poveri e di disoccupati tra i bianchi sono nettamente inferiori rispetto alla media. Inoltre, nonostante la politica sia ora dominata dalla maggioranza nera, l’ANC ha sempre avuto militanti ed esponenti bianchi, che trovano rappresentanza tra le fila della maggioranza e del governo.

Questi dati smentiscono la retorica vittimistica sposata da molti Afrikaner, i quali pretendono addirittura di essere considerati i veri indigeni, rispetto alle popolazioni nere. In realtà, all’arrivo dei primo coloni, nel XVII secolo, nella regione del Capo, erano già presenti popolazioni ottentotte, mentre popolazioni bantu erano già stanziate nelle regioni più a est, dove invece i boeri si stabilirono solo due secoli dopo, con il Grande Trek.

Non è un caso che la gran parte dell’emigrazione bianca (800.000 persone) sia avvenuta tra il 1995 e il 1996, subito dopo il cambio di regime, sulla base di pregiudizi più che di reali mutamenti socioeconomici. Attualmente, invece, la tendenza sembra essersi invertita e stanno ritornando, nell’ordine delle centinaia di migliaia[7].

Veniamo infine all’argomento principe della tesi del White Genocide: i c.d. farm attacks, cioè gli attacchi alle fattorie abitate da boeri. Il tasso di criminalità violenta in Sud Africa è spaventosamente elevato (circa 20.000 omicidi l’anno), ma i bianchi ne sono colpiti in percentuale molto inferiore alla media[8]. La stragrande maggioranza dei crimini avviene, infatti, tra neri poveri.

Gli attacchi alle fattorie, inoltre, oltre ad essere in diminuzione rispetto agli anni precedenti, costituiscono una minima parte di questi crimini. Infatti, persino secondo l’organizzazione afrikaner Afriforum, nel 2018 ci sarebbero stati 433 attacchi e 54 morti. Inoltre, questi attacchi sarebbero quasi sempre a scopo di rapina, tant’è che ne restano vittima anche i braccianti neri[9].

Pertanto – anche se non c’è dubbio che permangano forti tensioni razziali, come lascito avvelenato dell’apartheid, ed è comprensibile, seppur non condivisibile, che molti Afrikaner si risentano del fatto di non poter più spadroneggiare impunemente– la realtà dei fatti, nutrita da freddi dati statistici e non da aneddoti sensazionalistici, mostra come, lungi dall’essere perseguitati, i bianchi sudafricani continuino a vivere molto meglio dei loro compatrioti di diversa etnia.

[1] International Monetary Fund.

[2] The Observatory of Economic Complexity.

[3] World Bank Open Data.

[4] Cfr. Anine Kriegler–Mark Shaw, A Citizen’s Guide to Crime Trends in South Africa, Jonathan Ball Publishers, Johannesburg 2016.

[5] https://www.washingtontimes.com/news/2018/aug/20/south-africa-begins-seizing-white-owned-farms/

[6] https://www.pewresearch.org/fact-tank/2013/12/06/chart-of-the-week-how-south-africa-changed-and-didnt-over-mandelas-lifetime/

[7] https://www.bbc.com/news/world-africa-27252307

[8] https://africacheck.org/reports/are-white-afrikaners-really-being-killed-like-flies/

[9] https://africacheck.org/factsheets/factsheet-statistics-farm-attacks-murders-sa/

Fonte: https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/il-mito-razzista-del-genocidio-dei-bianchi-in-sudafrica/


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