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Ma mi faccia il piacere!

Sabato 10 settembre su “la Repubblica” si è fatto risentire, risentito, il Presidente emerito Giorgio Napolitano. Intervistato in modo genuflesso dal direttore Mauro Calabresi, in ossequio alla nuova linea editoriale di marca renziana del giornale fondato da Scalfari.

Per chi, come me, è stato un estimatore in anni ormai lontani di Napolitano dirigente comunista, le affermazioni dell’ex Presidente sulla situazione italiana sono apparse particolarmente penose e non veritiere. Vediamone alcune riguardo al referendum e alla legge elettorale.

Giorgio+ Napolitano
Giorgio+ Napolitano

Napolitano.“Noto prima di tutto che si è parlato poco del fatto che le firme per chiedere il referendum le hanno raccolte i fautori del sì mentre quelli del no non hanno avuto la forza di raggiungere il numero minimo. Forse c’è anche da riflettere se fu giusto prevedere nell’apposita mozione parlamentare, con l’accordo del governo Letta/Quagliariello, la facoltà di sottoporre comunque a referendum il testo di riforma che fosse stato approvato”.

Che ci sia stato un governo Letta/Quagliariello è cosa che mi è sfuggita. Ma può essere un senso di pudore di Napolitano che gli ha impedito di nominare il contraente forte del governo Letta: Berlusconi. La cosa che appare grave è il dubbio circa “la facoltà di sottoporre comunque a referendum il testo di riforma che fosse stato approvato”. La Costituzione vigente dice in proposito all’art 138: “Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”. Vero è che per accelerare il tutto, il governo Letta contemplò, addirittura con apposita riforma costituzionale, anche un accorciamento dei tempi previsti dal 138 e per controbilanciare fece la promessa di cui si lamenta Napolitano. Curioso è che la prevista, e non graziosamente concessa dal sovrano, consultazione popolare venga ritenuta un errore. Non dovrebbe, poi, sfuggire al nostro che se fossero state necessarie, mancando il quinto dei deputati richiedenti, le 500 mila firme popolari sarebbero state sicuramente raccolte.

Napolitano. “Peraltro oggi non si tratta solo, nel porvi mano, di recuperare un abnorme ritardo ma di vedere come è ridotto il nostro quadro istituzionale per non averlo riformato prima. In particolare come è stato mortificato il Parlamento, e stravolto il processo legislativo, da pesanti, croniche forzature. Questa riforma ne può consentire il superamento, e rappresenta oggi, specie per questo, una priorità e un’urgenza”

La mortificazione del Parlamento e lo stravolgimento del processo legislativo nasce dalla degenerazione dei partiti non dalla Costituzione vigente. Se si legge come il procedimento legislativo viene riformato e ripartito fra Camera e Senato nell’art.70, si vede agevolmente che si aggiunge confusione e farraginosità costituzionale a confusione e inanità dei partiti in tempi di trasformismo dominante. E questi nobili risultati non sono una priorità e manco un’urgenza

Napolitano. “Non si dicano altre falsità su come è stato avviato quel progetto: sono state le Camere che a schiacciante maggioranza, il 29 maggio 2013 (era allora in carica il governo Letta) hanno ‘impegnato il governo a presentare alle Camere un disegno di legge costituzionale’ di cui la mozione parlamentare aveva indicato finalità e obbiettivi. Renzi ha ricevuto il testimone e non ha dunque con una scelta arbitraria calpestato il Parlamento”.

Cioè il governo di larghe intese Letta-Berlusconi, fortemente voluto da Napolitano, si è fatto votare in Parlamento una mozione dalla sua maggioranza che lo impegnava ecc. ecc.. Con l’assenso del Presidente rieletto che, “non si dicano falsità” per l’appunto, è stato il deus ex machina di tutta l’operazione fin da prima della sua rielezione, quando, per tenere Bersani a bagnomaria dopo le elezioni “non vinte”, fece la famosa commissione dei 10 saggi che previdero nelle loro schede anche alcune modifiche costituzionali. I saggi poi divennero 40 con il governo Letta per redigere la riforma della seconda parte della Costituzione entro 18 mesi. Quindi, per essere veritieri, la riforma è politicamente non solo di origine governativa ma anche presidenziale. Renzi ha solo seguito, con i suoi modi spavaldi, un cammino già tracciato. Con tanti saluti allo spirito costituente.

Poi Napolitano parla di rivedere la legge elettorale: “Perché – dice – rispetto a due anni fa lo scenario politico risulta mutato in Italia come in Europa. Ci sono nuovi partiti, alcuni dei quali in forte ascesa che hanno rotto il gioco di governo tra due schieramenti, con il rischio che vada al ballottaggio previsto dall’Italicum e vinca chi al primo turno ha ricevuto una base troppo scarsa di legittimazione col voto popolare. Si rischia di consegnare il 54% dei seggi a chi al primo turno ha preso molto meno del 40% dei voti. Ritengo che questi e altri aspetti dell’Italicum meritino di essere riconsiderati”.

In verità lo scenario politico con la nascita del tripolarismo era già mutato tre anni fa alle elezioni politiche del 2013. L’Italicum è stato partorito dal governo Renzi con due voti di fiducia, tra cui quello decisivo del Senato col concorso del centrodestra, regnante Napolitano. Anche se il terzo voto di fiducia fu messo nel passaggio definitivo alla Camera il 28 aprile dell’anno scorso e la firma da Presidente ce la mise Mattarella. Il punto, sempre per non essere spacciatori di fandonie, è che l’establishment napolitaniano ha creduto che il M5s elettoralmente fosse un fenomeno passeggero, oscurato definitivamente dal 41% ottenuto da Renzi alle elezioni europee (quel “due anni fa” al posto di tre è voce dal sen fuggita) e, quindi, non particolarmente minaccioso. “Il rischio di consegnare il 54% dei seggi a chi al primo turno ha preso molto meno del 40%” c’era anche prima dei risultati delle ultime elezioni amministrative e degli ultimi sondaggi. Oggi, di fronte a ben altro scenario, il sospetto è che si cambi idea per convenienza politica non per amore della democrazia. Tanto è vero che Napolitano mette in primo piano solo la questione, pur vera in sé, del meccanismo premiale maggioritario. Non solleva l’altra grave questione: i deputati nominati attraverso il meccanismo dei capilista che fanno del Parlamento un organo essenzialmente di nominati come il porcellum. Infatti, sul famigerato “combinato-disposto”, più volte ricordato da Scalfari, dice di non aver mai creduto “all’effetto perverso congiunto che scatterebbe tra la riforma costituzionale e l’Italicum”. Poi, però, contraddittoriamente ma, c’è da dire, positivamente, sollecita Renzi a prendere l’iniziativa appoggiandosi alle proposte di cambiamento avanzate da Speranza.

Per tornare al referendum. “Restituiamo allora – dice infine Napolitano – una misura al confronto sul referendum. E non facciamo prevalere riserve specifiche anche comprensibili sulle novità sostanziali della riforma: ricordiamoci lo spirito che condusse una larghissima maggioranza ad approvare la Carta nell’Assemblea Costituente nonostante su punti non da poco molti avessero forti riserve”.

Ma come si fa a richiamare lo spirito che informò un’assemblea legittima creata solo per redigere la nostra Costituzione con quello che è accaduto oggi, anche per precipua responsabilità del Presidente emerito che ha fatto finta di non capire la sentenza della Corte costituzionale che nel gennaio del 2014 dichiarava incostituzionale il porcellum che aveva generato il Parlamento? Come si fa a far finta di niente di fronte al fatto corposo di un parlamento non legittimato politicamente erto ad assemblea costituente, una maggioranza illegittima che riforma parti decisive della Costituzione su mandato del governo e – lo ha detto Renzi – del Presidente della Repubblica, una riforma non condivisa nel Paese e nello stesso Parlamento di nominati, mentre si giudicano le corpose obiezioni dei contrari come impuntature di dettaglio, sofismi di professori, quisquilie di eccentrici? E poi ci si lamenta della “guerra” in corso, degli animi accesi, del deficit di responsabilità e della “capacità di elevarsi”, delle vedute corte ecc. .

“Ma mi faccia il piacere!”, direbbe Totò


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