Olivier Messiaen – Quatuor pour la fin du Temps

Dove trionfa il male, può nascere la bellezza e la speranza?
Olivier Messiaen, per chi ama la musica classica, è un nome che non ha bisogno di presentazioni: compositore originalissimo, fervente cattolico, maestro di compositori come Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen e Iannis Xenakis, ha scritto alcune delle pagine più importanti della musica. Ed è nel momento di più profondo buio della sua esistenza che ha composto la sua più bella opera.

Nel 1939 era stato chiamato alle armi, ma fu presto catturato dai nazisti e portato nel campo di prigionia Stalag VIII/A.
Immaginatevi lo stupore dei soldati quando gli aprirono lo zainetto e lo trovarono pieno di spartiti di Bach, Beethoven, Ravel e Stravinskij. Saputo così che era un compositore, gli concessero carta e matite per continuare a comporre. Al campo di concentramento aveva a disposizione anche un pianoforte in pessime condizioni e vi trovò un violinista, un clarinettista ed Etienne Pasquier, violoncellista del Trio d’archi più famoso dell’epoca.
È un quartetto alquanto eterogeneo, ma fu per necessità che compose per questo organico il Quatuor pour la fin du Temps. 

In quel periodo Messiaen cercava una musica che esprimesse le vette del sentimento umano e riteneva che la tradizionale struttura ingabbiata in battute regolari fosse insufficiente.
L’effetto contemplativo veniva quindi raggiunto in lui tramite l’utilizzo di modelli ritmici non tradizionali e armonie non tonali e statiche come quelle della musica orientale.
Non era musica di facile ascolto, la sua, ma era di grande fascino e originalità.

Con tanto di permesso del comando tedesco, i quattro prigionieri di guerra francesi potettero eseguire il lavoro davanti a cinquemila internati, oltre a diverse decine di militari nazisti: un pubblico piuttosto eterogeneo. Ci fu un silenzio perfetto da parte di tutti. Il linguaggio musicale era alquanto complesso, ma tutti ascoltarono con partecipazione, cogliendo la grandezza del momento e la sincerità del messaggio. Alcuni anni dopo Messiaen stesso dirà: «Non sono mai stato ascoltato con tanta attenzione e comprensione». Era il 15 gennaio 1941.

Il titolo del quartetto si riferiva all’Apocalisse. Prima dell’esecuzione Messiaen spiegò il libro biblico a internati e nazisti non come annuncio di una catastrofe, ma come rivelazione di una nuova dimensione della vita, e spiegò che la sua musica era «essenzialmente immateriale, spirituale, cattolica». E così, in perfetto silenzio, diverse decine di nazisti ebbero una lunga e dettagliata catechesi biblica su Dio e l’eternità.

Gli otto movimenti di cui è composto il quartetto sono tutti splendidi, ma alcuni di questi raggiungono vette sublimi. Il primo movimento è il risveglio degli uccelli all’alba: su di un glissando di armonici di violoncello e sull’ostinato ritmico del pianoforte, si eleva una melodia lontana e nostalgica da parte del clarinetto e del violino; nel secondo movimento il violino e il violoncello, insieme in sordina, espongono una lunga dolcissima frase, accompagnati da «dolci cascate di accordi blu-arancio» da parte del pianoforte; nel terzo movimento il clarinetto descrive da solo l’esuberante canto degli uccelli che simboleggiano, secondo l’autore, il nostro desiderio di luce e di stelle; nel bellissimo movimento finale la splendida melodia intonata dal violino accompagnata dal pianoforte pare un raggio di luce, un messaggio di speranza sorto dagli orrori della prigionia.

Spiegò Messiaen in un’intervista anni dopo: «Le arti, e specialmente la musica, ci permettono di penetrare in campi che sono al di là della realtà sensibile, ma che non sono irreali. Per l’artista, sono i campi della poesia, della fantasia, del sogno; per il cristiano è il campo della fede: “Beati coloro che credono senza aver visto”. Essi non hanno visto, ma hanno la segreta intuizione di ciò che non vedono. Io penso che la musica sia capace di esprimere, più di altre arti, questo aspetto dell’aldilà, di ciò che è al di là del reale. Ed è capace di esprimerlo per difetto di verità, cioè proprio perché ci offre soltanto un’immagine simbolica di quell’altra realtà. Dio solo è l’unica realtà, talmente vera che oltrepassa ogni verit໹.

Certo Messiaen non ha combattuto per la libertà dal nazifascismo con atti eroici in combattimento, ma ha offerto bellezza dove vigeva orrore, speranza dove abbondava disperazione, armonia dove regnava violenza e sopraffazione. Ha dato al mondo un motivo per combattere il male che dilagava. Si racconta che durante la guerra sia stato proposto a Winston Churchill di ridurre i fondi destinati alla cultura per finanziare l’esercito. Churchill avrebbe replicato: “Ma allora per cosa combattiamo?”. Poco importa che l’aneddoto sia vero o falso, fa comunque riflettere. Un altro dei più grandi compositori, anch’egli sinceramente cattolico, Anton Bruckner (1824-1896), disse una volta: «Quando Dio mi chiamerà un giorno e mi chiederà che cosa ho fatto dei talenti che mi ha dato, io alzerò davanti a lui la partitura del mio Te Deum ed egli certo mi giudicherà benignamente»².

Non siamo chiamati tutti a combattere in trincea o a fare atti eroici di offerta della nostra vita. Tutti però possiamo sviluppare, ciascuno a suo modo, quell’anelito di bellezza e verità che portiamo dentro. Un mondo che ha bisogno di eroi è un mondo in perenne guerra. Abbiamo bisogno di portatori di bellezza e verità, abbiamo bisogno di nutrirci di arte e amicizia, perché dove queste prevalgono, l’orrore e la menzogna non riescono a mettere radici. Tante anime generose hanno combattuto per la libertà, gli artisti hanno dato loro il motivo per farlo.

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1 Riportato in Musique et couleur, Paris 1986, pagina 163.

2 in R. Venditti, Piccola guida alla grande musica, vol. IV, Casale Monferrato 2011, pagina 123.


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