Municipi: Roma
Pasolini, a 47 anni dalla sua tragica morte
(Un mio articolo sulla Rivista La Fionda, da oggi in libreria in formato cartaceo, dedicato al 47esimo anniversario della tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini)
L’eredità di Pasolini a 47 anni dalla sua tragica scomparsa. Consumismo, mutazione antropologica e disastro ecologico nell’ultimo Pasolini
2 novembre 2022
Questo 2 novembre 2022 sono esattamente 47 anni dalla tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini, uno dei maggiori intellettuali italiani del secolo XX. Una ricorrenza che, in questo 2022, acquista un particolare risalto, considerata la sua coincidenza con il centenario della nascita del poeta, scrittore e cineasta di Casarsa della Delizia, come egli stesso si è sempre presentato benché nativo di Bologna.
Ho avuto la fortuna, nella primavera del 2018, di soffermarmi davanti alla sua tomba, nel cimitero della cittadina friulana, subito dopo aver visitato, nel centro, la palazzina che ospita i libri, le carte, le lettere, i mobili e gli oggetti a lui appartenuti e che è sede del Centro Studi Pier Paolo Pasolini. Una benemerita istituzione, quest’ultima, impegnata nell’organizzazione periodica di mostre, convegni, rassegne ed eventi a lui dedicati. Da allora ho dedicato molto del mio tempo e dei miei sforzi alla rilettura e all’approfondimento delle opere pasoliniane, al rivedere periodicamente le sue pellicole, ad acquistare e leggere le opere critiche e biografiche pubblicate, nel corso degli anni, su Pasolini. In questo 2022, inoltre, non ho fatto altro che dare impulso, organizzare, partecipare, presiedere, assistere, visitare, scrivere articoli, organizzare mostre per tenere viva la sua memoria, soprattutto tra i giovani studenti, ecc.; insomma posso dire di essere stato coinvolto in una moltitudine di eventi celebrativi del centenario della sua nascita. Sono così intervenuto su vari aspetti della sua vasta e multiforme opera: poetica, narrativa, cinematografica, critico-artistica, di polemica politica e, infine, filosofico-religiosa.
La mutazione antropologica
In questo breve articolo vorrei, invece, ritornare, per l’ennesima volta e anche alla luce di alcuni eventi recenti più o meno di rilevante entità, come la pandemia, la guerra russo-ucraina e, “dulcis in fundo” (si fa per dire), l’infausto esito delle elezioni politiche italiane, sulla questione che, più di altre, angustiava l’intellettuale Pasolini negli ultimi anni della sua esistenza. Mi riferisco, in particolare, alla sua denuncia (sparsa in una moltitudine di articoli, molti dei quali raccolti nel volume Scritti corsari) dell’iperconsumismo indotto dagli sviluppi incontrollati e incontrollabili di un turbocapitalismo che, già a partire dalla metà degli anni sessanta, cominciava a determinare quella “mutazione antropologica” (o processo di “omologazione”) nella coscienza, nei modelli di vita e nei comportamenti delle masse popolari (segnatamente in quelle giovanili), tanto che, già allora ma in misura di gran lunga maggiore oggi, risulta difficilissimo quando non impossibile distinguere tra un giovane borghese e un giovane proletario o sottoproletario, tra un europeo e un asiatico, tra un abitante di una grande città e uno di una cittadina e di un piccolo paese di campagna.
A determinare quella mutazione antropologica, secondo il grande poeta e cineasta, sarebbe stato
“… un potere che mi è difficile definire: ma di cui sono certo che è il più violento e totalitario che ci sia mai stato: esso cambia la natura della gente, entra nel più profondo delle coscienze …”.Un potere che si serve di uno strumento ormai penetrato in tutte le case, soprattutto nelle case dei ceti più umili: la televisione. È questo nuovo potere che, servendosi della televisione come arma impropria di distruzione di massa di un’umanità “altra” (il mondo contadino, gli operai delle fabbriche che lottano per l’avvento di una società socialista, il sottoproletariato urbano), ha uniformato ed ha omologato comportamenti, stili di vita, tradizioni, linguaggi, modi di essere. “Oggi anche nelle città dell’Occidente … camminando per le strade si è colpiti dall’uniformità della folla: anche qui non si nota più alcuna differenza sostanziale, tra i passanti (soprattutto giovani) nel modo di vestire, nel modo di camminare, nel modo di essere seri, nel modo di sorridere, nel modo di gestire, insomma nel modo di comportarsi”.
L’omologazione
Ma dove, soprattutto, è palese e indubitabile questa uniformità? È nei consumi che essa si evidenzia nel migliore dei modi, anzi, per dir meglio: nell’ansia dei consumi.
“L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero: perché questo è l’ordine che egli ha inconsciamente ricevuto, e a cui “deve” obbedire, a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L’uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una “falsa” eguaglianza ricevuta in regalo”.
E, subito dopo, Pasolini aggiunge quali sono le principali caratteristiche di questa pseudo-eguaglianza: la fossilizzazione del linguaggio verbale (un’intuizione, questa, di tipo profetico, da parte di una persona che non aveva nessuna esperienza del linguaggio dei futuri social e delle chat) e la tristezza, cioè l’altra faccia (quella nascosta) di un’allegria “sempre esagerata, ostentata, aggressiva, offensiva”.
Le osservazioni sulla mutazione antropologica si collegano, nell’ultimo Pasolini, alla dicotomia, all’insanabile contraddizione, tra Sviluppo e Progresso: il primo è quello che si materializza attraverso una crescita esponenziale ma insostenibile di merci da consumare, che trasforma tutti gli uomini in soggetti di consumo, in fedeli adoratori della merce (il feticismo della merce, di marxiana memoria); il secondo è quello rappresentato da una moltitudine di uomini liberi perché diversi gli uni rispetto agli altri, coscienti, responsabili, amanti della cultura, preoccupati del degrado ambientale, alla ricerca della felicità individuale in un quadro di benessere sociale. Essi sono due fenomeni apparentemente simili, ma in realtà opposti.
“La tecnologia ha creato la possibilità di una industrializzazione praticamente illimitata, e i cui caratteri sono ormai in concreto transnazionali. I consumatori di beni superflui sono, da parte loro, irrazionalmente e inconsapevolmente d’accordo nel volere lo sviluppo (questo sviluppo) … Chi vuole, invece, il progresso? Lo vogliono coloro che non hanno interessi immediati da soddisfare … Il progresso è dunque una nozione ideale (sociale e politica): là dove lo sviluppo è un fatto pragmatico ed economico”.
Lo Sviluppo, secondo il Pasolini dei primi anni Settanta, ha prodotto conseguenze disastrose, tanto a livello di campagna (tutti i contadini, almeno quelli rimasti a lavorare nei campi, tendono ad assomigliare sempre più agli abitanti delle città, nella mentalità e nel modo di agire che, poi, si riduce quest’ultimo ai modi di consumare), quanto nelle realtà urbane, nelle quali si riducono le distanze tra giovani “borgatari” e giovani appartenenti alle classi più elevate. Pasolini pensava, ovviamente, al destino dei giovani sottoproletari romani, sempre più lontani dalla “purezza” originaria e sempre più segnati dalla protervia, dalla cattiveria, dalla volontà di far soldi nei modi più facili e rapidi: una gioventù “orribile” (i vari Pelosi, Braciola e Bracioletta, ecc.), che lo scrittore non poteva però fare a meno di frequentare e che sarebbe stata la causa principale della sua rovina.
Nell’ultimo Pasolini non troviamo soltanto una riflessione sulle conseguenze umane e sociali della nuova società consumistica e omologante; è possibile individuare, accanto ad essa, un’intuizione della catastrofe ecologica alla quale lo Sviluppo stava trascinando, a grandi tappe, l’intero pianeta.
“L’articolo sulle lucciole”
L’articolo sulle lucciole, apparso il primo febbraio 1975 sul Corriere, rivela la profonda preoccupazione, se non addirittura l’angoscia, da lui provata di fronte alle condizioni ambientali che, da un decennio, risultavano in continuo peggioramento:
“Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a sparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta)”.
Non si può, di fronte a simili affermazioni, frutto di analisi ma anche di intuizioni profetiche, non rimanere stupefatti di fronte alla lungimiranza e alla capacità di pre-veggenza di cui dà prova il pensatore Pasolini; non si può, d’altra parte, separare il pensatore dall’artista. Le ultime opere artistiche pasoliniane (in particolare l’incompiuto romanzo Petrolio, l’appena abbozzata Divina Mimesis e il suo ultimo film Salò) riflettono quella cupa percezione della realtà, effetto della mutazione antropologica più volte richiamata, che angosciò gli ultimi anni di vita del poeta, inducendolo a considerare la morte, la propria morte, e la tragica modalità di essa, come evento incombente e imminente.
La vitalità e l’attualità del suo pensiero
Ricordare Pasolini, a 47 anni dalla sua tragica ed ancora misteriosa scomparsa, significa – anche alla luce delle gravissime emergenze che stiamo vivendo – prendere atto, ancora una volta, della vitalità e dell’attualità del suo pensiero, un pensiero che sostiene come solido fondamento (fenomeno comune a tutti i grandi artisti) la qualità estetica delle sue opere narrative, poetiche, cinematografiche, tutte da considerarsi quali pietre miliari della cultura dell’Italia (e non soltanto dell’Italia, ma dell’intero Occidente) moderna e contemporanea.
N.B. le citazioni pasoliniane sono tratte dagli articoli: “L’articolo sulle lucciole”, “Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”, “Ampliamento del bozzetto sulla rivoluzione antropologica”; articoli raccolti nel volume Scritti corsari, edito da Garzanti editore.
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