

L’introduzione degli alimenti e la loro trasformazione in molecole che forniscono energia è una delle funzioni fondamentali dell’organismo umano. Per questo viene elaborato lo stimolo della fame che dovrebbe essere l’unico impulso che spinge a cercare il cibo.
Questo aspetto va tenuto presente e, in un certo qual senso, fa comprendere perché, ancora oggi, ci sono persone nelle quali l’impulso a introdurre cibo è così forte da vincere la loro consapevolezza del fatto che mangiando troppo alimentano un eccesso di peso che, a sua volta, provocherà alterazioni metaboliche potenzialmente all’origine di malattie che mettono a rischio la sopravvivenza.
Per mantenere un corretto bilancio energetico, ciascun individuo dovrebbe alimentarsi seguendo i cicli della fame e della sazietà, che si sviluppano durante la giornata. A generare lo stimolo della fame e la percezione della sazietà contribuiscono numerosi meccanismi nervosi e ormonali che si attivano, sia a livello del sistema nervoso centrale, che in organi e tessuti periferici che sono strettamente correlati fra loro. I mediatori coinvolti sono numerosi e, a rendere difficile la loro comprensione, c’è il fatto che molte delle conoscenze disponibili derivano da studi su modelli animali. Questi non sempre sono applicabili in maniera diretta alla fisiologia umana, ma sono fondamentali per comprendere alcuni passaggi della regolazione dell’assunzione del cibo.
Il cosiddetto “centro della fame” è costituito da un nucleo di neuroni localizzati nella parte laterale dell’ipotalamo e il “centro della sazietà” risiede in un’area, di un nucleo denominato “ventromediale”, sempre dell’ipotalamo. Sono i messaggi che provengono da quest’ultima area che riducono l’appetito, producendo appunto il senso di sazietà.
Sul bilancio fra fame e sazietà influisce la liberazione, da parte di altre parti del cervello, di mediatori come dopamina, noradrenalina e serotonina. Fra di essi, la serotonina, in particolare, contribuisce allo sviluppo del senso di sazietà.
Gli stimoli e i messaggi che arrivano ai neuroni dei centri di fame e sazietà sono sia “biologici” che “sensoriali”.
Tra gli altri ormoni coinvolti in questo processo e che risultano essere fondamentali, troviamo:
Tuttavia, spesso si tende a dare più importanza ai meccanismi biologici e sensoriali che modulano l’assunzione del cibo, mentre si considerano meno gli stimoli cognitivi e le emozioni che la influenzano. Invece, nelle società più sviluppate, come e quanto si mangia dipende quasi più da questi ultimi, che non dai primi. Infatti, l’ambiente facilita l’accesso al cibo e anzi lo stimola, con un’offerta sempre più pressante.
Nelle strade delle città gli esercizi che vendono gelati, panini e pizze si alternano a ristoranti, osterie e bar nei quali si può mangiare di tutto. Nei supermercati vengono messe in atto strategie che hanno l’obiettivo di far riempire i carrelli di cibi ad alto contenuto di calorie e più graditi al palato.
Il fattore economico, cioè la capacità di acquisto da parte dei consumatori, può non costituire un limite all’assunzione di calorie in eccesso, perché il prezzo degli alimenti meno sani e più ricchi di calorie, può essere, in proporzione, più basso di quello dei cibi sani e meno calorici.
La gran parte dei cittadini dei paesi più sviluppati, vive quindi in un ambiente per certi versi “ostile” al mantenimento di una corretta introduzione di calorie e dovrebbe fare affidamento sui meccanismi descritti in precedenza che dovrebbero segnalare quanto e cosa è necessario mangiare e ciò che è di troppo.
Nella realtà già solo la visione di un cibo particolarmente gradito induce la liberazione nel sistema nervoso centrale di mediatori come la dopamina e le endorfine che spingono a consumarlo, anche a prescindere dal fatto che l’organismo abbia la necessità di introdurlo.
Una volta assaporato, un cibo particolarmente gradito trasmette una sensazione di piacere e di appagamento che spingerà a cercarlo di nuovo in futuro.
Ovviamente questo non si verifica in tutti, ma certamente in molte persone, soprattutto in quei soggetti che tendono a compensare situazioni di stress e alterazioni del tono dell’umore con la gratificazione che dà il cibo, la quale si tramuterà in una vera e propria dipendenza, oppure privandosene parzialmente o completamente.
Dunque, non si mangia solo per fattori fisiologici: chi più, chi meno, ma tutti hanno vissuto l’esperienza di avvicinarci al cibo anche per cause di tipo emotivo. Questo accade ogni volta che mangiamo in cerca di un conforto, per abbassare i livelli di stress o per premiarci, ed in psicologia questo tipo di processo viene definito “coping” (l’insieme dei meccanismi messi in atto per fronteggiare le situazioni di vita stressanti).
Non è un comportamento nocivo in sé, ma comincia ad esserlo quando diviene l’unica (o la principale) strategia per gestire le emozioni. Infatti, un’alimentazione dettata da cause emotive non solo non risolve il problema scatenante il coping, ma aggiunge emozioni spiacevoli come senso di colpa, vergogna, frustrazione, fallimento.
Tutto questo mangiare non biologicamente controllato può essere definito come “fame emotiva”, la quale si può distinguere da quella fisiologica per una serie di caratteristiche:
Per approfondimento:
https://www.facebook.com/BONUMVITAENUTRIZIONE
Dottor Emanuele Fanella, Biologo nutrizionista – Dottor Perlini Diego, Tecnologo alimentare
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