“Perché parliamo di diritto al cibo?” – Presentata la campagna dell’Osservatorio Insicurezza e povertà alimentare

Il diritto al cibo e il benessere alimentare non contemplati in norme o Costituzione. Mappata tutta l'area della ex provincia di Roma, maggior disagio a Roma Est. L'importanza del volontariato

Si è svolto giovedì 22 giugno 2023 presso “Campo Ricerca” – uno spazio di coworking gestito dall’associazione “Scomodo” dedicato alla ricerca – un incontro organizzato dall’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare per la presentazione del progetto di ricerca promosso da CURSA (Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente) e Città metropolitana di Roma Capitale per il sostegno della campagna “Diritto al Cibo!”

L’incapacità di permettersi un quantitativo di cibo di qualità

L’incontro è stato coordinato da Francesca Felici, ricercatrice del CURSA, che si occupa da tempo di povertà alimentare, tramite il lavoro svolto nell’Osservatorio costituito un anno e mezzo fa partendo da un progetto che il professor Davide Marino ha lanciato sull’analisi del sistema alimentare a livello metropolitano di Roma.
Il tema chiave delle analisi, la povertà alimentare, è appunto definita come l’incapacità di potersi permettere un quantitativo di cibo che sia anche di qualità.
L’osservatorio, come illustrato dalla dottoressa Felici, ha analizzato i dati del territorio metropolitano, dai quali è emersa una forte presenza di quartieri in cui la povertà alimentare risulta elevata, mappando contemporaneamente l’accessibilità alimentare in base alla presenza di punti vendita nel territorio, sia per numero che per tipologia di esercizi.
Parallelamente l’osservatorio ha analizzato il sistema dell’assistenza alimentare su Roma, ivi incluse le politiche attualmente adottate per contrastare la povertà alimentare e quali le associazioni presenti sul tema.

Il diritto al cibo

Il professor Davide Marino, Professore Associato di Economia ed Estimo Rurale presso il Dipartimento di Bioscienze e Territorio dell’Università del Molise nonché direttore scientifico dell’osservatorio, è entrato nello specifico delle analisi presentate, soffermandosi sul perché ci si concentra sul concetto di “diritto al cibo”.

Le mappe

Il gruppo di ricerca è partito da un lavoro di mappatura complessiva del sistema agroalimentare a scala metropolitana (inclusivo quindi dei 121 comuni della ex provincia), che si è poi sostanziata in un atlante del cibo, con circa 200 cartografie con cui sono stati rappresentati la produzione in tutti i suoi aspetti, la distribuzione, fino all’aspetto del consumo dal punto di vista territoriale.

Nella mappatura si è iniziato dall’aiuto alimentare, definendo il numero di persone che in generale vengono aiutate, dove ciò avviene, l’obiettivo di aiuto e da chi questo aiuto viene messo in pratica.
Il secondo stadio è stato quello di misurare il fenomeno, creando un nuovo indicatore di “accessibilità al cibo sano”, partendo dalle linee guida nutrizionistiche che individuano una ipotetica dieta sana.

A Roma Est più disagio

La domanda è stata: ma quanto costa effettivamente fare un tipo di dieta considerata sana?
E questa cifra come si rapporta a quanto realmente viene speso per il cibo?
” ha detto il professor Marino “Se prendiamo i dati ISTAT, una famiglia italiana mediamente spende per il cibo meno del 18% del proprio reddito.
Comparando quanto viene speso e quanto dovrebbe essere speso per una dieta sana abbiamo elaborato tramite tale indicatore dei dati che hanno grande variabilità in base alle zone della città, che ovviamente sono molto in linea con la distribuzione territoriale del reddito medio, nonché del disagio non solo alimentare ma anche per altri aspetti quale quello energetico o educativo, con una maggiore concentrazione di tali situazioni di disagio nella zona di Roma Est
.”

Il lavoro dell’Osservatorio non si è fermato all’analisi dell’accessibilità economica, ma ha affrontato anche quello dell’insicurezza alimentare, che si traduce nel mangiare male, e che ha come ricaduta il fatto che i bambini italiani sono in media i più obesi di Europa, che significherà avere un maggior numero di adulti obesi in futuro, con tutte le conseguenze sanitarie collegate ad una conseguente spesa sanitaria molto elevata.

Il diritto al cibo e il benessere alimentare non contemplati in norme o Costituzione

Parliamo di insicurezza alimentare” ha proseguito Marino “perché la sicurezza non è soltanto economica ma anche culturale e di contesto, come ad esempio quella dovuta alla presenza di negozi e centri dove è possibile acquistare cibo. Ci sono zone di Roma e dell’area metropolitana dove c’è una rarefazione dell’accessibilità fisica al cibo e ci sono aree dove non ci sono neanche associazioni che si occupano di supportare i bisogni alimentari.”

Il professor Marino ha concluso la sua presentazione ricordando che le conclusioni dell’Osservatorio hanno incluso la proposta di 10 raccomandazioni per i policy makers, tra le quali al primo posto la necessità di inserire il diritto al cibo nello statuto del comune di Roma Capitale e della Città Metropolitana, perché molti diritti – anche se spesso non attuati – sono almeno scritti in norme o nella Costituzione, mentre il diritto al cibo ed al benessere alimentare non sono menzionati in alcun modo e quindi per questo non risultano al centro del dibattito politico.

Politiche di contrasto alla povertà

Ospite dell’incontro il Professor Andrea Ciarini che insegna Sociologia Economica e Sociologia del Welfare presso l’Università La Sapienza, che ha portato un contributo in materia non sotto il punto di vista della povertà alimentare ma sotto quello – strettamente connesso – delle politiche di contrasto alla povertà, avendo fatto parte oltretutto della commissione di valutazione del Reddito di Cittadinanza, presieduta dalla Professoressa Chiara Saraceno.
Proprio partendo dal RdC, per il quale la Commissione aveva presentato 10 proposte migliorative, il Professor Ciarini ha ripercorso l’evoluzione che ha portato all’introduzione di uno strumento che ha definito come la prima vera grande misura di contrasto alla povertà di cui si è dotato il nostro paese.

Il RdC nel suo breve periodo di esistenza ha sicuramente funzionato per il contrasto alla povertà, come riconosciuto in un report di Bankitalia, secondo cui è stato non solo strumento di contrasto ma anche stabilizzatore del reddito, con un’importante funzione di tenuta del tessuto economico, visto che si cresce non solo con l’export ma anche con la domanda interna” ha detto Ciarini, che si è soffermato sugli elementi che, d’altro canto, non hanno funzionato e sui quali ci si doveva concentrare per il miglioramento dello strumento.
Ciò che sicuramente non ha funzionato sono state sicuramente le politiche attive del lavoro, perché anche concentrandoci solo sugli attivabili, parliamo di persone che hanno pesanti fragilità, motivo per cui non è automatico il binomio sussidio-reinserimento lavorativo; parliamo spesso di persone che hanno lavorato poco, che hanno bassi livelli di scolarità, che hanno avuto carriere professionali molto intermittenti e precarie” ha detto il professore, che si è soffermato anche su un’altra carenza del RdC, ossia la mancata integrazione con altri tipi di interventi sociali.
La povertà non è solo un problema di mancanza di reddito, ma è molto legata anche alla salute, alla scuola, alla possibilità di alimentarsi, ossia tutta una serie di servizi sociali integrati che all’estero spesso fanno parte di un pacchetto unico di misure di contrasto alla povertà. Tali carenze risulteranno decisamente più gravose ora che lo strumento è stato dismesso da una riforma che sostituisce lo strumento unico con due strumenti distinti: l’assegno di inclusione per i così detti nuclei familiari “non attivabili”, concetto nella realtà molto difficile da mettere in pratica (come si stabilisce se un nucleo composto da diverse persone con diverse capacità e conoscenze sia attivabile o meno); il sostegno per la formazione e il lavoro, che è uno strumento temporaneo di 12 mesi che dovrebbe accompagnare i beneficiari nel rientro nel mercato del lavoro con corsi di formazione, come se i corsi non fossero già stati previsti col RdC, con sussidi alle imprese che assumono come anche qui già previsto dal RdC, tutte misure che non hanno funzionato neanche in precedenza”.
In particolare Ciarini ha ricordato che il motivo spesso è che le aziende non cercano quei profili, che sono talmente fragili e bassi che anche in presenza di incentivi le imprese non hanno interesse ad assumere.
Secondo l’ufficio di bilancio della Camera si ipotizzano con la nuova riforma 400.000 nuclei familiari in meno presi in carico dal nuovo assegno di inclusione (-33,6%) – comprensivi di 157.000 che beneficiavano del RdC pur lavorando per via del basso reddito, ovvero i “working poor” – e 50.000 nuovi nuclei presi in carico per l’intervento sulla residenza, per evitare una procedura di infrazione UE (nessun paese UE aveva previsto un criterio di residenza così alto).
In tutto questo quadro, Ciarini ha voluto ricordare quindi, nel vuoto dell’intervento pubblico, l’importanza dei movimenti che si muovono per organizzare risposte che non ci sono, creando un mutualismo di gruppi di cittadini che si autorganizzano su determinati bisogni specifici.

Le associazioni di volontariato

E proprio in tema di movimenti che vanno a supportare questo vuoto di attività da parte dello Stato, si è andato ad inserire l’intervento di Sara Fiordaliso di Nonna Roma, una delle associazioni che in questi anni si è costantemente spesa sul tema della povertà alimentare nel territorio capitolino.

Le associazioni rappresentano un secondo welfare, laddove il sistema non riesce ad arrivare. Andiamo a colmare delle carenze di un sistema frammentato che non riesce ad essere efficace, ma noi non possiamo e non dobbiamo pensare di essere universalistici nell’aiuto.” ha detto la Fiordaliso “Cerchiamo di ricostruire anche la struttura psicologica di chiede aiuto, che spesso prova vergogna o si trova in grande difficoltà per le richieste che si trova a fare, come ad esempio l’attività di emporio che restituisce una parte di dignità e consapevolezza decisionale alle persone che possono così scegliere discrezionalmente ciò di cui hanno bisogno. Ci sono poi molte situazioni che vanno ad aggravare i singoli nuclei per problemi abitativi, educativi, molte famiglie numerose, molti immigrati.
Dal punto di vista del cibo, gli utenti mettono al primo posto bollette ed affitti, quindi col residuo comprano cibo di scarsa qualità, con assenza totale di carne, pesce e fresco
.”

L’attivista di Nonna Roma ha quindi concluso prevedendo come l’abolizione del RdC potrà costituire un effetto dirompente a cascata verso gli utenti che le associazioni di volontariato stanno supportando in questi anni, ricordando che il volontariato e l’associazionismo rappresentano un supporto, ma non la soluzione al problema della povertà. Soluzione che, come ripreso dagli interventi di tutti i presenti, non può che essere costituita da uno strumento universale di sostegno al reddito, unico elemento in grado di livellare verso l’alto tutte quelle famiglie che, in alternativa non potranno che vedere un quotidiano allontanamento dagli standard minimi della “sicurezza alimentare”.


Questo articolo è stato utile o interessante?
Sostieni Abitarearoma clicca qui! ↙

Un commento su ““Perché parliamo di diritto al cibo?” – Presentata la campagna dell’Osservatorio Insicurezza e povertà alimentare

  1. Bellissimo articolo, in grado di restituire con completezza l’evento svolto giovedì 22 giugno 2023

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scrivi un commento