Politica e Letteratura

Ieri sera, dopo una settimana che mancavo dal Bel Paese, ho cercato di aggiornarmi seguendo la politica in TV. Dire che sono rimasto sconcertato sarebbe un eufemismo. Evidentemente avevo rimosso il ricordo dei dibattiti politici italiani.

Ormai le litanie si confondono in un intreccio di menzogne – consapevoli di essere tali – tanto da avvertire l’impressione che la lingua italiana si sia smarrita nel ginepraio di un lessico politico artatamente confuso e nella strumentalizzazione che ognuno ne fa per adeguarlo al proprio interesse di parte. Se era altrettanto vera la tendenza all’opportunismo nella cosiddetta prima repubblica, almeno era ammantata di fair play, da illudere il cittadino che aderiva o meno alle varie proposte partitiche, anche senza riscontrarne poi l’attuazione concreta. Oggi non è più così e l’elettore è confuso, perplesso, indeciso sul da farsi perché è andata perduta anche la capacità politica di esporre con chiarezza. Ciò non vuol dire che rimpianga il passato; mi spiace soltanto per chi verrà, dopo di me nel trovarsi di fronte a un muro contro muro, facciate tuttavia prive di mattoni consistenti e credibili, come storicamente riscontrato nelle promesse elargite dalla politica in Italia.

 

Bob Dylan
Bob Dylan

Allora è meglio parlare di letteratura, col Nobel assegnato di recente a Bob Dylan, che ha scatenato più o meno la stessa polemica allorché il premio fu riconosciuto a Dario Fo, una ventina di anni fa.

Se Roberto Vecchioni afferma: “Il Nobel a Dylan? Giusto. La canzone d’arte è alta letteratura. Fo e il menestrello di Duluth uniti dall’imperfezione. A parte pochi eccellenti difensori come Nanda Pivano, i critici letterari italiani non hanno mai considerato Guccini, Dalla o De Andrè all’altezza della poesia tradizionale. Eppure il cantautorato italiano è l’erede di quello francese dei Brel e dei Brassens…”, in contrasto con lui c’è Alessandro Baricco che quasi vorrebbe chiudere la polemica con un’affermazione lapidaria: “Cosa c’entra Dylan con la letteratura?” E la polemica è destinata a continuare.

Il fatto è che il Nobel è cambiato da quando si assegnava il premio per la letteratura a personaggi come Prudhomme, Kipling, Shaw, Bergson, Mann, Hesse, tanto per citarne alcuni tra i più titolati. O ricordando gli italiani: Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo e Montale negli anni risalenti al secolo scorso.

Poi, però, il Nobel della letteratura è come se si fosse politicizzato a sinistra e allora balzano agli occhi scrittori trascurati dalla giuria. Forse perché considerati troppo spostati verso destra? Forse. Resta comunque difficile comprendere come non sia stato assegnato il Premio a Luis Borges, Fernando Pessoa, Raymond Carver e più di recente a Philip Roth e Don De Lillo, i due più gettonati dalla critica e sistematicamente ignorati dalla giuria.

Evidentemente tutto cambia e anche i giullari e i menestrelli hanno acquisito il diritto di rientrare tra i letterati. Sarà il tempo a sprofondare nel dimenticatoio i Nobel ingiustamente premiati e immortalare i defraudati del pre


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