Rapito, di Marco Bellocchio 

Nel film, 2023, presentato al Festival di Cannes, il caso Mortara, una delle pagine più oscure della storia della Chiesa

Finalmente, dopo parecchi giorni di rinvii, sono riuscito a vedere (al Nuovo Cinema Aquila) l’ultimo capolavoro di un regista tra i più grandi del cinema italiano, l’ultraottantenne Marco Bellocchio, un regista che, nonostante l’età avanzata (o, forse, in virtù di essa) ci sta regalando, a noi appassionati cinefili, un capolavoro dietro l’altro: dopo Il Traditore (2019), ed Esterno notte (2022), adesso questo Rapito, accolto con un’autentica ovazione al recente Festival di Cannes 2023. 

Diciamo subito che l’entusiasmo manifestato a Cannes era più che meritato: si tratta infatti di un bellissimo film, che racconta, con mirabile fedeltà storica ai fatti e agli ambienti, una tragica e clamorosa storia a sfondo antisemita – organizzata e portata a termine dai vertici della Chiesa cattolica – verificatasi nella seconda metà del XIX secolo. Una storia (il rapimento di un bambino ebreo, battezzato segretamente con rito cattolico, sottratto perciò con la forza alla sua famiglia nel 1858, poi educato e avviato alla carriera ecclesiastica nella Roma ancora capitale dello Stato pontificio, e mai più ritornato alla famiglia perché, nel frattempo, l’ex bambino era diventato anch’egli un fanatico prete antisemita) il cui protagonista (in negativo) non è tanto la vittima del rapimento, Edgardo Mortara, quanto piuttosto il papa Pio IX, diventato San Pio IX nel 2000 per volontà di Giovanni Paolo II, e ciò nonostante le proteste, giustificate proprio dal caso Mortara, di tutte le comunità ebraiche sparse per il mondo.

Quando nel 1858, a Bologna, ancora appartenente allo stato pontificio, il bambino Edgardo Mortara, di benestante famiglia ebraica, viene prelevato dalle guardie papali, ha appena sei anni. Il film di Bellocchio narra le vicende successive al rapimento: il clamore suscitato nel mondo dall’episodio, le proteste da parte di tutte le cancellerie delle principali potenze e delle comunità ebraiche sparse nel mondo, gli ostinati rifiuti da parte delle autorità ecclesiastiche e in particolare del papa re Pio IX (“Non possumus”), la forzata educazione cattolica impartita ad Edgardo nella Casa dei Catecumeni (edificio annesso alla chiesa di Santa Maria ai Monti, oggi una delle sedi della facoltà di Architettura della Sapienza), le morbose attenzioni del papa nei confronti del bambino e poi adolescente, la sua consacrazione a sacerdote, il suo rifiuto di far ritorno alla famiglia dopo l’annessione di Roma allo Stato italiano e, addirittura, il suo tentativo di battezzare cristianamente la propria madre “in punctum mortis”, sul letto di morte.

Parallelamente allo svolgersi della vicenda personale di Edgardo, il film si sofferma con ammirevole acribia storiografica (e ciò grazie alla consulenza storica del prof. Daniele Scalise, autore de “Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa”, del 1996) sulla crisi, sull’involuzione e sulla decadenza di una Chiesa cattolica incapace di fare i conti con la modernità, con il progresso scientifico, con l’avanzata delle nuove correnti filosofiche e politiche liberali, democratiche e socialiste e perfino cattoliche-democratiche (tutte, indistintamente, condannate nel famigerato Sillabo firmato da Pio IX nel 1864); una decadenza che trova il suo campione ed emblema proprio nel papa, un papa che non esita a definirsi reazionario e a difendere testardamente e orgogliosamente le vessatorie e umilianti norme inflitte nei secoli agli ebrei, norme giustificate teologicamente perché il popolo ebraico, a giudizio dei Padri della Chiesa, portava su di sé il marchio di “popolo deicida”. Un papa, Pio IX, che, oltretutto, non esitò ad emanare, dopo più di mille e quattrocento anni dall’edificazione dottrinaria del cattolicesimo, due nuovi dogmi: l’Immacolata Concezione (1854), l’Infallibilità papale (1871). 

Il film di Bellocchio, un uomo che non fa mistero della sua personale e familiare provenienza e formazione cattoliche, e che nella sua filmografia è ritornato spesso e volentieri a narrare storie e vicende nelle quali la religione gioca un ruolo a volte determinante, non fa sconti ad una Chiesa che, nella sua bimillenaria storia, presenta molte pagine oscure e vergognose; e non c’è dubbio che il caso Mortara costituisce, ancora oggi, uno di quei “peccati” per i quali gli ultimi pontefici (e più di tutti, l’attuale pontefice, Francesco) hanno chiesto, pubblicamente e sinceramente, perdono.

L’aspetto storico non è, comunque, il solo filo conduttore del film; l’altra faccia della medaglia, forse più importante ed essenziale, è costituita dall’aggrovigliata e tormentata personalità psichica di Edgardo Mortara: pur nutrendo nostalgia e tenerezza per i suoi genitori, e in particolare per la madre alla quale è stato sottratto, il bambino, poi ragazzo, si lascia affascinare e trascinare (quasi un incantesimo) da una nuova famiglia o madre (la Chiesa), che si incarna però nel papa, surrogato della vera madre e del vero padre. Un papa che può essere affettuoso, disponibile a farsi coinvolgere nel gioco a nascondino dei piccoli ebrei della Casa dei Catecumeni ma, nello stesso tempo, severo fino al sadismo quando, per una stupida mancanza, impone per punizione al giovane Edgardo di baciare e leccare il pavimento tracciando con la lingua tre croci nella polvere. La sua contraddittoria appartenenza a due distinte e opposte famiglie costituisce, per Edgardo, una profonda lacerazione che, se da una parte, lo condurrà a gesti impulsivi, e senza seguito, di rivolta e disgusto contro la sua nuova famiglia e, perfino, contro il feretro del papa morto, tuttavia non lo farà ritornare nel seno della famiglia naturale perché un eventuale volontà di ritorno si scontra, inesorabilmente, contro il fiume di odio, instillato nella sua mente e nel suo cuore dalla propaganda anti-ebraica recepita quotidianamente nella Casa dei Catecumeni. 

Un film potente, questo Rapito, che non esito a definire il film più bello, emotivamente coinvolgente, intellettualmente stimolante, della lunga e nutrita filmografia di Marco Bellocchio. Un film quasi perfetto: nell’ambientazione storica, nei costumi, nella fotografia (che ricalca i colori e i soggetti dei quadri più famosi dei nostri maggiori pittori ottocenteschi), nelle scenografie degli interni, nelle musiche e, ovviamente, nell’interpretazione in molti casi superlativa degli attori e delle attrici. Tra questi metto in primo piano i due interpreti di Edgardo: il bambino Enea Sala (impressionante la naturalezza con la quale si è calato pienamente in un ruolo difficilissimo) e il giovane Leonardo Maltese (già visto e apprezzato nel ruolo di coprotagonista ne Il signore delle formiche di Gianni Amelio, dedicato al caso Braibanti), un giovane attore di indubbio talento drammatico, del quale sentiremo spesso parlare in futuro; e subito dopo la splendida Barbara Ronchi, nel ruolo della dolorosissima madre di Edgardo, una madre forte, consapevole della ferita che le è stata inferta e combattiva fin all’ultimo istante, nella vana speranza di poter riavere il figlio ingiustamente sottratto. Gli altri comprimari, bravissimi, sono tre vecchie e sperimentate volpi sia del teatro che del cinema: Paolo Pierobon (recentemente visto e applaudito, al teatro Quirino, nel ruolo del cattivissimo Riccardo III di Shakespeare) nelle vesti di un “diabolico” e reazionario papa Pio IX, fermissimo nelle sue convinzioni di stampo medievale; Filippo Timi, nel ruolo del politico e tormentato cardinale Antonelli, consapevole dell’inutilità e irrazionalità delle scelte del papa, ma impotente e incapace a fargli cambiare idea; Fabrizio Gifuni, uno degli attori preferiti da Bellocchio che, dopo avergli affidato il ruolo di Moro in Esterno notte, in questo film lo ha voluto nei panni dell’inquisitore domenicano Pier Gaetano Feletti, senz’altro il più odioso personaggio del caso Mortara, colui che ebbe la responsabilità del suo tragico incipit; per Gifuni una prova perfettamente riuscita e un’ulteriore conferma della sua estrema duttilità.

 Film: Rapito

Regia: Marco Bellocchio

Soggetto: Daniele Scalise

Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Susanna Nicchiarelli, Edoardo Albinati, Daniela Ceselli

Fotografia: Francesco Di Giacomo

Musiche: Fabio Massimo Capogrosso

Interpreti: Enea Sala, Leonardo Maltese, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Paolo Pierobon, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni, Andrea Gherpelli, Samuele Teneggi, Corrado Invernizzi, Aurora Camatti, Paolo Calabresi, Bruno Cariello, Renato Sarti, Fabrizio Contri, Federica Fracassi, Michele De Paola
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 125′
Origine: Italia, Francia, Germania 2023


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