Roma. Il centro storico nella città dei 15 minuti

Intervista all'Assessore al Decentramento, alla Partecipazione e Servizi al territorio per la città dei 15 minuti Andrea Catarci

È immensa anche solo a guardarla così questa città, in una mappa per turisti del suo centro storico. Monumenti e palazzi disegnati come cartoni animati, parchi e ville come laghi verdi e fettucce bianche venute via dalla scatola del cucito a tracciare strade e vicoli. Poi il Tevere, protagonista azzurro cielo a dividere l’est dall’ovest, coi ponti chiamati per nome a riunirli per nostalgia, e l’isoletta in mezzo al tutto e al nulla del fiume che si sdoppia solo un attimo, che magari non voleva, ma per stanchezza alla fine l’ha lasciata lì, a bagno davanti al Teatro Marcello. A tutto questo Papa Sisto V deve aver pensato quando nel ‘500 decise di ridisegnare la città un po’ a modo suo, un progettino da niente insomma, con gli obelischi a dargli la punteggiatura. Non fu tuttavia l’unico a metterci mano, per cui, questa cartina, che adesso apri con Google, è l’album panciuto di grandi e piccole idee, alcune buone, altre meno, tutte in ogni caso scrivono una storia mai finita. C’è chi proprio oggi ha l’incarico considerevole di immaginare e ridisegnare questa città con un diverso criterio, perché diverso è il modo in cui la abitiamo, e diverso il modo in cui vorremmo farlo.

All’Assessore al Decentramento, alla Partecipazione e Servizi al territorio per la città dei 15 minuti, Andrea Catarci, abbiamo chiesto qual è il ruolo attuale del centro storico.

Il centro storico è sempre stato la vetrina della città, lo è ancora adesso e lo sarà in futuro. Con la pandemia sono venuti al pettine una serie di nodi, legati alle politiche degli anni passati, che vanno affrontati e risolti in avanti. Col proliferare di bed&breakfast, di affitti brevi in genere, della permanenza di pochi giorni, il centro storico in questi anni ha vissuto una ‘turistizzazione’ quasi completa, che verrebbe da paragonare a una specie di monocultura dei Paesi poveri. C’è stato un depauperamento di residenti che si sono spostati, in parte nel semicentro e in gran parte nei quartieri più esterni della città, verso il raccordo, dentro e fuori di esso. Oggi nel centro storico ci sono meno di 100.000 residenti. Con la pandemia, non essendoci i turisti, non essendoci tanti residenti, essendosi svuotati gli uffici per le politiche legate allo smartworking, alle quarantene e alla tutela della salute in generale, il commercio e l’artigianato hanno avuto una difficoltà enorme a riprendere le loro attività e in molti casi non ci sono riusciti, a differenza di altri quartieri con una comunità di residenti più numerosa. L’artigianato poi, da sempre elemento caratterizzante della struttura economica della città, ha subito un colpo durissimo, in una dimensione di crisi già lunga qualche decennio. A Roma nei primi anni 90 c’erano quasi 5000 imprese artigianali nel centro storico, una densità importante che raccontava di una città operosa, piena di figure specializzate nel lavoro manuale e nell’artigianato artistico. Queste 5.000, dieci anni dopo, si erano ridotte a circa 2.000, nel 2021 a 1.000, oggi sono circa 500 e forse ancora meno.

 In che modo il centro storico è parte della città dei 15 minuti? 

Al centro non c’è un problema di mobilità o trasporti su rotaia; né di dotazione culturale, né di servizi educativi, neanche di verde, perché Roma è un innesto unico al mondo tra verde e costruito. Alcune attività come quelle sportive, impianti e servizi, sono invece di più difficile accesso. Il centro storico resta comunque uno dei luoghi in cui è possibile raggiungere i servizi principali in 15 minuti, come avviene in ampi tratti dei quartieri semicentrali.

Secondo gli ultimi dati Istat nel primo Municipio ci sono meno bambini sotto i due anni rispetto al resto della città. Il centro non è un luogo adatto alle famiglie?

Una famiglia che ha figli o che prevede di averne sa che al centro dovrebbe affrontare costi difficili da sostenere per affitti e acquisti soprattutto. Le giovani coppie neanche la cercano la casa al centro.  Ma anche questo non è un fenomeno nuovo, l’uscita dei residenti dal centro avviene da decenni. Per fare in modo che le nuove famiglie possano vivere al centro bisognerebbe abbassare i costi della vita, dell’affitto, dei servizi essenziali, di acquisto della casa. Abbiamo tanto bisogno di avviare politiche per riportare le persone al centro non perché sono ricche di famiglia ma anche perché lì si può avere un’esistenza sostenibile. Ne abbiamo bisogno anche per salvare il centro, per impedire che si trasformi da vetrina a non-luogo.

Il problema degli affitti troppo alti riguarda però anche le botteghe storiche, e c’è addirittura chi propone, come forma di tutela, di sgravare le tasse ai proprietari degli immobili affittati a questo tipo di attività.

Sarei più d’accordo a fare una politica di sostegno alle attività perché esse sono il bene da tutelare. Servono politiche di sostegno specifiche per l’artigianato perché Roma è sempre meno città operosa, anche al suo centro che lo era per tradizione.

A proposito di ristoranti, spesso i residenti lamentano il fatto che i tavolini invadono troppi spazi pubblici, trasformando il centro in un ‘ristorantificio’ con un continuo via vai di camion, e alcune botteghe ritengono che la loro vetrina sia resa così meno evidente…

La presenza dei turisti è di fondamentale importanza, nessuno può negarlo. Il Covid ha imposto delle forzature, ovvero ha concesso enormi quantità di suolo pubblico per pedane e dehors. Questa liberalizzazione/concessione è stata necessaria per tutelare esercizi che altrimenti avrebbero chiuso. Se ci sono stati– e secondo me ci sono stati – eccessi di strade eccessivamente invase, bisognerà fare un’azione di recupero, di ripristino della vivibilità con attenzione alle altre attività presenti, al paesaggio, alla bellezza di Roma.

Se potesse ridisegnare completamente il centro storico, come lo farebbe?

Vorrei che fosse più vivibile, con meno macchine, più spazi pedonali, più ciclisti.

Vorrei che chi possiede case vacanze o bed&breakfast possa essere facilitato nel riconvertirli, favorito nell’affittare a famiglie per quattro o cinque anni con i contratti classici di affitto, piuttosto che tenerli chiusi nella speranza di una ripresa che dia gli stessi frutti degli anni precedenti. Vorrei un centro in cui i rioni, insieme ai quartieri storici del semicentro promuovano iniziative e idee agli altri quartieri della città: fare bande musicali in ogni territorio e farle incontrare, organizzare tornei sportivi, legare tra loro le storie personali e collettive della città.

Vorrei che laddove ci sono uffici inutilizzati si possano convertire in luoghi per il coworking. Vorrei che le botteghe artigiane si popolino di giovani studenti e studentesse per imparare mestieri che rischiano di sparire.

Vorrei, insomma, un centro che guardi all’orizzonte di ridiventare a misura d’uomo e di donna, che non debba ospitare prima qualcuno che arriva da fuori e solo dopo pensare alla propria dimensione autoctona. Mi piacerebbe rimettere al Centro le persone, le famiglie, la vita e utilizzare per loro il turismo, non il contrario.


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Un commento su “Roma. Il centro storico nella città dei 15 minuti

  1. Complimenti Patrizia. Una bella intervista che ha toccato i punti di maggior interesse per la città.

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