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Un libro racconta la storia del “carnefice delle Ardeatine”

“Il Carnefice, Storia di Erich Priebke il boia delle Ardeatine” di Antonio Iovane

«La fedeltà al proprio passato è qualche cosa che ha a che fare con le nostre convinzioni. Si tratta del mio modo di vedere il mondo, i miei ideali, quello che per noi tedeschi fu la Weltanschauung. La politica è un’altra questione. Il nazionalsocialismo è scomparso con la sconfitta e oggi non avrebbe comunque nessuna possibilità di tornare», (Erich Priebke,1913-2013 – Lettera-intervista del Luglio 2013)

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Erich Priebke

L’uomo insegna in una Scuola tedesca a Bariloche, cittadina situata in Patagonia, ai piedi delle Ande Argentine, la Scuola si chiama  ”Primo Capraro”. E’ li con sua moglie da parecchi anni, quasi cinquanta da quando alla fine della guerra era stato fatto prigioniero dagli inglesi ed era riuscito a fuggire. E’ un bravo Insegnante ed è stimato e rispettato da tutti. Da quasi cinquant’anni, ogni mattina, fa le stesse cose: esce di casa, va a Scuola, tiene la sua lezione ai ragazzi e poi torna a pranzare a casa con la moglie. Certo è un abitudinario, ma molti alla sua età (ha 81 anni) lo sono. E poi lui è sempre stato così: preciso e ripetitivo, di una precisione e ripetitività quasi maniacale nelle sue azioni. Dunque, casa, scuola e poi ancora casa, insomma una vita monotona, ma tranquilla in quella cittadina argentina che sembra una piccola Baviera.

Poi un giorno, nell’Aprile del 1994, fuori da quella Scuola trova ad attenderlo una troupe televisiva della ABC arrivata dagli Stati Uniti d’America. Lo chiamano: «Signor Priebke?». E lui si gira, sorpreso: indossa un cappello, una giacca grigia, un maglione con lo scollo a V e una maglietta con il colletto.

Il giornalista, Sam Donaldson, gli fa una domanda che sembra un colpo di pistola sparato a bruciapelo: «Lei era nella Gestapo. giusto? A Roma?»  e, nel contempo, gli si avvicina lo pressa anche fisicamente, per non dargli il tempo di reagire.

L’uomo rimane impassibile, sembra non capire. Poi annuisce e inizia a rispondere alle domande su ciò che è avvenuto alle Fosse Ardeatine, quel 24 Marzo di cinquanta anni fa. E lui – quell’uomo anziano colto di sorpresa da una domanda secca che non si aspettava, riguardante un passato che pensava gli altri avessero dimenticato – come avesse dentro un nastro registrato, ascoltato per decine e decine di anni, per imparare a memoria la parte, ripete: «Erano gli ordini che avevamo ricevuto, c’era la guerra, queste cose succedevano, gli ordini erano quelli». 

Quell’uomo si chiamava (uso il verbo al passato perché è morto a 100 anni, l’11 Ottobre del 2013)  Erich Priebke e Roma la conosceva bene perché era stato in quella città un  SS-Hauptsturmführer, un Capitano delle SS, agli ordini del Tenente Colonnello Herbert Kappler.

Ma non un semplice Capitano, bensì il “Carnefice delle Ardeatine”. Lui, in quelle Cave, quel 24 Marzo del 1944, aveva ucciso con un colpo alla nuca alcuni dei prigionieri, che erano a gruppi di cinque e con le mani legate dietro la schiena,. Lo aveva fatto in quelle grotte, ma quello non era stato il suo solo compito. Era stato lui, infatti – sul piazzale antistante le grotte di quella che era stata una Cava di pozzolana, ma al tempo era solo un deposito di mondezza – a leggere i nomi di quei 335 condannati a morte innocenti.  Aveva fatto la chiama degli uomini che aveva di fronte, senza guardarli negli occhi, ma solo leggendo i loro nomi scritti sulla Lista che teneva in mano, una lista compilata con scrupolo e in stretto ordine alfabetico. E e poi ne aveva ucciso qualcuno, di quei 335 “comunisti badogliani”, facendo tutto quanto con molta attenzione e metodo, come faceva sempre. Questi erano gli ordini, aveva detto al giornalista americano, come dire che non si poteva fare diversamente.

Ubbidire agli ordini – a volte – può non essere una virtù

Erich Priebke ha sempre sostenuto – non mostrando mai alcun segno di pentimento, al contrario essendone fiero – che non poteva disobbedire ad un ordine diretto. Ma que4sta – oltre ad essere la spiegazione sempre data dai criminali nazisti per le efferatezze e i crimini di cui si erano macchiati – era anche – e soprattutto – una falsità.

A dimostrarlo sta il fatto che – dopo l’attacco partigiano di Via Rasella, del 23 Marzo ’44, al Maggiore Hans Dobek, Comandante del PolizeiRegiment “Bozen” – un Reparto di Polizia composta da altoatesini che avevano optato per ilo Reich ed era inserito nel Corpo militare delle SS –  il cui Terzo Battaglione era stato coinvolto nell’attacco, era stato chiesto di formare, con i suoi uomini, il plotone di esecuzione che sarebbe stato  utilizzato per la rappresaglia, ma lui si era rifiutato di farlo, adducendo motivi religiosi e di depressione dei suoi uomini. Per questo rifiuto, l’Ufficiale nazista non ebbe a patire alcun tipo di punizione e le SS di Herbert Kappler saranno gli assassini delle Ardeatine.

Dopo quell’intervista, seppure con molta lentezza, le Autorità argentine diedero corso al mandato di arresto che ancora pendeva sulla sua testa e Priebke, alla fine venne estradato in Italia il 21 Novembre del 1995.

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“Il 6 Maggio 1994 in televisione compare il volto di Erich Priebke ripreso dall’alto in basso mentre tenta di spiegare che lui, alle Fosse Ardeatine, eseguiva solo gli ordini. E’ allora che il Magistrato Antonino Intelisano lo vede. E’ allora che una partigiana, Carla Angelini, chiama un’altra Partigiana, Maria Teresa Regard, per dirle: “E’ lu,i è lui, quello di Via Tasso “. E’ stato allora che ho sentito il suo nome per la prima volta.”   Queste parole trovate scritte nella quarta di copertina del libro di cui oggi vi propongo la lettura. Si tratta di “Il Carnefice, Storia di Erich Priebke il boia delle Ardeatine”, scritto dal giornalista romano Antonio Iovane e pubblicato quest’anno dalla Mondadori.

Qualcuno lo ha definito un Romanzo a me – primo di cominciare a leggerlo – sembrava più un Saggio storico. Lette un po’ delle sue pagine arrivo ad un compromesso: si tratta di un Romanzo storico in cui è raccontata una storia, quella dell’SS-Hauptsturmführer (Capitano) delle SS, Erich Ernst Bruno Priebke, ma insieme ci trovate raccontate tante altre storie, tante altre vite, molt6e delle quali spezzate, di persone che lo hanno incrociato e che non sono affatto personaggi secondari di questa Storia; la Storia dei 271 giorni di occupazione nazista di Roma; di un Carcere tedesco: “là, vicino, a San Giovannidi quelle due Liste di nomi (poi diventata una sola); di quei 335 nomi degli uomini che quei nomi portavano e non sono più tra noi e del luogo in cui quei 335 martiri  (e martirizzati) per la libertà di questo Paese, sono stati trucidati; luogo che a noi, oggi, è concesso visitare, con grande rispetto di quel pezzo di Storia e delle vite che lì sono state massacrate, e del quale dobbiamo conservare perennemente la Memoria.

Occorre anche notare – come fa Iovane nel suo libro – che Erich Priebke era presente – con Theodor Dannecker, lo “specialista” delle SS, arrivato appositamente da Berlino con i suoi uomini – alla razzia del ghetto di Roma del 16 Ottobre 1943 che – contrariamente a quanto normalmente si scrive – si svolse in tutta la città portando al rastrellamento di 1.059 ebrei romani1.029 (tra cui 200 bambini) dei quali saranno successivamente deportati nel KL di Auschwitz.

“Bariloce Horror Tour”

Scrive Bruce Chatwin, scrittore inglese autore del famoso “Viaggio in Patagonia”, divenuta la “Guida Ufficiale” dei viaggiatori della mia generazione e forse anche di quella precedente: “la vita è un viaggio da fare a piesi”.

Certo visitare la Patagonia a piedi è certamente faticoso, ma se ce la fate ad arrivare a Bariloce, con soli 31 Euro potete fare il “Bariloce Horror Tour”. In realtà il giro turistico  a cui mi riferisco si chiama “Huella alemana y presencia nazi”, durante il quale potrete essere condotti a visitare i luoghi in cui  – con il benestare di Juan Peron e l’acquiescenza  di molti cosiddetti democratici – in testa la Croce Rossa Internazionale e il Vaticano – soggiornarono molti criminali nazisti ricercati, tra cui Josef Mengele, il famigerato “Dottor Morte” e perfino Adolf Hitler che  – si sostiene  da più parti – non sia morto suicida nel Bunker sotto la Cancelleria di Berlino, alla fine di Aprile del 1945, ma sia riuscito a fuggire e si sia imbarcato su di un U-Boat, sbarcando sulle coste argentine, per terminare la sua vita criminale in un luogo idilliaco, ovvero in una grande Villa con giardino e centinaia di ettari di bosco.

Ma questa parte del racconto la Guida turistica – se siete fortunati – ve la dirà sottovoce e con prudenza, perché non si sa mai chi si incontra in questi tour, magari un giornalista con telecamera e registratore nascosti.

Nel libro di Iovane minuziosa è la biografia di Priebke, come lo sono quelle dell’eccidio delle Ardeatine e dei successivi Processi a cui Erich Priebke fu sottoposto in Italia, dopo l’estradizione dall’Argentina: il primo conclusosi con l’assoluzione, poi annullata in Cassazione e il terzo finito con la condanna all’ergastolo del criminale nazista, ma con la concessione dei domiciliari per motivi di età e salute, domicili9ari passati a casa del suo Avvocato — a lui vicino anche per idee politiche – che si trova esattamente in una strada del Municipio XIII-Aurelio di Roma Capitale. (*)

Antonio Iovane, Il Carnefice, Storia di Erich Priebke il boia delle Ardeatine” – Il Libro

C’è un uomo a Bariloche, ai piedi delle Ande, che ogni mattina raggiunge la scuola tedesca dove insegna, fa lezione ai ragazzi e per pranzo torna a casa dalla moglie. Vive lì da quasi cinquant’anni, è perfettamente integrato, rispettato, ha una solida rete di amicizie. Un giorno, fuori dalla porta trova ad attenderlo una troupe televisiva americana. «Signor Priebke?» gli chiede un giornalista. «Lei era nella Gestapo nel ’44, giusto? A Roma?» L’uomo rimane impassibile, sembra non capire. Poi annuisce. Come ha fatto Erich Priebke, il capitano della polizia tedesca che il 24 marzo 1944 chiamava i nomi dei 335 uomini da condurre all’interno delle Fosse Ardeatine per essere fucilati, a fuggire in Argentina e vivere indisturbato per mezzo secolo senza che nessuno gli chiedesse ragione dei suoi crimini? Attraverso un monumentale lavoro di ricerca, un’appassionata serie di interviste ai protagonisti della vicenda e materiale del tutto inedito, Il carnefice racconta tre storie: quella della cattura del vecchio nazista grazie al lavoro di agenti internazionali, l’estradizione e i processi in un Paese profondamente diviso tra chi chiedeva giustizia e chi invocava clemenza per un uomo ormai anziano; quella della carriera di Priebke a Roma, del suo ruolo di predatore di partigiani e della fuga rocambolesca in Argentina dopo la caduta del Reich; e infine una storia di radici, quelle dell’Italia di oggi, con le sue contraddizioni e i suoi antagonismi mai superati, e di Antonio Iovane, che mentre scriveva, indagava ed entrava nel cuore nero della Storia, si è trovato davanti a una verità perturbante.

(Fonte: https://thrillernord.it/il-carnefice/#google_vignette 

Antonio Iovane – che è un giornalista d’inchiesta – noto anche per due precedenti Volumi estremamente interessanti: “La Seduta Spiritica” (Minimum Fax, 2021) sul Caso Moro e “Un Uomo Solo” (Mondadori, 2022) sulla morte del cantautore Luigi Tenco – ci fornisce dunque con questo suo recentissimo lavoro, un quadro vivido e coinvolgente di quella storia purtroppo drammatica e dei suoi protagonisti. Un libro, dunque, da leggere e tenere a portata di mano, per rinfrescarsi la Memoria, magari prima di una visita al Mausoleo Militare che ricorda quell’eccidio di 335 martiri antifascisti.

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Le Cave, Il Mausoleo e la Memoria. Per non dimenticare mai

Stamattina accompagnerò alcuni studenti di un’Università privata americana di Roma, in visita al Mausoleo Militare delle Cave Ardeatine. Le righe che avete appena finito di leggere possono essere un inizio del confronto con la Memoria che faremo su quel Piazzale e in quelle Grotte. Certo, le parole spesso non sono in grado di descrivere appieno orrori come quello delle Ardeatine, ma assicuro che camminare in quel luogo e  lungo quel percorso, quella Via Crucis laica e fermarsi a riflettere e ragionare sul perché di quella strage ha ancora oggi un senso e serve, non solo alla nostra Memoria.  Andare alle Cave Ardeatine – anche se può essere da alcuni vissuto come un violento schiaffo  sul viso o meglio un cazzotto assestato sotto la cintura – è un’esperienza che lascia un segno indelebile. Un’esperienze che consiglio vivamente a chi non l’avesse ancora fatta.

Nota: ho sempre pensato che le parole siano importanti e dunque vadano maneggiate con estrema attenzione. Per questo non ho usato qui – e non uso abitualmente – la parola “Fosse” quando parlo o scrivo dell’eccidio delle Ardeatine. Perché? Perché in quelle grotte non furono scavate fosse. Su quei 335 poveri corpi fu solo fatta crollare – dai tedeschi a colpi di dinamite – la volta delle grotte. Questa è la realtà effettuale del finale di quella strage nazifascista e questo raccontiamo – e racconto – ogni volta che entro in quello che oggi e un Mausoleo Militare ma – come  ho scritto – è stata una delle numerose Stazioni di una Via Crucis laica della nostra città che andrebbe percorsa più spesso e interamente. Questo, per la Verità e per la nostra Memoria.

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(*) Occorre ancora ricordare che, dopo la guerra e per un certo periodo, sua Erich Priebke che Karl Hass, un altro Ufficiale delle SS che aveva lavorato alla compilazione della “Lista Kappler” dei fucilati alle Ardeatine e sul posto aveva partecipato a quell’eccidio, avevano lavorato per il Servizio Segreti della Germania Federale, dove poterono mettere a frutto la loro esperienza di lotta contro i comunisti. Per rimanere in casa nostra anche a Junio Valerio Borghese, Comandante della Decima MAS, fu, dopo la guerra, offerta dagli americani – che lo liberarono dal Campo di prigionia dove era stato rinchiuso – la possibilità di far valere la sua esperienza di lotta al comunismo.

Diversi altri ex nazisti finirono anche per lavorare per il Servizio Segreto della DDR, la Germania Orientale, mentre piena zeppa di criminali nazisti era anche la cosiddetta “Organizzazione Gehlen”, messa in piedi dopo la guerra dall’ex nazista Reinhard Gehlen, noto anche come “Il nazista della CIA


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