

Sono passati 63 anni dal rastrellamento nazista del Quadraro, quartiere romano insignito della medaglia d’oro al merito civile. In questi stessi giorni di aprile si celebra anche il 9° anniversario della morte di Orfeo Mucci (classe 1911), romano di San Lorenzo, partigiano di Bandiera rossa. Purtroppo, quando si parla di resistenza romana, il nostro immaginario collettivo, nutrito dalla storiografia esistente, corre subito ai Gap di Antonello Trombadori, Rosario Bentivegna (Sasà), Carla Capponi, Marisa Musu. Trascurando, più o meno colpevolmente, altre formazioni partigiane che, come Bandiera rossa, in quei nove mesi di occupazione, soprattutto nelle borgate, ebbero una parte non meno rilevante nella lotta contro il nazifascismo.
La base e i capi di Bandiera rossa, a differenza dei Gap, non avevano connotazione borghese: il suo humus era il sottoproletariato romano. Di questa formazione partigiana ci parla per la prima volta, nel 1968, Silverio Corvisieri, che ne raccoglie le vicende nel libro Bandiera rossa nella resistenza romana (Samonà e Savelli) e poi, sotto forma di citazioni, ne troviamo traccia nei libri di Alessandro Portelli, attuale delegato del sindaco alla “memoria” (L’ordine è già stato eseguito, Donzelli, Roma, 2001) e di Walter De Cesaris (La borgata ribelle, Odradek, Roma, 2004).
Per ovviare alle distrazioni della storiografia occorre dire che, tra le file di Bandiera rossa, nel periodo dell’occupazione, si contarono 186 caduti e 137 tra arrestati e deportati (più di quelli del Pci). L’azione dei suoi partigiani era rivolta ad obiettivi militari come caserme, uffici, convogli di armi. Ma per sfamare la popolazione delle borgate prevedeva, non di rado, anche l’assalto ai convogli di viveri. E in borgate di forte radicamento antifascista come il Quadraro o Tor Pignattara, audacemente definite “repubbliche popolari”, il comandante Mucci, di mestiere ebanista, era molto amato.
Io ho avuto l’onore di conoscerlo, tanti anni fa, già anziano ma ancora agile nei gesti e fluido nella parola. Dopo aver trasformato la sua falegnameria in una piccola azienda familiare se n’era andato in pensione e io l’avevo convinto, senza sforzi in verità, ad iscriversi al centro anziani del IX Municipio. Durante quelle cene alle quali suo figlio, di cui ero diventato amico, mi invitava spesso, Orfeo si sottoponeva volentieri al “martirio” che gli infliggevo ogni volta con le mie domande. Le stesse alle quali, più tardi, con straordinaria lucidità, trovava modo di rispondere da Radio Onda Rossa, l’emittente con cui collaborò per buona parte degli anni novanta, fino alla morte.
Oggi lo ricorda solo una targa, attaccata al numero 36 di via dei Volsci.
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