Bioplastica: è tutto oro quel che luccica?
È da qualche anno che il prefisso “Bio” lo ritroviamo da molte parti. Pensate al vino biologico. E come questo, ci sono tantissimi esempi che riguardano il mondo degli alimenti.
Ultimamente c’è stata una polemica collegata ad un’altra cosa “Bio”. Mi riferisco al sacchetto per l’ortofrutta. Questo sacchetto rappresenta uno degli esempi di bioplastica.
Il punto è che spesso l’idea che tutti hanno su questa bioplastica non è tanto chiara, spesso perché non lo è l’informazione a riguardo.
Quando si parla di bioplastica per definizione ci si riferisce a dei materiali che siano realizzati a partire da materie prime organiche come mais, patate, pomodori! Anche dai prodotti di scarto come le biomasse, ecco perché è importante sapere che nel pieno dell’economia circolare, non si butta niente!
Ma il vantaggio legato all’utilizzo delle bioplastiche, a cosa è legato? Alla produzione? Allo smaltimento? Ai costi? Facciamo chiarezza.
Si parla di biodegradabilità quando un prodotto può essere degradato in presenza di microrganismi come funghi e batteri. Degradato, producendo dei mattoncini che non sono dannosi per l’ambiente e che possono servire per sintetizzare qualcosa di bio, nuove bioplastiche ad esempio.
Il fatto è che non tutte le bioplastiche sono biodegradabili, spesso il vantaggio può essere unicamente dovuto alla riduzione dell’inquinamento dovuto ai processi di produzione (ad esempio l’emissione dei famosi gas serra come la CO2).
Dal punto di vista dello smaltimento, come detto, se una bioplastica è biodegradabile allora vorrà dire che questi piccoli organismi, insieme alla temperatura, all’ossigeno, all’acqua, riusciranno a spacchettare queste bioplastiche. Tuttavia, affinché questo avvenga c’è bisogno di qualche mese (tipicamente una decina) e quindi, pensare di buttare un sacchetto biodegradabile nel giardino o nel mare è assolutamente sbagliato.
La biodegradabilità non vuol dire inquinare perché tanto prima o poi quel sacchetto scomparirà. Nel frattempo potrebbe nuocere all’ecosistema, pensiamo alle specie marine che rimangono impigliate in queste reti di materiali plastici.
Dal punto di vista della produzione i costi non sono proprio bassi, almeno per ora. E non scordate che occorre sempre utilizzare delle coltivazioni che consentano di ottenere anche in questo caso le materie prime organiche (che non sono quelle petrolchimiche, carbone e petrolio) che hanno un costo. Non a caso i famosi sacchetti di ortofrutta, seppur al costo di 2 centesimi, hanno prodotto più di qualche perplessità. I processi sintetici non scompaiono!
E allora?
E allora non occorre demonizzare i materiali plastici come a volte si fa. Pensiamo al PET delle bottiglie d’acqua. Questo materiale plastico seppur non biodegradabile può essere riciclato per dare ad esempio nuovi materiali per imballaggi.
Purtroppo non tutte le (non bio) plastiche sono come il PET, e quindi alcune devono necessariamente essere incenerite e recuperare parte dell’energia secondo altre vie. Tornando al PET, quando lo ricicliamo, il PET e altre plastiche, dovranno seguire strade diverse rispetto alle bioplastiche che invece (se rispettano la normativa) possono andare nell’umido.
La consapevolezza del cittadino è la prima arma per difenderci dall’enorme problema relativo all’accumulo di rifiuti e dal loro smaltimento. Tutto parte da noi.
Stefano Cinti
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